Io parlo delle ragioni dei 500mila e non della stupidità dei 500

Massimo Ragnedda
www.megachipdue.info

Il 15 ottobre era la giornata mondiale dell’indignazione. Una giornata carica di significato e di voglia di cambiare il mondo, di protesta democratica e di voglia di farsi sentire. Il 15 ottobre milioni di persone nei quattro angoli del pianeta sono scesi in piazza per protestare contro la distruzione dei diritti sociali e democratici e l’abbattimento del Welfare State provocata dalle ricette con cui i governi stanno affrontando la crisi economica. Crisi creata dal mondo della finanza e delle banche, ma pagata dai ceti più deboli e dai poveri. Il 15 ottobre in 951 città del mondo milioni di persone di ogni età, ma soprattutto giovani, sono scesi in piazza indignati per un sistema politico economico che si preoccupa di salvare le banche prima dei cittadini.

Non pagheremo la vostra crisi, era uno degli slogan della manifestazione oscurata, perlomeno in Italia, da facinorosi che hanno così conquistato le prime pagine dei giornali e obbligato i Tg a parlar di loro. Io, in queste poche righe, non parlerò di loro, ma delle ragioni che hanno spinto milioni di persone in tutto il mondo a protestare. Parlerò delle ragioni degli Indignados, che poi sono le ragioni della stragrande maggioranza dei cittadini, e non cadrò nella trappola mediatica che ha oscurato le ragioni della protesta.

Gli indignati credono sia ancora possibile rimettere al centro il lavoro, lo stato sociale, la cultura, l’istruzione, i beni comuni e la sostenibilità ambientale. L’indignazione dei cittadini è verso una classe politica prona agli interessi delle banche, degli uomini dell’alta finanza e della speculazione. Si indignano perché la crisi è stata creata dalle banche e dagli speculatori, ma è pagata dai lavoratori e dalle famiglie. Che cosa chiedono? Chiedono che vengano tassate le transazioni finanziarie e i grandi capitali, eliminati il segreto bancario e limitati il potere alle banche centrali. Si chiedono perché l’economia di uno Stato debba essere fortemente influenzata dalla banche centrali che sono in mano ai privati. Già, perché?

Sono molteplici le ragioni degli Indignados e per comodità si possono dividere in quattro grandi categorie: indignazione contro le iniziative militari che costano in termini economici e di vite umane; indignazione contro il sistema finanziario e gli annessi paradisi fiscali dove evasori, trafficanti e faccendieri nascondono i soldi sfuggiti al fisco o riciclano il denaro sporco; indignazione contro la classe politica che ha perso contatto con la realtà e con la popolazione, e che ascolta, invece, i diktat delle banche, privatizza il sistema sociale e impone opere faraoniche contro gli interessi dei cittadini e contro l’ambiente; indignazione contro il potere mediatico, accusato di non dare spazio sufficiente al dissenso e di nascondere le vere ragioni della crisi. Ecco le ragioni degli indignati che avrebbero dovuto conquistare il dibattito pubblico e spingere i cittadini a ragionare su questo. Ma di questo i TG non hanno parlato. Vi era altro di cui parlare. Purtroppo.

Gli indignati protestano contro quell’1% della popolazione mondiale che detiene e gestisce il capitale e il potere e che influenza le politiche economiche di uno stato sovrano. Questo manipolo di banchieri, finanzieri, funzionari delle agenzie di rating o di altri enti-sovra nazionali non sono eletti dai cittadini ma decidono, lontani dai riflettori, la politica degli stati. Un esempio: la lettera che Trichet ha inviato al governo italiano dove chiedeva, o meglio imponeva, di tagliare lo Stato sociale e di privatizzare progressivamente gran parte dei servizi pubblici come scuola, previdenza e sanità. Perché devo pagarla io questa crisi? Perché si deve privatizzare la scuola e la sanità? Perché le banche devono avere sempre più potere e gli speculatori possono agire, a livello globale, indisturbati? Ecco perché ci si indigna: perché si chiedono sacrifici ai deboli e si aggrediscono i più elementari diritti sociali, mentre la classe politica, eletta per tutelare i nostri interessi, non riesce ad opporsi ai nuovi tiranni.

Ma indignarsi non basta. Uno degli slogan usati dal movimento internazionale è: Siamo indignati, costruiamo l’alternativa. L’obiettivo primario è promuovere una democrazia partecipativa che restituisca dignità e valore all’azione politica e che metta il cittadino, e non l’economia, al centro del dibattito.

A questa indignazione globale si aggiunge altra indignazione nazionale. In Italia, ci si indigna per una classe dirigente e un governo lontano dagli interessi dei cittadini. Ciò che indigna è l’iniqua manovra fiscale del governo italiano, considerato dai manifestanti un massacro ai danni dei lavoratori, delle famiglie e dei pensionati. Le ragioni dei cittadini indignati stanno, nel caso italiano, in una manovra economica che non tassa le grandi ricchezze e i grandi patrimoni, che non riduce le spese militari, che non taglia le spese inutili, ma fa pagare la crisi ai più deboli, perché non ha il coraggio di toccare gli interessi dei più forti.

