Poveri di diritti – XI Rapporto su povertà ed esclusione sociale in Italia

A cura di Caritas Italiana – Fondazione Zancan

SINTESI

È un titolo fortemente evocativo quello del nuovo rapporto Caritas-Zancan su povertà ed esclusione sociale in Italia: “Poveri di diritti” (ed. il Mulino, in libreria dal 20 ottobre). Un titolo che nasce da una semplice, ma non scontata considerazione: alle persone che vivono in condizioni di povertà si pensa solo in termini di insufficienti risorse economiche, ignorando che esiste tutta una serie di altre privazioni che peggiorano lo stato di precarietà e ne impediscono il superamento. Il diritto alla casa, al lavoro, alla famiglia, all’alimentazione, alla salute, all’educazione, alla giustizia ‐ pur tutelati dalla Costituzione italiana ‐ sono i primi a essere messi in discussione e negati. Allo stesso modo, viene regolarmente violato il “diritto a non scomparire per effetto statistico”, visto che le statistiche sulla povertà non riescono a documentare gli effetti devastanti della crisi per molte famiglie.


La situazione reale della povertà in Italia

Come nella passata edizione del rapporto, anche quest’anno va registrata una sostanziale difformità tra i dati ufficiali relativi alla povertà e la reale condizione del paese, che tutti sperimentano quotidianamente e che richiederebbe un’integrazione dell’attuale metodo di rilevazione con soluzioni più sensibili ai cambiamenti.

Nel 2010 8 milioni e 272 mila persone erano povere (13,8%), contro i 7,810 milioni del 2009 (13,1%). Secondo i dati Istat (2011) il 2010 ha registrato un lieve incremento nel numero di famiglie in condizioni di povertà: si è passati da 2,657 milioni (10,8%) a 2,734 milioni (11%).

I più colpiti. Nel 2010 la povertà relativa è aumentata, rispetto all’anno precedente, tra le famiglie di 5 o più componenti (dal 24,9 al 29,9%), tra le famiglie monogenitoriali (dall’11,8 al 14,1%), tra i nuclei residenti nel Mezzogiorno con tre o più figli minori (dal 36,7 al 47,3%) e tra le famiglie di ritirati dal lavoro in cui almeno un componente non ha mai lavorato e non cerca lavoro (dal 13,7 al 17,1%). Ma la povertà è aumentata anche tra le famiglie che hanno come persona di riferimento un lavoratore autonomo (dal 6,2 al 7,8%) o con un titolo di studio medio‐alto (dal 4,8 al 5,6%). Per queste ultime è aumentata anche la povertà asso‐luta, passando dall’1,7 al 2,1%.

Diritti negati

Se i poveri avessero dei diritti, il primo sarebbe quello di poter sperare in una vita migliore, per sé e per i propri figli, e di sapere che l’uscita dalla povertà è possibile. Invece oggi esiste una “cultura diffusa” secondo cui le azioni a favore dei poveri da parte dello stato sono una specie di benevolenza, una conces‐sione, una cura di mantenimento per povertà di lungo periodo da cui è difficile uscire. È proprio questo at‐teggiamento a comportare la negazione di alcuni tra i diritti fondamentali. Tra questi:

il diritto alla famiglia. La povertà colpisce con particolare violenza le famiglie numerose, con più di due figli. Senza un adeguato sostegno, le famiglie non saranno incentivate a fare figli e le riper‐cussioni a livello demografico saranno pesanti. Tuttavia, nel bilancio di previsione dello stato per gli anni 2010‐2013, il Fondo per le politiche della famiglia registra i seguenti decrementi: 185,3 mi‐lioni di euro nel 2010, 51,5 milioni nel 2011, 52,5 milioni nel 2010 e 31,4 milioni nel 2013.

