La missione dei cattolici

Ferruccio de Bortoli
Corriere della Sera, 17 ottobre 2011

Il Paese ha bisogno dei cattolici. La ricostruzione civile e morale non sarà possibile senza un loro diverso e rinnovato impegno politico. E senza un dialogo più stretto, fuori dagli schemi storici, con gli eredi delle tradizioni liberale e riformista. Se n’è discusso molto in questi giorni e il Corriere ha ospitato opinioni di orientamento differente stimolate da un articolo di Ernesto Galli della Loggia. Non si tratta di ricostituire il partito dei cattolici, né di far rivivere, sotto altre forme, la Democrazia cristiana, o il Partito popolare, al di là dell’attualità del pensiero di don Sturzo.

L’idea del partito unico è stata seppellita con la Prima Repubblica. E non se ne sente la necessità, nonostante qualche fondata nostalgia per la difesa dello Stato laico e delle sue istituzioni che appariva più convinta ed efficace quando vi era un forte partito di diretta ispirazione cristiana. La cosiddetta Seconda Repubblica è apparsa fin da subito affollata di atei devoti e politici senza scrupoli, ai quali le gerarchie ecclesiastiche hanno talvolta frettolosamente concesso ampie aperture di credito.

Nel nostro sofferto bipolarismo, al contrario, testimonianze cattoliche più autentiche sono state ridotte alla pura sussistenza o, come ha scritto Dario Antiseri, alla scomoda condizione di ascari. La diaspora ha trasmesso ai cattolici la falsa sensazione di contare di più. Come oggetti, però. Promesse generose (si pensi solo alla tutela economica della famiglia) mai mantenute.

Impegni solenni, e discutibili, sulla bioetica, subito derubricati nell’agenda politica, e dunque ritenuti solo a parole irrinunciabili. Nella triste époque , come la chiama Andrea Riccardi, il ruolo dei cattolici in politica è finito per essere quello degli ostaggi corteggiati a destra e degli invisibili tollerati a sinistra. Condizione che ha impoverito la politica e immiserito una società scivolata nell’egoismo e nella perdita di un comune sentimento civile.

Nell’immaginario collettivo del pur variegato mondo cattolico si è poi creata una frattura tra chi poteva trattare con lo Stato la difesa dei valori e dei principi, e chi ha cercato di ritrovare i segni dell’essere cristiani nella pratica di tutti i giorni. I primi hanno chiuso troppi occhi su modelli di vita e di società non proprio evangelici e mostrato una tendenza al compromesso eccessivamente secolarizzata. Gli altri, i cittadini e i fedeli, si sono sentiti non di rado smarriti. Non hanno perso la speranza solo grazie a uno straordinario tessuto di parrocchie, comunità, reti di volontariato, cui tutti noi italiani, credenti o no, dobbiamo un sentito grazie.

Angelo Bagnasco, il presidente della Conferenza episcopale, ha parlato della necessità di creare un «nuovo soggetto culturale e sociale di interlocuzione con la politica che sia promettente grembo di futuro, senza nostalgie né ingenue illusioni». L’incontro di oggi a Todi, al quale partecipa lo stesso Bagnasco, forse ne svelerà la forma. Non sarà un partito, dunque, e non è nemmeno necessario che il forum delle associazioni cattoliche del lavoro si ponga il problema di quale veste assumere. Sono stati troppi in questi anni i contenitori senza contenuti.

Che cosa potrebbero fare allora questo forum e altre aggregazioni già in movimento dell’universo cattolico? Sarebbe sufficiente che si ponessero obiettivi assai semplici seppur ambiziosi: ravvivare lo spirito comunitario, la voglia di partecipazione e gettare un seme di impegno per gli altri. «Né indignati, né rassegnati», ha detto Bagnasco: è uno slogan efficace. Nel saggio Geografia dell’Italia cattolica , Roberto Cartocci scrive che «la tradizione cattolica appare come il collante più antico, il tratto più solido di continuità fra le diverse componenti del Paese». Non solo: è portatrice di una cultura inclusiva, che non divide e frantuma la società. Ha il senso del limite all’azione della politica e della presenza dello Stato nella vita dei privati. Sono qualità importanti. Apprezzate da tutti. Anche da noi laici.