Il cittadino è indignato di fronte ad uno Stato forte con i deboli e debole con i forti, che tiene impegnato un parlamento a parlare di intercettazioni, di leggi bavaglio contro la libertà di stampa (c’è chi chiede addirittura il carcere per i giornalisti che pubblicano ciò che non dovrebbero pubblicare, ovvero notizie “vere” ma scomode), di processo breve, di leggi ad personam, che nega l’autorizzazione all’arresto di Cosentino prima e di Milanese dopo, che dice di credere che Ruby sia la nipote di Mubarak, che ha un ministro indagato per concorso esterno in associazione mafiosa e corruzione dalla Procura di Palermo, etcetera. Ci si indigna per una classe politica incapace e degradante, che sta distruggendo, oltre alle istituzioni e ai conti, la nostra credibilità di cittadini e di Stato. Ci si indigna contro un governo incapace di dare un futuro ai tanti giovani che da tempo hanno perso ogni speranza. Ci si indigna perché ci stanno rubando il futuro, i sogni, la poesia.

Queste sono alcune delle ragioni che indignano i cittadini. Ragioni, invece, oscurate dai violenti organizzati.

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Dopo la manifestazione di Roma. Indignati contro Briganti

Gianni Rossi
www.paneacqua.eu

Con gli Indignati stiamo alla vigilia di qualcosa di nuovo, che tutti i media, tradizionali e digitali, dalla rete alle TV alle radio, al satellite ai telefonini, dovranno documentare con obiettività e vastità di mezzi. Illuminare tutto quanto si sta muovendo nella società e nella Rete dovrà essere un imperativo etico nei prossimi mesi, proprio per aiutare a maturare democraticamente quanto sta nascendo fuori dall’alveo tradizionale del mondo politico. Solo così si potranno isolare i violenti

Un plauso al programma di Lucia Annunziata che questa domenica su Raitre, a “Mezz’ora”, ha messo a confronto alcuni leader del Movimento degli Indignati, riuniti al cinema Palazzo di San Lorenzo occupato, con esponenti del Pd a convegno a L’Aquila. Questa è televisione; così si valorizza il servizio pubblico vero: quando si cerca di scandagliare le ragioni di un fatto di cronaca politica come appunto quello di sabato a Roma, dove contro la gioia e la libertà di manifestare si sono scagliati alcune migliaia di “Briganti”, senza per altro che le forze dell’ordine fossero coordinate al meglio per contrastarne la furia devastatrice.

La violenza va condannata comunque e dovunque. La via della contestazione pacifica e democratica è la sola che può far cambiare lo stato delle cose e in questi termini gli Indignados di mezzo mondo hanno dimostrato tutta la loro “rabbia” contro questa crisi, generata dall’iperliberismo, dall’assenza di regole del mercato, dallo scollamento dell’economia reale produttiva rispetto a quella cartacea, fatta di “derivati” e altri mezzi iperspeculativi. E’ vero: paghiamo debiti privati, mascherati da debiti pubblici! Stanno strozzando paesi e popoli in nome di un capitalismo ormai messo alle corde dai loro stessi epigoni. Stanno distruggendo il futuro di intere generazioni.

Mai come ora, rispetto alla storica crisi del 1929, il mondo globalizzato è stato attraversato da una crisi così devastante e lunga, alla fine della quale non si intravvedono segnali di ripresa, ma solo sintomi di malesseri sociali, scontri di piazza, squilli di trombe guerreggianti. Attenzione, perché se negli Stati Uniti dovesse perdere l’anno prossimo Obama, la leadership oltranzista della destra repubblicana riproporrebbe con forza devastante una politica protezionistica a livello economico e “muscolare” a livello dei rapporti tra gli stati. La fine delle guerre regionali è ancora di là da venire, insomma. Mentre si delineano scenari di guerre commerciali, in nome del predominio delle fonti energetiche, dei mercati finanziari e dei sitemi di produzione.

In questo panorama a tinte fosche, però, brilla la presa di coscienza, l’indignazione, il senso di responsabilità delle nuove generazioni in tutto il mondo e di quanti, tra le forze politiche, intellettuali e sociali, cercano di sperimentare nuove vie. Per queste ragioni, anche se rovinata dalle bande banditesche, la manifestazione di ieri è stata positiva nella parte in cui le centinaia di migliaia di persone dimostravano a Roma pacificamente e con i “colori” dell’immaginazione. Stiamo alla vigilia di qualcosa di nuovo, che tutti i media, tradizionali e digitali, dalla rete alle TV alle radio, al satellite ai telefonini, dovranno documentare con obiettività e vastità di mezzi. Illuminare tutto quanto si sta muovendo nella società e nella Rete dovrà essere un imperativo etico nei prossimi mesi, proprio per aiutare a maturare democraticamente quanto sta nascendo fuori dall’alveo tradizionale del mondo politico. In Italia, in Europa e nel resto del mondo.

Solo così, ne siamo certi, si potranno isolare i violenti, sbugiardare i tanti “soloni” al potere, che strumentalmente cercano di etichettare questa nuova realtà, proprio per mantenere lo “statu quo”, perchè nulla cambi e le diseguaglienze aumentino. Solo così potrà nascere un nuovo modo di concepire la politica, l’etica sociale, i rapporti tra le persone nella solidarietà e nella piena libertà.