-il diritto al lavoro. In Italia, i cittadini tra i 15 e i 64 anni con un lavoro regolarmente retribuito so‐no quasi 22 milioni e 900 mila, il 56,9% dei cittadini. La percentuale è tra le più basse dell’Occidente. Ci sono poi tre categorie particolarmente vulnerabili: i giovani (l’occupazione è crollata dell’8% nel 2009 e del 5,3% nel 2010); le donne (in Italia lavora solo il 47%); le persone di‐sabili (nel 2008 hanno fatto domanda di assunzione 99.515 disabili e nel 2009 83.148, ma gli aviamenti effettivi al lavoro sono stati rispettivamente 28.306 e 20.830).<

− il diritto al futuro per i giovani: I giovani che hanno iniziato a lavorare a metà degli anni Novanta matureranno verso il 2035 una pensione analoga a quella degli attuali pensionati con il minimo Inps, ossia di 500 euro. Sono i poveri relativi di oggi e i poveri assoluti di domani.

Soldi spesi male: il monitoraggio della spesa dei comuni

Il Rapporto 2011 propone un’attenta analisi della spesa dei comuni per la povertà e il disagio econo‐mico, già avviata nelle due precedenti edizioni. In vista del nuovo assetto federalista, che prevede un riequi‐librio delle risorse e il superamento delle divergenze territoriali, diventa fondamentale avere chiaro il qua‐dro della situazione per capire dove intervenire

Secondo la rilevazione 1 , negli ultimi due anni la spesa assistenziale dei comuni è aumentata del 4%, la spesa per la povertà dell’1,5% e quella per il disagio economico del 18%. Nel 2008, il 31% dei 111,35 euro pro capite di spesa sociale è stato destinato a dare risposte a persone povere o con disagio economico.

Dai dati si evince che a distanza di un anno nulla è cambiato: gli enti locali continuano a investire tan‐te risorse assistenzialistiche nel contrasto alla povertà, ma con scarsi risultati. Il problema è sempre lo stes‐so: la prevalente logica emergenziale in base alla quale è preferibile erogare contributi economici piuttosto che attivare servizi. Questo modo di rispondere alla povertà non incentiva l’uscita dal disagio ma, anzi, ri‐schia di rendere cronico il problema. Lo dimostra il fatto che, a fronte dell’aumento di risorse, non si è regi‐strato il corrispettivo calo del numero di italiani poveri.

Eppure in Italia si continua a percorrere questa strada fallimentare. La maggior spesa pro capite è ri‐servata tutt’oggi ai contributi economici una tantum a integrazione del reddito familiare: nel 2008 per erogarli sono stati spesi 276 milioni di euro (il 4% in più rispetto al 2007), 4,62 euro per abitante. Questi contri‐buti rappresentano circa il 13% della spesa per persone povere o con disagio economico. Un altro 12‐13% è finalizzato a erogare contributi per l’alloggio (228‐237 milioni di euro), mentre quelli per cure o prestazioni sanitarie rappresentano il 2%. Infine, i contributi per i servizi scolastici sono l’1% della spesa per povertà e disagio economico.
Differenze regionali

Confrontando i dati a livello di regione/provincia autonoma, negli ultimi due anni si conferma il diva‐rio tra chi spende di più e chi spende di meno, tra le regioni a statuto speciale e quelle a statuto ordinario, tra Centro‐Nord e Sud.

Nel 2008, il divario di spesa pro capite tra chi spende di più e chi spende di meno è di: 1 a 9 per la spesa sociale complessiva, di 1 a 11 per quella destinata alle persone con disagio economico e 1 a 9 per la spesa per il contrasto alla povertà. Le regioni a statuto speciale e le province autonome confermano la loro maggiore capacità di spesa, anche per quanto riguarda la povertà e il disagio economico. Nel primo caso la spesa pro capite è circa il 50% in più rispetto a quella delle regioni a statuto ordinario (11,1 contro 8 euro), nel secondo caso è più alta del 16% (24,9 contro 21,5 euro). Limitatamente alle regioni a statuto ordinario, quelle del Centro‐Nord sostengono una spesa sociale complessiva pro capite più che doppia rispetto al Sud (125,7 contro 51,65 euro). Tale divario si mantiene con riferimento alla spesa per disagio economico delle persone e delle famiglie (25,77 contro 10,58 euro), mentre la differenza nella spesa per la povertà è limita‐ta: c’è solo 1,3 euro a dividere la spesa dei comuni del Centro‐Nord (8,38 euro) da quella dei comuni del Sud (7,02 euro).

