Sognando nuovi cattolici sugli spalti della politica

Vittorino Merinas
www.NuovaSocieta.it, 3 ottobre 201

Il grande botto finalmente è arrivato. Desiderato dagli uni e temuto dagli altri come un giudizio finale, la sua eco si va già lentamente perdendo nell’indifferente etere della politica nostrana. L’innominato destinatario ha avvertito sul suo tenace carapace il temuto nuovo colpo, che non sarà mortale. L’uomo che ha governato più per sé che per il Paese, resisterà come ha assicurato, temendo il baratro che altrimenti lo ingoierebbe. Non redimerà mai il suo fallimento politico con un atto infine dignitoso che restituisca ai cittadini la libertà di scegliere altrove chi possa salvarli dall’incombente catastrofe.

L’intervento del cardinale Bagnasco, invocato da molti nella speranza di immediate ricadute politiche, è giunto comunque tardivo. Certo, come egli afferma, la chiesa si era già fatta sentire, ma con la tipica vocina moralistica rivolta a tutti e a nessuno, in una realtà in progressivo e multiforme logoramento per responsabilità ben individuabili. Se la vocina si è trasformata in tuono, la ragione è stata la montante rivolta della base cattolica che riteneva vergognoso l’eterno traccheggiare della gerarchia.

Era tempo che scegliesse: o Berlusconi o il popolo ecclesiale, o l’estorcere al massimo da un chiaramente ricattabile capo del governo o riconquistare la fiducia di credenti consapevoli. Una scelta almeno verbale ora è stata fatta. Chi all’interno della chiesa l’ha imposta dovrà vigilare affinché diventi operante. L’Intervento di Bagnasco, legittimo sotto l’aspetto morale e non orientato a cambiamenti immediati nel governo del Paese, è, comunque, impregnato di prospettive politiche a media scadenza che offrono lo spunto per qualche riflessione.

L’analisi della situazione, precisa, dettagliata e veritiera fatta da Bagnasco, torna a condanna della stessa gerarchia. Essa o sonnecchiava durante il crescente processo di degenerazione morale dell’agire pubblico, ben più grave e socialmente pesante di vicende di sessualità malata, o ne era in qualche modo connivente, dato il suo da sempre patente coinvolgimento nella politica italiana. Che la gerarchia ecclesiastica non faccia politica sia direttamente che attraverso i suoi uomini è una favola. Costoro li conosce per nome ed essi si dichiarano apertamente politici “cattolici” e come tali continuano a sostenere, anche dopo la condanna di Bagnasco e senza sentire il bisogno di un mea culpa, una politica distruttiva per il Paese e universalmente irrisa e deprecata. Non sarebbe tempo che l’agire politico “cattolico” si chiarificasse a sé e agli altri?

Il discorso di Bagnasco, inoltre, è un momento triste per la chiesa e per l’Italia. Per la prima perché promette un ancora più incisivo ed unitario sconfinamento del Vaticano nella politica. “Sembra rapidamente stagliarsi all’orizzonte la possibilità di un soggetto culturale e sociale di interlocuzione politica”, annuncia soddisfatto. Ne sono conferma incontri ad alto livello tra politici “cattolici” e gerarchia. Non un partito vero e proprio. Questo si ricomporrà spontaneamente, e con la benedizione ecclesiastica, nell’area lasciata libera da un Berlusconi impresentabile e inefficiente.

Triste una chiesa che, incapace d’un annuncio di fede credibile e segnata da un vistoso deficit di forza morale, si intestardisce nel politicizzarsi per imporre la sua verità in una realtà ormai multiculturale. Quando non si parlerà più di “cattolici” in politica, ma di semplici cristiani senza altri aggettivi e senza progetti di società, che portano nell’impegno pubblico il rigore morale e la difesa degli svantaggiati, secondo la semplice ma impegnativa indicazione evangelica?.

Discorso triste anche per l’Italia a cui si prospetta la presenza indebita di una realtà altra che le toglie autonomia e laicità, condizioni indispensabili per un’azione politica fruttuosa per la civile convivenza di culture diverse che i processi storici costringono a coabitare. Tristezza aumentata dalla constatazione della debolezza della classe politica indistintamente, spesso più attenta al potere che alle richieste della storia e del Paese, e per questo disponibile a prostrarsi all’autorità religiosa per goderne l’appoggio. Quando uno Stato laico, ma non antireligioso, che sia lo Stato di tutti, aperto ai ‘valori’ di tutti ed estraneo a valori ‘non e negoziabili’, per una pacifica convivenza?