Quel che resta, non poco, di quella tradizione ha il compito storico di promuovere un dialogo più proficuo con le altre componenti laiche, liberali e riformiste della società. L’indispensabile opera di pacificazione del dopo Berlusconi passa necessariamente dalla affermazione della centralità della persona e dalla riscoperta delle virtù civili. I cattolici possono intestarsi una nuova missione, esserne protagonisti. Dire quale idea dell’Italia hanno in mente. Riscoprire un tratto più marcatamente conciliare dopo l’era combattiva e di palazzo di Ruini. Una missione sociale, in questi anni, poco valorizzata, mentre si è insistito tanto sulla difesa dei valori cosiddetti non negoziabili, dal diritto alla vita alle questioni bioetiche, al punto di estendere l’incomunicabilità con le posizioni laiche all’insieme delle questioni civili ed economiche. Un dialogo va ripreso su basi differenti, nel rispetto delle libertà di coscienza.

La collocazione politica dei cattolici costituisce un problema secondario, per certi versi irrilevante. Galli della Loggia ha scritto che il centro non è il luogo del loro destino genetico, e tantomeno la sinistra. De Rita si è chiesto chi potrebbe essere il nuovo federatore di tante anime sparse disordinatamente. La politica verrà. Per ora possiamo dire che sarebbe un imperdonabile errore se lo slancio partecipativo dei cattolici, palpabile nel fermento di molte associazioni e componenti, si esaurisse in una sterile discussione di schieramento. Quello che ci si aspetta da loro è un contributo decisivo nella formazione di una classe dirigente di qualità che persegua l’interesse comune.

Un esempio di etica pubblica da trasmettere ai giovani frastornati e delusi da una stagione di scialo economico e morale. La costruzione di un futuro che coniughi solidarietà e competitività. L’idea dell’impegno, del sacrificio e dello studio come assi portanti della società. Un maggior rispetto per le istituzioni, a cominciare naturalmente dalla famiglia, sopraffatte da un individualismo dilagante e cinico. Quel cinismo «che va a nozze con l’opportunismo», come ha scritto bene sull’ Avvenire di ieri Francesco D’Agostino. I cattolici promuovano un dialogo senza pregiudizi con gli altri, come è accaduto nei momenti più bui della storia del nostro Paese. Il loro apporto sarà decisivo nella misura in cui saranno se stessi, senza mimetizzarsi e perdersi in altre case apparentemente ospitali. Possono essere maggioranza nel dibattito delle idee, pur restando minoranza nel Paese.

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Realismo e laicità della politica

Enrico De Mita
Il Sole 24 Ore, 15 ottobre 2011

Quando si auspica per i cattolici «un soggetto culturale e sociale di interlocuzione con la politica», escluso che debba trattarsi di un nuovo partito politico, si tratta di chiarire che cosa s’intenda per “politica”, come debba essere delimitata e come vada colta l’interlocuzione. Notoriamente la politica è l’insieme dei problemi della polis e l’indicazione degli strumenti per risolverli. Ma questi problemi non vanno letti secondo l’assolutezza di principi, ma nella gradualità e incertezza della vita politica.

Bisogna fare quello che si può, diceva Monsignor Casaroli, e poi quello che si vuole.

