A Todi: i cattolici del dopo Berlusconi di M.Vigli

Marcello Vigli
www.italialaica.it, 6 ottobre 2011

Nel denunciare il disinteresse mostrato dai media per le cinque donne morte a Barletta, eclissate sulle prime pagine del giorno precedente dai titoli cubitali sull’assoluzione di Amanda Knox, l’Avvenire del 5 ottobre si pone un inquietante interrogativo: Allora ci si può domandare che Paese è, quello in cui una sciagura che mescola irregolarità edilizie, inadempienze di controlli e lavoro in nero, e fa cinque morti, interessa tanto di meno del destino di una bella ragazza e del suo amico, in primo grado condannati per un omicidio terribile, e a torto o a ragione diventati quasi dei foschi eroi, nella penombra di incertezza che tuttora avvolge ciò che veramente avvenne quella notte, a Perugia.

Non si può non concordare e non chiedersi: che paese siamo diventati? Subito dopo, per evitare lamentazioni e rigurgiti nostalgici è utile interrogarsi sulle cause e sulle responsabilità, ciascuno per la sua parte.

È indubbio infatti che i padri e le madri di questa situazione sono molti, ma non bisogna dimenticare che diverse sono le responsabilità, né ci si deve rifugiare nella ricerca di nonni e nonne o nell’esercizio della denuncia delle colpe altrui.

Anche i cattolici, conciliari o conservatori, dissenzienti o obbedienti, emarginati o integrati, clericali o laici devono farlo specie oggi che anche per loro è diventato urgente interrogarsi sul che fare dopo Berlusconi.

Le irregolarità edilizie, inadempienze di controlli e lavoro in nero non sono nate con l’avvento del Cavaliere, per di più sono rimaste fuori dalle le prime pagine – se non quando hanno provocato tragedie da Sarno a Vicenza, da Alessandria a Barletta – anche quando queste erano occupate dagli appelli per la difesa dei valori non rinunciabili.

Devono innanzi tutto, quindi, sfuggire alla tentazione di sfruttare i consensi ottenuti dalle parole utili, pur se tardive e insufficienti, con cui il cardinale Bagnasco ha adombrato la fine del collateralismo della Cei con Berlusconi, per trarne un alibi per una dichiarazione di irresponsabilità.

Fu così che, all’indomani della caduta del fascismo, il merito conquistato da Pio XII, con la proclamazione di Roma città aperta, il prestigio del cardinale Schuster a Milano per l’involontario protagonismo nell’ultimo atto del regime e nella resa tedesca e l’impegno dei tanti preti, trasformati in assistenti sociali nelle città abbandonate a se stesse, evitarono che si riflettesse sulle complicità della Chiesa con la dittatura durante in ventennio.

Fa bene Giorgio Napolitano, come ha fatto in un incontro pubblico a Biella con gli amministratori locali, a ricordare che la frase “L’Italia ha bisogno di coesione e rinnovamento etico” è stata pronunciata dal Pontefice Benedetto XVI, ma solo per rafforzare il quell’occasione la sua denuncia contro il separatismo leghista.

I cattolici devono chiedersi, invece, quanto governi nazionali e giunte comunali, responsabili di quelle irregolarità, siano stati favoriti dal sostegno di chi chiedeva in cambio non legalità e buona amministrazione, ma l’assunzione di quei valori come criterio ispiratore delle leggi.

Eppure nel documento “Educare alla legalità”, presentato il 4 ottobre 1991 alla vigilia della stagione di “tangentopoli”, dalla Commissione ecclesiale Giustizia e pace della Conferenza episcopale italiana, si legge: La “legalità”, ossia il rispetto e la pratica delle leggi, costituisce una condizione fondamentale perché vi siano libertà, giustizia e pace tra gli uomini. Si denunciava l’evasione fiscale – chi non paga le tasse si ribella all’autorità che viene da Dio – l’abuso dei condoni perché favorisce nei cittadini l’opinione che si può disobbedire alle leggi dello Stato e che la furbizia viene sempre premiata, la criminalità dei colletti bianchi, ma anche la mancanza di mobilitazione delle coscienze contro il crimine.

Il documento, esaltato oggi come profetico dall’Avvenire, fu in verità snobbato da Camillo Ruini, nominato proprio nello stesso anno Presidente della Cei, che preferì inventare un Progetto culturale cristianamente orientato per assumere i valori non rinunciabili come criterio per giudicare l’affidabilità dei governi.

Sulla sua base al cattolico adulto Romano Prodi è stato preferito il clerico-puttaniere Silvio Berlusconi.

A partire da questa scelta dovrebbero cominciare a riflettere i rappresentanti dell’associazionismo cattolico, convocati a Todi il prossimo 17 ottobre per scoprire il ruolo dei cattolici nel dopo Berlusconi, chiedendone conto al cardinale Bagnasco subito dopo la sua introduzione ai lavori.

Sono chiamati a scegliere fra legalità e buon governo difesa dei valori non rinunciabili , cioè, fra un’Italia democratica e un’Italia cristiana.

Cristiana può essere, infatti, solo una comunità di credenti, non una società pluralista in cui le diverse culture e i diversi orientamenti sono chiamati a contaminarsi se non vogliono limitarsi a convivere come separati in casa.

Per farlo hanno, però, bisogno di scoprire che non esiste una “sana” laicità, ma solo la laicità che riconosce uguali dignità e diritti per chi, relativista, non ritiene possibile il raggiungimento di una Verità assoluta e chi ha fede in quella “ricevuta” in dono, e sa che può solo servire per alimentare la Speranza che sia possibile costruire un mondo in cui trionfi la Carità.

Non può servire, invece, per risparmiare loro la fatica di ricercare, insieme agli altri, gli strumenti per costruire, qui ed ora, il migliore dei mondi possibile: quello che possono anche chiamare Regno di Dio.