1 Il monitoraggio considera il periodo dal 2004 al 2008, per cui sono disponibili i dati Istat.

TAB. 1. Spesa complessiva, spesa per le persone povere e per quelle con disagio economico, per regione, va‐lori in euro pro capite, 2007‐2008

  Spesa sociale complessiva (a) Spesa destinata alle persone con disagio economico (b) Spesa area povertà (c) Incidenza % di (b) + (c) su (a)
Regione/P.A. 2007 2008 2007 2008 2007 2008 2007 2008
Piemonte 136,70 140,74 39,65 40,80 7,68 9,28 34,6 35,6
Valle d’Aosta 235,61 262,98 13,86 14,16 4,37 4,31 7,7 7,0
Lombardia 120,28 120,19 25,90 34,96 8,25 8,00 28,4 35,8
P.A. Bolzano 230,48 209,15 31,33 33,63 38,18 19,44 30,2 25,4
P.A. Trento 268,77 280,52 22,67 20,20 18,26 17,68 15,2 13,5
Veneto 104,26 110,90 27,00 33,51 6,00 6,61 31,7 36,2
Friuli‐V.G. 189,79 211,15 38,29 44,94 15,42 28,58 28,3 34,8
Liguria 116,25 137,95 26,20 33,17 7,32 8,89 28,8 30,5
Emilia‐R. 163,30 167,98 25,52 27,71 5,95 6,15 19,3 20,2
Toscana 132,64 130,38 28,69 28,94 12,30 11,93 30,9 31,3
Umbria 85,15 95,44 15,48 21,29 5,08 4,93 24,1 27,5
Marche 105,53 106,63 18,41 19,30 4,50 4,50 21,7 22,3
Lazio 126,33 134,24 15,29 19,63 12,43 12,56 21,9 24,0
Abruzzo 62,54 64,81 7,14 8,22 2,99 3,18 16,2 17,6
Molise 43,23 41,32 8,93 9,51 5,38 4,83 33,1 34,7
Campania 52,91 53,69 10,68 10,53 7,09 7,40 33,6 33,4
Puglia 56,41 55,16 15,30 13,94 6,27 5,73 38,2 35,7
Basilicata 73,06 57,77 9,58 9,43 26,13 5,75 48,9 26,3
Calabria 26,16 30,33 3,54 4,74 5,63 7,22 35,1 39,4
Sicilia 72,15 70,33 18,35 20,74 5,43 3,26 33,0 34,1
Sardegna 145,75 168,40 34,39 51,04 15,40 19,38 34,2 41,8
Italia 107,78 111,35 22,03 25,76 8,47 8,53 28,3 30,8

Fonte: elaborazione Fondazione «E. Zancan» su dati Istat.


Quali politiche per andare oltre l’emergenza?

Il perdurare della condizione di povertà di molte persone e famiglie povere dimostra che le politiche di contrasto fin qui attuate non sono riuscite a incidere sul fenomeno. Anziché continuare a insistere su una strada dimostratasi fallimentare, è ora importante segnare un netto cambiamento di rotta.

La prima strada da percorrere è quella di incrementare il rendimento della spesa sociale. La seconda è di recuperare i crediti di solidarietà (basati sull’erogazione di finanziamenti a favore di persone che si impe‐gnano effettivamente in progetti di sviluppo locale) destinandoli in via prioritaria a occupazione di welfare a servizio dei poveri. I fallimenti dei trasferimenti monetari senza responsabilizzazione sono la principale ragio‐ne per mettere in discussione le politiche di ieri e di oggi di lotta alla povertà, basate su «misure» standardiz‐zate, di tipo burocratico, che non guardano l’effettiva condizione delle persone, ma solo alle carte.

Un modo di aumentare il rendimento della spesa sociale è la professionalizzazione dell’aiuto. Ad og‐gi, gli oltre 100 miliardi di euro di raccolta fiscale destinati ai servizi sanitari sono trasformati in centinaia di migliaia di posti di lavoro. Se questo criterio fosse applicato alla spesa per servizi sociali, si potrebbe ipotiz‐zare un risultato occupazionale di circa altrettante migliaia di posti attivabili per lavori di cura e infrastruttu‐re di welfare. Molte donne con figli e molti giovani uscirebbero dalla disoccupazione e dalla povertà lavo‐rando a servizio degli altri.