Ciò dimostra, disse Moro, il salto qualitativo che i dati della coscienza morale e religiosa sono costretti a fare, quando essi passano sul piano del contingente, quando sono affidati a strumenti e modi propri della lotta politica. In questa sorte di realismo cristiano trova fondamento la laicità della politica e la responsabilità esclusiva dei laici nelle scelte politiche. Il rapporto fra ispirazione religiosa e laicità politica è un rapporto complesso che non mortifica né l’uno né l’altra. I problemi del nostro paese sono tanti a cominciare da quelli della crisi economica e dei problemi connessi: si tratta anche di questi, ma i punti nodali propri di una sensibilità e ispirazione dei cattolici sono i seguenti:

1) Far rivivere il senso della legalità e dello Stato, giacché l’espressione critica di questo momento è lo svilimento delle leggi e della istituzione, sulla base di un populismo acritico e irresponsabile che può solo condurre ad un dominio personale pericoloso che non ha niente a che vedere con un presidenzialismo giuridicamente definito. Questa crisi della legalità conduce a leggi elaborate casualmente e del tutto sganciate dai fini che pure si dice di voler perseguire (si guardi alla confusione enorme in tema di federalismo fiscale che sta conducendo alla mortificazione costante degli enti locali e alla interpretazione scorretta del principio di sussidiarietà).

2) Il contemperamento fra libertà e doveri, le due facce della stessa medaglia. Va riletto l’articolo 2 della Costituzione che fu voluto soprattutto dai costituenti cattolici: «La Repubblica riconosce i diritti inviolabili dell’uomo, sia come singolo sia nelle formazioni sociali ove svolge la sua personalità e richiede l’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale». Quando si parla di doveri dei cittadini nel linguaggio corrente (anche a prescindere dalla Costituzione) si pensa a quelle limitazioni dei diritti e quei comportamenti che sono necessari a realizzare il bene comune. Oggi l’accento viene posto più sui diritti fino al dissenso sistematico, viviamo in un momento caratterizzato da forte individualismo, sicché sembra lontana «quella stagione dei doveri, senza la quale, diceva Aldo Moro, questo paese non si salverà».

Difatti la solidarietà di cui parla l’art. 2 è proprio quella unità politica e morale del paese senza la quale è difficile che un paese possa sopravvivere. Come ha detto Lazzati prima di morire, il nostro dovere è quello della fedeltà ai valori della democrazia non in senso generico, ma a quelli espressi nei principi fondamentali della Costituzione. L’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà è stata definita da Mortati come una norma chiave in quanto con essa la Costituzione ha voluto «affermare che non è l’uomo in funzione dello Stato ma quest’ultimo in funzione dell’uomo». Fra i doveri di solidarietà va sottolineato il problema fiscale che è di forte rilevanza politica e morale che da solo è idoneo a dimostrare che cosa significhi affrontare su un terreno specifico, ancorché dominato dalla tecnica, il delicato problema dei rapporti fra Stato e cittadini e fra cittadini e cittadini, vale a dire della unità civile e morale del paese.

Nell’interlocuzione sulle cose pubbliche i cattolici non possono dimenticare il loro patrimonio storico i valori civili espressi dalla propria esperienza a partire dall’Opera dei Congressi, al partito popolare, alla Democrazia Cristiana. Non si può dimenticare l’insegnamento di Sturzo, De Gasperi, Gonella, Vanoni per tacer d’altri, e il loro contributo nell’individuare il corretto rapporto fra nazione e autonomie locali, il rispetto della proprietà e la solidarietà fra le classi, il diritto allo studio e la funzione della scuola privata. Sono tutte tematiche che richiedono aggiornamenti nel rispetto della Costituzione.

Tali adempimenti vanno fatti alla luce del principio delle parità di trattamento di fronte alla legge: «Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono uguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali». È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che limitano di fatto la libertà (articolo 3). Anche da questo punto di vista deriva il corretto rapporto fra tutti i cittadini, fra credenti e non credenti. Nella soluzione dei problemi del Paese cattolici e politica non vuol dire contrapposizione fra credenti e non credenti. I cattolici non possono esigere leggi che non valgano per tutti i cittadini. Se in questa ricerca alcuni cattolici ritengono, come in passato, di fondare partiti di ispirazione propria si trovano solo di fronte ad una scelta di libertà: non sono obbligati a farlo, ma non si trovano di fronte ad un veto: dipende da loro.