Una teologia che non può morire di L.Boff

Leonardo Boff
Adista Documenti n°77/2011

La Teologia della Liberazione celebra quest’anno 40 anni di esistenza. Nel 1971 Gustavo Gutiérrez pubblicava in Perù il suo libro Teologia della Liberazione. Prospettive. Sempre nel 1971, anche io pubblicavo, in forma di articoli – in una rivista religiosa, Grande Sinal, per sfuggire alla repressione militare -, il mio Gesù Cristo Liberatore, poi diventato libro. Nessuno dei due sapeva dell’altro. Ma lo spirito era lo stesso. Da allora si sono succedute tre generazioni di teologi e teologhe riconducibili alla Teologia della Liberazione. La quale, oggi, è presente in tutti i continenti e rappresenta un modo diverso di fare teologia, a partire dai condannati della Terra e dalle periferie del mondo. Ecco un piccolo bilancio di questi 40 anni di pratica e di riflessione liberatrici.

La TdL partecipa della profezia di Simeone riguardo al bambino (Gesù): sarà motivo di rovina e resurrezione, segno di contraddizione (Lc 2,34). Effettivamente, la Teologia della Liberazione è una teologia incompresa, diffamata, perseguitata e condannata dai poteri di questo mondo. E a ragione. I poteri dell’economia e del mercato la condannano perché ha commesso un crimine per essi intollerabile: ha optato per coloro che sono fuori dal mercato, per gli zero economici. I poteri ecclesiastici l’hanno condannata perché essa, affermando che il povero può essere costruttore di una nuova società e anche di un altro modello di Chiesa, è caduta in un’“eresia” pratica.

Il povero, prima di essere tale, è un oppresso al cui processo di liberazione la Chiesa dovrebbe sempre unirsi, il che non significa politicizzare la fede, ma praticare un’evangelizzazione che include anche la sfera politica. (…). La Teologia della Liberazione rappresenta una benedizione e una buona notizia per i poveri, i quali sentono di non essere soli, hanno trovato degli alleati che hanno assunto la loro causa e le loro lotte. E lamentano che il Vaticano e buona parte dei vescovi e dei preti costruiscano nel cantiere dei loro oppressori (…). In ogni modo, in una prospettiva spirituale, per un teologo e una teologa impegnati e perseguitati, è un onore partecipare a un po’ della passione dei maltrattati di questo mondo.

1. LA CENTRALITÀ DEL POVERO E DELL’OPPRESSO

Il punctum stantis et cadentis della Teologia della Liberazione è il povero concreto, con le oppressioni, la degradazione e i patimenti senza fine di cui soffre. Senza il povero e l’oppresso, non c’è Teologia della Liberazione. Ogni oppressione invoca una liberazione. Per questo, dove c’è oppressione concreta e reale che tocca la pelle e tormenta il corpo e lo spirito, lì ha senso lottare per la liberazione. Eredi di un oppresso e di un condannato alla morte di croce, i cristiani trovano nella loro fede mille ragioni per porsi dalla parte degli oppressi e insieme ad essi cercare la liberazione. Per questo il marchio registrato della Teologia della Liberazione è ora e sarà fino al giudizio finale l’opzione per i poveri contro la loro povertà e a favore della loro vita e della loro libertà. La questione cruciale e sempre aperta è questa: come annunciare che Dio è Padre e Madre di bontà in un mondo di miserabili? Tale annuncio diventa credibile solo nella misura in cui la fede cristiana contribuisce alla liberazione dalla miseria e dalla povertà. Solo allora ha senso dire che Dio è realmente Padre e Madre di tutti, ma specialmente dei suoi figli e figlie flagellati.

Come tirar fuori dalla povertà i poveri-oppressi, in direzione non della ricchezza, ma della giustizia? Si tratta di una questione pratica di ordine pedagogico-politico. Possiamo identificare tre strategie.

La prima interpreta il povero come colui che non ha. Diventa allora necessario mobilitare quelli che hanno per alleviare le condizioni di quelli che non hanno. Da questa strategia sono derivati l’assistenzialismo e il paternalismo. Gli aiuti mantengono il povero dipendente e alla mercé della buona volontà degli altri. Questa soluzione ha il respiro corto.

La seconda interpreta il povero come colui che ha: forza lavoro, capacità di apprendimento e abilità. È importante formarlo perché possa entrare nel mercato del lavoro e guadagnarsi da vivere. Si inquadra il povero nel processo produttivo, ma senza una critica al sistema sociale che sfrutta la sua forza lavoro e devasta la natura, creando una società di diseguali e pertanto ingiusta. È una soluzione che aiuta e favorisce il povero, ma è insufficiente perché lo mantiene ostaggio del sistema, senza liberarlo veramente.

La terza interpreta il povero come colui che possiede la forza storica di sostituire il sistema di dominazione con un altro più egualitario, partecipativo e giusto. Questa strategia è liberatrice. Fa del povero il soggetto della sua liberazione. La TdL, sulla scia di Paulo Freire, ha assunto e aiutato a formulare questa strategia. (…).