Ci sono due ulteriori fonti di risorse per generare lavoro di cura: riguardano i 17‐18 miliardi di euro oggi destinati a indennità di accompagnamento e assegni al nucleo familiare. Potrebbero essere investiti in lavoro di servizio, garantendo ai beneficiari un rendimento ben superiore a quello attuale (il trasferimento economico gravato da oneri amministrativi), misurabile in termini di riduzione dei tassi di povertà, di isola‐mento sociale e disoccupazione.


Nuove presenze nei Centri di Ascolto Caritas

Come già segnalato nel precedente Rapporto, le Caritas diocesane continuano a segnalare un pro‐gressivo aumento del numero di persone che si presentano ai Centri di Ascolto (CdA) e ai servizi Caritas. Da una rilevazione su un campione di 195 Centri di Ascolto, ubicati presso 15 regioni civili, risulta che nel corso degli ultimi 4 anni (2007‐2010), il numero di persone ascoltate è aumentato del 19,8%. L’aumento più elevato si registra nel Sud Italia (+69,3%). L’aumento di minore intensità si registra invece nei Centri di Ascolto del Nord‐Est (+3,8%).

Alcune caratteristiche generali:

a) al primo posto figurano sempre i problemi di povertà economica, seguiti dai problemi di occu‐pazione, i problemi abitativi e, al quarto posto, i problemi familiari;

b) aumentano gli italiani: rispetto al valore base del 2007, si registra un incremento complessivo pari al 42,5%;

c) i “nuovi poveri”: si tratta di persone che risiedono in dimora stabile, sono in possesso di un lavo‐ro e vivono all’interno di un nucleo familiare. I nuovi poveri sono aumentati del 13,8% in quat‐tro anni, con significative differenze nelle diverse macroregioni italiane. Nel Mezzogiorno l’aumento registrato è addirittura del 74%

d) le richieste ai Centri di Ascolto: nel corso di 4 anni, è aumentata dell’83,1% la richiesta di coin‐volgimento di soggetti esterni (gruppi di volontariato, enti pubblici o privati, persone o famiglie, parrocchie, ecc. Forte anche l’aumento delle richieste di sussidi economici (+80,8%) e di consu‐lenze professionali (+46,1%). Diminuiscono invece le richieste di sostegno socio‐assistenziale (‐38,6%), ma anche quelle di lavoro (‐8,5%);

e) le risposte fornite dalla Caritas: aumenta il coinvolgimento di soggetti terzi (+90%), segnale di una crescente complessità delle situazioni di povertà. Aumenta anche l’erogazione di sussidi e‐conomici e di beni primari: rispettivamente, + 70 e + 40,8%.


Cambia il volto della povertà

Il raggio di azione della povertà economica si sta progressivamente allargando, e coinvolge un nume‐ro crescente di persone e famiglie tradizionalmente estranee al fenomeno.

Per le nuove famiglie povere, la povertà non è sempre cronica, ma rappresenta una situazione episo‐dica del proprio percorso biografico. Non è il prodotto di processi di esclusione sociale irreversibili, ma di un più generale modo di vivere, di una instabilità delle relazioni sociali, di una precarietà che coinvolge il lavo‐ro, le relazioni familiari e l’insufficienza del sistema di welfare.

Le nuove situazioni di povertà che si affacciano ai Centri coinvolgono pesantemente l’intero nucleo familiare: tutti i membri della famiglia si trovano a vivere, in modi diversi, una condizione di stress e di sof‐ferenza, anche se le donne e le nuove generazioni si trovano a pagare il prezzo più elevato.


Precarietà e lavoro nero: fenomeno crescente, poche risposte

La crisi ha prodotto un notevole incremento dei fenomeni di sottoccupazione e lavoro nero, aggra‐vando una serie di aspetti negativi della flessibilità del lavoro, già segnalati in precedenti edizioni del Rap‐porto. L’aumento di tali fenomeni è particolarmente evidente in certi settori (ad esempio nell’assistenza a‐gli anziani), e colpisce in prevalenza determinati target sociali, particolarmente vulnerabili: gli immigrati, le donne, i diversamente abili, ecc.
La grave marginalità e il persistere del bisogno materiale

