Una delicata questione morale di P.Bonetti

Paolo Bonetti
www.italialaica.it

Come molti lettori certamente sapranno, il 23 settembre è stata lanciata sul web quella che dovrebbe essere la prima fase di un’operazione di outing nei confronti di quei politici, di quegli ecclesiastici e di quegli operatori dei media che, pur essendo nascostamente omosessuali, si oppongono alle leggi contro l’omofobia, negano ai gay alcuni fondamentali diritti civili, manifestano pubblicamente il loro disprezzo per un mondo al quale in realtà appartengono.

Costoro sono assai più numerosi di quanto comunemente non si creda e condizionano pesantemente, con la loro ipocrisia che diventa concreto incoraggiamento alla discriminazione, la vita quotidiana di milioni di gay, lesbiche, bisessuali e transessuali. L’outing è il tentativo, certamente non privo di violenza, di costringerli a comparire di fronte all’opinione pubblica per quello che effettivamente sono.

L’iniziativa del sito che ha promosso l’outing, con la iniziale rivelazione di dieci nomi di persone del mondo politico notoriamente omofobe, e che minaccia di proseguire con altre rivelazioni, ha suscitato qualche consenso, ma anche molte censure negli stessi ambienti che pur si battono contro ogni discriminazione nei confronti delle persone con un orientamento sessuale differente da quello della maggioranza.

Si è detto che non è questo il modo giusto di affrontare la questione, perché non è moralmente lecito invadere la vita privata delle persone contro la loro volontà, e che, alla fine, simili iniziative risultano controproducenti per la stessa causa che vogliono difendere.

Credo, però, che si debba fare, a questo proposito, una qualche necessaria distinzione, trattandosi di una questione morale particolarmente delicata, in cui sono in gioco non solo i diritti degli individui, ma anche il rispetto di un elementare principio di giustizia, che il comune senso morale certamente avverte. Direi, in primo luogo, che non bisogna confondere il diritto alla riservatezza con un improbabile diritto all’ipocrisia.

Ognuno di noi ha certamente il diritto di circondare la propria vita privata di quella riservatezza che la difende dalle incursioni, sovente maligne, della curiosità altrui, più o meno morbosa. Possiamo magari non condividere la scelta che molti fanno di nascondere il loro vero orientamento sessuale, per motivi che possono essere di varia natura, ma non c’è dubbio che questa scelta merita rispetto e ogni violazione della privacy è moralmente condannabile e dovrebbe essere sanzionata anche giuridicamente.

Ma quando alcune persone, che hanno responsabilità pubbliche o capacità di influenzare in qualche misura la pubblica opinione, si oppongono al riconoscimento dei diritti di coloro che manifestano apertamente gli stessi comportamenti che essi praticano in segreto, possiamo ancora parlare di un diritto alla riservatezza?

Qui ci troviamo di fronte non soltanto a un atteggiamento moralmente vizioso e censurabile (l’ipocrisia), ma ad un vero e proprio danno oggettivo che costoro infliggono ad altri per proteggere se stessi, la loro falsa onorabilità e la loro carriera, politica o religiosa che sia.

Qui l’ipocrisia si converte in malvagità, diventa complicità morale con gli omofobi e con i violenti, nega diritti e alimenta persecuzioni. Parlare, in questi casi, di riservatezza per proteggere la propria vita privata, è del tutto fuori luogo.

Per giustificare simili comportamenti si possono anche trovare i più sottili e ingegnosi sofismi, ma un elementare senso di giustizia ci dice che si tratta di azioni moralmente abbiette. Da questo punto di vista, coloro che subiscono l’outing e vengono pubblicamente smascherati, hanno semplicemente quello che meritano.

Il vero problema morale è, piuttosto, un altro. Che contenuto di verità hanno le rivelazioni che vengono fatte sulla vita di personaggi esposti, come ogni persona pubblica, ad inimicizie e, conseguentemente, pettegolezzi di ogni genere? A quali fonti fanno ricorso coloro che si dedicano a queste operazioni di smascheramento?

Il rischio di cadere, magari involontariamente, nella pura e semplice calunnia appare altissimo. Non c’è nulla di disonorevole nell’essere omosessuale, ma chi non lo è giustamente esige di non essere ritenuto tale, come, a mio parere, dovrebbe chiedere di essere pubblicamente considerato e rispettato come tale chi ha, invece, questo orientamento sessuale.

L’outing non è di per sé immeritato, quando colpisce persone che fanno della loro ipocrisia uno strumento per danneggiare la vita degli altri con il falso alibi morale di proteggere la propria, ma si presta a troppi fraintendimenti e speculazioni di basso conio per poter essere accettato come arma di lotta per una società più giusta, nella quale i diritti di ogni individuo trovino quel riconoscimento che deve prescindere da ogni sua caratteristica etnica, religiosa, sociale e anche sessuale.

Purtroppo l’Italia è ormai diventata, nel campo dei diritti civili, il paese più retrivo e bigotto dell’Europa occidentale, e a questa arretratezza corrisponde (non potrebbe essere diversamente) un governo talmente corrotto ed ipocrita che perfino le gerarchie cattoliche hanno cominciato a provare qualche imbarazzo.