Guai a chi? di N.Lisi

Nino Lisi
Comunità cristiana di base di San Paolo – Roma

Quando un barcone carico di disperazione naufraga nelle acque del Mediterraneo ed il numero aumenta di quelli che trovano riposo in fondo al mare per l’eternità, noi ci indigniamo. Ed è giusto.

Quando despoti e tiranni massacrano i sudditi che si ribellano, ancora una volta noi ci indigniamo. E ancora una volta è giusto.

Quando per evitare il massacro degli insorti se ne compiono altri, magari maggiori, noi ci indigniamo, ma forse di meno ed in minor numero. E questo è meno giusto.

In tutti i casi però ci indigniamo e basta; non facciamo altro. Tutt’al più partecipiamo a striminziti sit-in e a esigui cortei. Ma cos’altro potremmo fare di fronte a tante e così grandi violenze, se non macerarci in un frustante senso di impotenza!?

Non ci accorgiamo però della violenza subdola sottile sistematica che quotidianamente devasta interi paesi e la maggior parte dell’umanità per sottrarre grandi risorse ai più per arricchire piccole minoranze.

Forse perché, vivendo in un paese ad “economia di mercato” ed essendo anche noi quindi coinvolti in qualche misura nel sistema, ci siamo abituati ad esso e tutto ciò ci sembra naturale, sicché appare inevitabile adattarcisi. Eppure questa sottile e quotidiana violenza è il motore remoto, ma non tanto, delle altre.

Però il Mercato è una catastrofe, ma non è naturale. Nemmeno il modo di produrre e consumare cui siamo assoggettati lo è. Si tratta di costruzioni umane, che si potrebbero mandare all’aria, se lo si volesse.

Basterebbe, ad esempio, che tutt’insieme modificassimo i nostri consumi e comportamenti ed ecco che il mondo della produzione dovrebbe adeguarsi alla nuova domanda ed il modo di produrre cambierebbe.

Basterebbe che i nostri risparmi non li affidassimo alle banche e alle assicurazioni che finanziano il commercio di armi e sorreggono le speculazioni, ma li affidassimo al circuito della finanza etica (quella vera, non quella truffaldina che le banche “normali” hanno inventato per profittare della ingenuità e della inesperienza di molti), ed ecco che le fonti della speculazione finanziaria si inaridirebbero.

Allora sì che questo sistema, che si chiama Capitalismo, andrebbe in crisi e la sua subdola violenza cesserebbe.

Qualche teologo della liberazione lo definisce struttura di peccato. Non a torto. Si può infatti negare che esso si basi sullo sfruttamento dell’uomo sull’uomo, che si sia sviluppato in Europa e si sia esteso a tutto a scapito del resto del mondo depredando sino all’impoverimento interi paesi e un intero continente?

Può negarsi che nei paesi arricchitisi sono state le classi subalterne a pagare il prezzo dello sviluppo e che nelle società occidentali si va sempre più estendendo l’area dell’emarginazione e dell’esclusione che colpisce ovviamente i più deboli?

Può negarsi che la sua logica di sottrarre a molti per arricchire pochissimi abbia con la globalizzazione raggiunto l’acme, sicché si può dire che ora stiamo assistendo non alla sua crisi ma al suo trionfo?

Di fronte allo sfacelo che è in atto noi cristiani, anche se comunque coinvolti in qualche misura in questo sistema, anzi proprio per questo, ed in particolare noi delle comunità di base possiamo continuare a restare in silenzio ed inerti?

O non dobbiamo denunciare lo scandalo che è sotto i nostri occhi e gridare forte “guai a voi”? E non dovremmo schierarci apertamente e attivamente con quanti – stati, movimenti, studiosi, operatori – stanno cercando di opporvisi e di costruire alternative?

Altrimenti quel “guai a voi” non dovrebbe tramutarsi in un “guai a noi” e la faccenda della cruna dell’ago non potrebbe riguardare anche noi, non nell’aldilà, bensì qui ed ora?

Una riflessione, forse, dovremmo farla. O no? Magari potremmo dedicarvi il prossimo Convegno Nazionale.