Nel corso degli ultimi 4‐5 anni, sono fortemente aumentate le situazioni di povertà materiale incon‐trate dalla Caritas: a livello nazionale, nel 2004, il 75% dei problemi si riferiva a bisogni di carattere primario e strutturale (bisogni abitativi, alimentari, economici, sanitari, ecc.). Nel 2010, 6 anni dopo, tale valore rag‐giunge la quota dell’81,9%, mentre le problematiche post‐materiali (disagio psicologico, dipendenze, con‐flittualità relazionale, ecc.), scivolano su valori più bassi di incidenza (dal 25 al 18,1%).
Una nuova emergenza abitativa

Nelle biografie delle persone prese in carico dai Centri di Ascolto, il “problema casa” si sta connotan‐do nei termini di vera e propria “emergenza abitativa”, aggravata dalla scarse risposte al problema messe in atto dalle amministrazioni centrali e locali. Tra tutti coloro che si rivolgono alle Caritas, uno su quattro ha gravi problemi abitativi. Nel corso degli ultimi 4 anni, i problemi abitativi sono aumentati del 23,6%.

Le nuove povertà giovanili

il 20% delle persone che si rivolgono ai Centri di ascolto in Italia ha meno di 35 anni

in soli cinque anni, dal 2005 al 2010, il numero di giovani è aumentato del 59,6%

il 76,1% dei giovani che chiedono aiuto ai Centri di ascolto, non studia e non lavora (nel 2005, i giovani nella stessa condizione erano risultati pari al 70% del totale

La “nuova” povertà degli stranieri

In media, il 70% delle persone che si rivolgono ai Centri di Ascolto è straniero.

La crisi economica ha colpito duramente gli immigrati, determinando gravi situazioni di impoveri‐mento, di cambiamento/ripensamento dei progetti migratori, di rottura e separazione fisica dei nuclei, di crescente conflittualità familiare e intergenerazionale, ecc.

La povertà si diffonde anche nei contesti di vecchia immigrazione, con particolare riguardo alla situa‐zione delle famiglie che sono riuscite a riunificare il proprio nucleo: le nuove esigenze familiari (le spese sco‐lastiche, la necessità di un’abitazione più ampia, ecc.) suscitano nuovi disagi anche in chi è arrivato da molto tempo.

Risposte ecclesiali di contrasto alla povertà e nuovi progetti anticrisi economica

In base ai dati (riferiti al 2010) del Censimento delle opere sanitarie e sociali ecclesiali in Italia, pro‐mosso dalla Consulta ecclesiale nazionale degli organismi socio‐assistenziali, da Caritas Italiana e dall’Ufficio nazionale per la pastorale della sanità della CEI, i servizi ecclesiali di contrasto della povertà economica sono 2.905, pari al 20,4% di tutti i 14.214 servizi censiti. All’interno di tale settore, i “Centri di erogazione di beni primari” rappresentano la forma di servizio più diffusa nel territorio italiano: si tratta di 1936 servizi, pari al 66,6% dei servizi di contrasto della povertà economica (13,6% di tutti i servizi rilevati dal Censimen‐to). Seguono le mense e l’assistenza residenziale per persone senza dimora.

Accanto a tali servizi “storici”, il monitoraggio permanente delle attività diocesane contro la crisi eco‐nomica, aggiornato al 18 maggio 2011, evidenzia la presenza di 806 nuove iniziative, attivate nel corso de‐gli ultimi 2‐3 anni, presso 203 diocesi (su un totale di 220 diocesi italiane dove è presente la Caritas). Il dato include solamente le nuove progettualità, sorte negli ultimi tre anni, per sostenere in modo specifico le fa‐miglie e le piccole imprese colpite dalla crisi economica. La precedente rilevazione (giugno 2010), aveva e‐videnziato la presenza di 577 iniziative, presso 190 diocesi. Spicca la forte crescita dell’impegno ecclesiale: nel corso di un anno, il numero di attività/progetti è aumentato del 39,6%.

