Indignarsi non basta F.Besostri

Felice Besostri*, 15 settembre 2011
www.paneacqua.eu

Chi può assumersi il compito di saldare l’indignazione, convocata per il 15 ottobre in una giornata europea di protesta con un progetto di sinistra di governo? Per una prima presa di coscienza l’indignazione va bene, anzi benissimo. Per cambiare una vita e scegliere da che parte stare, basta un episodio o un fatto: assistere ad un atto di brutalità o di discriminazione, spesso con la frustrazione di non averlo impedito.

Dopo subentra o dovrebbe subentrare la riflessione, capire quali sono le cause della diseguaglianza nella società: da indignazione individuale a progetto collettivo di cambiamento. Senza smarrire le motivazioni individuali iniziali: è questo che dovrebbe distinguere i movimenti di riforma sociale dalle sette fanatiche, con i loro guru, santoni, leader maximi, condottieri supremi o soli dei popoli che siano, anche sotto il nome di segretari generali.

Quello in cui viviamo è il mondo migliore possibile? E’ facile, tanto più oggi in questa crisi ancora lontana dalla sua fine, rispondere di no. In ogni tempo il progresso è stato opera di chi non si rassegnava alle condizioni date ad un destino segnato fin dalla nascita dalla famiglia o dal luogo di appartenenza. La situazione attuale ha caratteristiche diverse dall’ordinaria oppressione e sfruttamento del popolo minuto, della classe operaia o delle plebi contadine: settori importanti e crescenti delle tradizionali classi medie, borghesi con linguaggio arcaico, ma tuttora in auge nelle socialdemocrazie scandinave, temono per il loro futuro. Sono messe in discussione non soltanto le loro aspettative di guadagno, ma anche il loro prestigio sociale. Quadri delle finanziarie e giovani professionisti si trovano spalla a spalla con la massa dei precari di più antica data.

L’indignazione è naturale e anche la sua durata e intensità, perché si tratta di giovani ventenni o trentenni in pieno vigore fisico, anche grazie ad abitudini alimentari più sane di quelle dei genitori e alla pratica sportiva. Non sono degli ultracinquantenni con tendenze alla depressione, che, come ci ha insegnato Claire Bretecher, alla loro età non possono indignarsi totalmente per più di qualche minuto. I vecchi, diceva Montaigne, danno dei buoni consigli, perché non sono più in grado di dare cattivi esempi. Al movimento il nome è stato, in un certo senso, suggerito da un nobile vegliardo (93 anni) francese, Stéphane Hessel, con il suo pamphlet “Indignez-vous!”, comparso nell’ottobre 2010. Il suo battesimo politico è stato, però, in terra di Spagna con il movimiento del 15-M, da allora sono tutti “indignados”.

Contro i banchieri e i politici si indirizzano i loro strali, senza andare troppo per il sottile per quest’ultimi: tutti uguali, destra e sinistra. Se la prendono con gli effetti della crisi e con le misure, sbagliate, di risanamento, che aggravano la crisi per una cieca sottomissione al pensiero unico liberista dei tagli alla spesa pubblica e al welfare state senza misure per la crescita e la riduzione delle diseguaglianze, che sono, invece tra i fattori scatenanti della crisi.

I mutui sub prime sono stati massicciamente concessi a lavoratori con potere d‘acquisto decrescente e candidati alla disoccupazione alla prima ristrutturazione. Tuttavia non mettono in discussione la società capitalistica, comunque meno di quanto mettano in discussione la democrazia rappresentativa, le sue istituzioni e chi le occupa. Forse per ragioni di appartenenza: In particolare si scopre che uno dei promotori e sostenitori di tale movimento spagnolo è una persona dell’élite, né più né meno.

Si tratta infatti di Enrique Dans, personaggio che “ha studiato formazione aziendale in due delle più prestigiose università d’élite negli Stati Uniti: UCLA e Harvard, che non sono esattamente alla portata di ogni tasca. (http://aurorasito.wordpress.com/2011/05/22/i-legami-di-enrique-dans-promotore-del-movimento-15m-con-loligarchia-finanziaria-internazionale/)

Tuttavia l’ampiezza del fenomeno e la sua estensione geografica dagli attendati di Tel Aviv agli studenti cileni, esclude l’ipotesi di un movimento manipolato ed eterodiretto, anche se gli effetti delle sue manifestazioni possono contribuire all’obiettivo di ridurre gli spazi di democrazia a favore di buro-tecnostrutture. Il pericolo è reale: per sua natura una protesta movimentista non ha strutture stabili di comando e un progetto a lungo termine. Paradossalmente perde vigore sia quando ci si convince che gli obiettivi sono stati conquistati o quasi, che quando non incidono politicamente.

Il Maggio 68 francese sboccò in una schiacciante vittoria gaullista e la grande indignazione spagnola non ha impedito che il sistema municipale e autonomico fosse consegnato in misura senza precedenti alla destra del PP. Tuttavia un tale pericolo si scongiura riformando profondamente la politica, la partecipazione cittadina e rinnovando la politica contro le degenerazioni oligarchiche e castali, che hanno fatto perdere prestigio e autorità morale ai rappresentanti elettivi del popolo. Se non si rompe il circolo vizioso la democrazia è presa a tenaglia dalla contestazione antipolitica da un lato e dalla difesa corporativa della nomenklatura politica dall’altra.

L’obiezione, che i cambiamenti duraturi e reali si ottengono solo con un lavoro politico-sindacale diuturno e prolungato nel tempo, è sicuramente fondata, ma se i giovani prima preferivano la movida e ora il movimento, la responsabilità non è loro, ma della scarsa attrattiva dell’offerta politica, sia in termini ideali, che organizzativi, anche nella sinistra dello schieramento politico. Storicamente ci sono stati due modelli vincenti nella traduzione del disagio e della protesta in un risultato politico tangibile: il comunismo leninista e il socialismo democratico. Uno è imploso e l’altra è in difficoltà di consenso elettorale.

Nella sinistra italiana non è più presente il modello comunista e quello socialdemocratico non è mai decollato. Chi può assumersi il compito di saldare l’indignazione, convocata per il 15 ottobre in una giornata europea di protesta con un progetto di sinistra di governo? Sinistra di governo non significa sinistra al governo, ma una forza che si propone di guidare il paese con un suo programma e suoi esponenti e con sua idea di società. Proposte programmatiche e riflessioni teoriche non mancano, ma patrimonio di gruppi politico-culturali tra cui occorre ricordare il Gruppo di Volpedo con il suo Manifesto e il Network per il Socialismo Europeo per l’analisi della crisi e per la proposta di una politica economica alternativa a quella della BCE: ci vorrebbe ben altro.

La polemica contro il grande capitale e la partitocrazia può facilmente degenerare in un populismo di destra fascisteggiante e antisemita (basta nominare solo i banchieri ebrei, che non sono la maggioranza dei banchieri). La protesta degli indignati può anche essere il punto di inizio di un blocco sociale del lavoro, in tutte le sue forme vecchie e nuove, che consenta alla sinistra di uscire dal recinto tradizionale del lavoro salariato e dipendente, in attività o pensionato, per aprirsi al lavoro autonomo, manageriale e libero professionale, sia tradizionale che del terziario avanzato. Organizzatori e critici della manifestazione del 15 ottobre dovrebbero aprire una riflessione su questi problemi di prospettiva, ma soprattutto i futuri partecipanti e quelli che non hanno ancora deciso.

*portavoce del gruppo di Volpedo-coordinamento del Network per il Socialismo Europeo