Cattolici dopo Berlusconi di C.Sardo

Claudio Sardo
L’Unità, 29 settembre 2011

Si può sostenere, con valide ragioni, che i vertici della Chiesa italiana siano stati troppo indulgenti, e troppo a lungo, con Berlusconi, la sua ideologia e la sua pratica di potere. Benché Benedetto XVI invochi dal 2008 l’avvento di «una nuova generazione di politici credenti» la curia e la Cei si schierarono il 14 dicembre scorso contro la sfiducia al governo.

Temevano un’alternativa confusa. E contribuirono così a tenere in sella il Cavaliere, confermandolo in un ruolo di guida a cui non era più idoneo, come poi è stato dimostrato.

Ora il cardinale Bagnasco ha pronunciato parole chiare, che contengono da un lato una sfiducia verso la leadership e dall’altro una richiesta di discontinuità. Il presidente della Cei non si è limitato al giudizio morale sui «comportamenti tristi e vacui» del premier ma ha centrato la sua analisi della crisi italiana su questioni istituzionali, sociali, antropologiche. E al fondo, nel sollecitare una nuova missione per il Paese, si è richiamato alla funzione nazionale della Chiesa italiana, offrendo le energie ecclesiali all’opera di ricostruzione.

Attardarsi a parlare ancora di Berlusconi è, a questo punto, poco utile. Piuttosto il tema, per i laici credenti e non credenti, è quale contributo i cattolici possono dare oggi alla nuova stagione politica. Bagnasco ha richiamato all’unità chi si sente parte della Chiesa. Ma non ha chiesto di fondare un partito. Ha collocato l’unità sul piano dei valori – «etica sociale» ed «etica della vita» – e ha detto di vedere all’orizzonte «un soggetto culturale e sociale di interlocuzione con la politica», che tuttavia rifugga da «nostalgie» e da «ingenue illusioni». L’impressione è che il presidente della Cei si sia volutamente collocato un passo indietro rispetto a chi disegna scenari di un’inedita Cosa bianca, o ancora di una rinnovata Opera dei congressi, o infine di nuovi Comitati civici proiettati verso un centrodestra a guida cristiana (modello Cdu tedesca).

Non che Bagnasco non abbia, in cuor suo, una preferenza. Tuttavia deve fare i conti con alcuni problemi di difficile soluzione. La stagione del cardinale Ruini è alle spalle e non sembra riproponibile quel gioco di sponda preferenziale con il Pdl, giustificato dai «principi non negoziabili» seppure al prezzo di un declassamento dei temi sociali. La Dc non può tornare, neppure in sedicesimo. E il bipolarismo, anche se fosse finalmente ricondotto ad una modalità europea, dovrà in Italia fare i conti con il pluralismo delle opzioni politiche dei credenti. In fondo la Settimana sociale, celebrata lo scorso anno sotto la presidenza Bagnasco, diede vita proprio a un confronto aperto tra credenti impegnati a destra, a sinistra, al centro.

La tensione verso l’unità è una forza ineliminabile della comunità cristiana: si può dire che appartiene all’essenza della fede. Il timore che la diaspora conduca all’irrilevanza non può essere sottovalutato. Ma il pluralismo delle opzioni è anch’esso un portato del Concilio, espressione dell’ottimismo della fede e terreno di testimonianza. Come sciogliere allora il nodo? Il punto è che la risposta a questa domanda devono darla innanzitutto i laici. I laici credenti per ciò che compete alle loro coscienze e responsabilità. I laici non credenti nel concorrere a definire le offerte politiche. Sarebbe clericalismo attendere dai vertici ecclesiali la scelta dello schema A o B e rivolgersi solo a loro nel tentativo di condizionarli.

Nella città dell’uomo tocca ai laici rischiare. De Gasperi, uomo devotissimo, non esitò a scontrarsi con il Papa al tempo dell’operazione Sturzo nel ‘52 e senza quella sua scelta la storia politica italiana (e forse anche della Chiesa italiana) sarebbe stata diversa. Al tempo della legge sull’aborto alcuni cattolici indipendenti elaborarono i primi due articoli della 194, allora messi al bando dalla Chiesa: si deve a loro se oggi i vescovi invocano l’applicazione integrale della legge per evitare interpretazioni «abortiste». Il confronto cominci. Non mancheranno certo i cattolici del centrosinistra, che sono più che in ogni altro Paese europeo. Sarebbe dissennata una Chiesa che favorisse il bipolarismo etico, contribuendo a cancellare l’originale intreccio tra le culture umanistiche.

Sull’esito di questo confronto ovviamente peseranno le scelte dei partiti. Innanzitutto la loro proposta sul futuro dell’Italia. Non è pensabile che la diplomazia cattolica sia affidata ai cattolici dei partiti. Come non è pensabile che un nuovo collateralismo nasca attorno alla legge sul testamento biologico. Non perché non sia importante. Ma perché la stessa funzione nazionale della Chiesa sarebbe mortificata in uno scambio politico privo di attenzione ai temi antropologici, alla corrosione delle reti di solidarietà, all’idea di pubblico, ai modi concreti per superare il paradigma individualista oggi dominante. L’unità valoriale dei cattolici forse può combinarsi più facilmente con il pluralismo delle opzioni politiche. Di certo se il Pd conserverà la sua natura originaria – di partito nazionale ancorato ai valori della Costituzione – aiuterà questo esito più di chiunque altro.