La caduta delle foglie di B.Manni

Beppe Manni, Cdb Villaggio Artigiano (Modena)
Gazzetta di Modena, 6 ottobre 2011

E’ stato il settembre più caldo degli ultimi 150 anni. Sono settanta giorni che non piove. L’altro giorno si leggeva che la mancanza di piogge e il secco ha impedito ai funghi di nascere nei boschi de nostro Appennino. E poi ci sarà meno vino, frutta e verdura. Ma fra qualche giorno verrà un acquazzone e diremo: avevamo ragione non c’era da preoccuparsi, non è cambiato nulla.

Quando stava per scatenarsi la pioggia micidiale del diluvio universale la gente viveva tranquillamente, scrive la Bibbia, non gliene importava nulla dell’addensarsi minaccioso di strane nuvole all’orizzonte. Mangiavano bevevano e parlavano d’altro. Si parla della fine del mondo nel 2012, ma sono stupidi vaticini di stregoni in cerca di visibilità. Le visioni apocalittiche preannunciate in segreti di presunte madonne parlanti o di profezie dei Testimoni di Geova…lo sappiamo sono calchi presi dai testi apocalittici di antica memoria che troviamo tutti nella Bibbia in Daniele, Matteo, Apocalisse.    Tutte balle viene da dire.   A meno che…

A meno che con un o sguardo più smagato e razionale, laico e illuminista, non apriamo gli occhi della mente verso ciò che sta ‘realmente’ accadendo intorno a noi. Come il filosofo che guardando le stelle è caduto nel pozzo, gli intellettuali che si sono succeduti nelle piazze di Modena, Sassuolo e Carpi, per il Festival della Filosofia, hanno parlato di grandi sistemi ma non hanno detto che il caldo sopportato fuori stagione dagli ascoltatori, le foglie secche che cadevano dagli alberi, i fiumi e i ruscelli quasi prosciugati, erano un segno sempre più evidente del cambio climatico.

Dell’innalzamento progressivo della temperatura della crosta terrestre del nostro pianeta, che ha cominciato a reagire con disastri ambientali nuovi e inediti: cicloni, tsunami, desertificazioni e carestie, guerre e morie di genti. Non sono colpi di tosse o febbriciattole stagionali, segni di un’ influenza passeggera, ma sintomi di una malattia mortale del nostro pianeta.

Non credo che siano sufficienti processioni come ha organizzato un vescovo siciliano o riflessioni divertite costatazioni da bar: “Mo vè il clima sta cambiando!” o “Le stagioni non sono più come una volta”.
Continuiamo oggi a preoccuparci ‘giustamente’ di intercettazioni e crisi economica; di piscine e porcellum. Ma ci incombe un disastro nuovo nella storia dell’umanità, almeno da quattro mila anni. Da quando l’uomo ha cominciato a raccontare la sua storia.

E non ci aiutano molto alcuni scienziati prezzolati che parlano di ciclicità normale, né politici preoccupati d’altro o altri scienziati che dicono che forse esiste un problema, ma è risolvibile.

Dobbiamo pensarci noi, perché noi abbiamo avvertito il cambio e il degrado climatico nel giro di dieci anni. Noi abbiamo visto la scomparsa della nebbia e della neve e stiamo osservando già da un mese la desolata distesa di foglie secche che riempiono i parchi della città. Perché non sta morendo la ‘Natura’ che comunque continuerà trovando altri equilibri, ma è in pericolo la sopravvivenza della specie umana.

E questo ci dovrebbe interessare al di là del motore economico che macina senza cervello risorse e terra; al di là dei piccoli egoismi personali, che non ci permette di vedere; al di là della miopia degli umani che continuano a vivere come se niente stesse drammaticamente cambiando..