Il microcredito per le famiglie

In totale sono 133 le diocesi che hanno attivato un progetto di microcredito socio‐assistenziale per persone o famiglie in difficoltà. Rispetto alle 101 diocesi attive nel microcredito socio assistenziale rilevate nel 2010, nel corso di un anno l’incremento è stato pari a +31,7%. La maggior parte dei progetti è localizza‐ta al Nord (53). Segue il Sud (41) e il Centro Italia (39 diocesi)

Il microcredito per le imprese

In questo caso, i piccoli prestiti sono rivolti a favore di microimprese in fase d’avvio o già costituite, a elevato rischio finanziario e con oggettive difficoltà di accesso al credito. In totale, vi sono 70 diocesi che hanno attivato progetti di microcredito per imprese. Rispetto al 2010, l’aumento di tale forma di intervento è stato pari a +62,8% (43 diocesi attive nel 2010). Anche in questo caso, è il Nord Italia che vede il maggior numero di diocesi attive: 29 progetti pari al 41,4% del totale.
Fondi di solidarietà

Vi sono poi altri due gruppi di iniziative, che hanno in comune la caratteristiche di “fondo perduto” dell’intervento economico. Un primo esempio è costituito dai Fondi diocesani di solidarietà o di emergenza (secondo le varie denominazioni), istituti in segno di solidarietà tangibile nei confronti dei nuclei familiari colpiti dalla crisi economica.

Nel complesso, vi sono 131 diocesi che hanno attivato dei Fondi diocesani di emergenza. Rispetto alle 108 diocesi rilevate nel 2010, si assiste ad un aumento del 21,3% di tale forma di intervento. Dal punto di vista della distribuzione territoriale, si riscontra una predominanza del Sud Italia, con 46 diocesi coinvolte (35,1%), seguito dal Nord Italia (43 diocesi, pari al 32,8%).
Carte, botteghe e altri progetti innovativi

Vi sono infine ulteriori blocchi di attività, di carattere più specifico e innovativo, che riguardano, nell’ordine, la creazione di botteghe/empori solidali, l’allestimento di carte magnetiche di spesa, gli sportel‐li/progetti di inserimento/orientamento lavorativo e i progetti di sostegno al disagio abitativo. Empori e/o progetti di carte acquisto sono presenti in 63 diocesi. Rispetto alle 47 diocesi rilevate nel 2009, l’aumento è stato pari al 34%. Servizi specifici di orientamento al lavoro sono segnalati presso 120 diocesi (89 nel 2010), mentre vi sono 55 diocesi che hanno avviato specifici progetti di “consulenza casa” (stesso numero dell’anno precedente).

La mensa dei poveri: antica e nuova risposta al bisogno alimentare

Al primo gennaio 2010, erano presenti in Italia 449 mense socio‐assistenziali (Quarto censimento, Consulta ecclesiale degli organismi socio‐assistenziali).

Nelle regioni del Nord Italia, nel complesso, sono presenti 164 mense, divise equamente tra il Nord‐Ovest (82 mense) e il Nord‐Est (82 mense). Nel Sud Italia sono presenti 119 mense, pari al 26,5% del totale. Nelle Isole le mense sono 58 (12,9%). Nel Centro Italia sono 108 (24,1%)

La presenza di convenzioni con l’ente pubblico riguarda 56 mense, pari al 17,5% del totale. Poco me‐no di due mense su 10 sono cofinanziate dal sistema pubblico di welfare

Il volume di risorse umane che ruota attorno alle mense è pari a 21.832 persone. Di queste, il nume‐ro maggiore è costituito da volontari laici, pari a 20.467 unità (93,7%). Seguono i volontari religiosi (720 persone, pari al 3,3% del totale degli operatori).

In totale, le mense presenti in Italia hanno erogato nel corso del 2009 circa 6 milioni di pasti, per una media di 16.514 pasti al giorno.


Povertà e vulnerabilità economica degli immigrati

secondo il parere di un campione di operatori Caritas, emerge una situazione di forte disagio per gli stranieri da soli in Italia, di sesso maschile, di età compresa tra 25 e 44 anni;

le principali voci di bisogno degli stranieri che si rivolgono alla Caritas si riferiscono a problemi occupazionali (66,4%) e a situazioni di povertà economica (62,5%);

rilevanti i problemi abitativi, che riguardano il 24,7% degli stranieri (21,6% degli italiani);

da segnalare poi la presenza di vari problemi legati al percorso migratorio, di cui i principali sono la condizione giuridica (11,3%) e le difficoltà con la lingua italiana (12,0%).