2. TDL E MOVIMENTI PER LA LIBERAZIONE

Tuttavia, intenderemo adeguatamente la TdL solo situandola al di là dello spazio ecclesiale e all’interno del movimento storico più ampio che ha spazzato via le società occidentali alla fine degli anni ’60 del secolo scorso. (…). In tutti gli ambiti, nella cultura, nella politica, nelle abitudini della vita quotidiana crollarono schemi ritenuti oppressivi. Poiché le Chiese sono nel mondo, tanti loro membri (…) cominciarono a interrogarsi su quali potessero essere i contributi dei cristiani e delle cristiane, a partire dal capitale specifico della fede cristiana, il messaggio liberatore di Gesù: una questione posta da cristiani e cristiane che già militavano politicamente negli ambienti popolari e nei partiti che miravano alla trasformazione della società.

E a ciò si aggiunge il fatto che molte Chiese tradussero gli appelli di apertura al mondo da parte del Concilio Vaticano II nel contesto latinoamericano, come (…) via di ingresso nel mondo dei poveri-oppressi. È da questo impulso che sono sorte figure profetiche, che sono nate le CEBs e le pastorali sociali, che si è registrato l’impegno diretto di gruppi cristiani in movimenti politici di liberazione. (…).

Pertanto, la TdL non è caduta dal cielo né è stata inventata da qualche teologo ispirato. Ma è emersa dall’interno di questo più ampio movimento mondiale e latinoamericano, politico ed ecclesiale. Essa si è proposta di pensare le pratiche ecclesiali e politiche in corso alla luce della Parola di Rivelazione, presentandosi come parola seconda, critica e sistematica, che rimandava a quella parola prima che è la prassi reale in compagnia degli oppressi. Alcuni nomi meritano di essere segnalati, quelli di quanti per primi colsero la rilevanza del momento storico e seppero trovare per esso la formula adeguata, Teologia della Liberazione: Gustavo Gutiérrez del Perù, Juan Luiz Segundo dell’Uruguay, Hugo Asmann del Brasile e Enrique Dussel e Miguez Bonino dell’Argentina. (…).

3. I MOLTI VOLTI DEI POVERI E DEGLI OPPRESSI

(…) Non si può parlare di oppressione-liberazione in modo generalizzato. È importante definire ogni gruppo e prendere sul serio il tipo di oppressione sofferta e il suo corrispondente anelito di liberazione. Si è smascherato il sistema che soggiace a tutte queste oppressioni, costruito sull’assoggettamento degli altri e sulla devastazione della natura. (…). Di grande importanza critica è stata la rilettura della storia dell’America Latina a partire dalle vittime, rivelando la perversità di un progetto di invasione collettivo che vedeva il colonizzatore e il militare tenere per mano il missionario. Questa unione incestuosa produsse, secondo lo storico Oswald Spengler, il maggiore genocidio della storia. E fino ad oggi né le potenze ex colonialiste né la Chiesa istituzionale hanno avuto l’onestà di riconoscere questo crimine storico e meno ancora di offrire un qualche gesto di riparazione.

Senza entrare nei dettagli, sono sorte all’interno della stessa e unica TdL varie tendenze: femminista, indigena, nera, delle religioni, della cultura, della storia e dell’ecologia. (…).

4. COME FARE TEOLOGIA DELLA LIBERAZIONE

Occorre a questo punto spendere una parola (…) sul metodo della TdL, forse uno dei suoi contributi più rilevanti alla teologia universale. Si parte dal basso, dalla realtà, la più cruda e dura possibile, e non da dottrine, documenti pontifici o testi biblici, i quali svolgono una funzione di illuminazione ma non di generazione di pensiero e di prassi. Di fronte alla povertà e alla miseria, la prima reazione è, tipicamente, gesuanica, quella del miserior super turbas, di una compassione che implica il lasciarsi guidare dalla realtà dell’altro e sentirne la sofferenza. È allora che si verifica una vera esperienza spirituale di incontro con coloro che Bartolomé de las Casas in Messico e Guamán Poma de Ayala in Perù chiamavano i Cristi flagellati della storia. (…). Tale esperienza spirituale di compassione è vera solo se dà origine a un secondo sentimento, quello di una sacra ira: “non può essere, è inaccettabile, bisogna superarlo”.

Da cui sorge immediatamente la volontà di fare qualcosa. Ed è a questo punto che entra in gioco la razionalità, aiutandoci a evitare inganni che sono frutto di buona volontà ma senza spirito critico. Senza analisi si corre il rischio dell’assistenzialismo o del mero riformismo, che poi finiscono per rafforzare il sistema. La conoscenza dei meccanismi generatori di povertà-oppressione ci mostra la necessità della trasformazione e della liberazione, pertanto di qualcosa di nuovo e di alternativo. Si cercano allora le mediazioni concrete che rendono possibile la liberazione, sempre assumendo come protagonista principale lo stesso povero. (…). Raggiunta la meta, è il momento della celebrazione e della festa, che riconciliano le persone e conferiscono loro un sentimento di appartenenza e di riconoscimento della loro forza trasformatrice. Esse constatano allora empiricamente che un debole più un debole non sono due deboli, ma un forte, perché l’unione fa la forza storica trasformatrice.

Riassumendo, questi sono i passi metodologici della Teologia della Liberazione: 1) un incontro spirituale, cioè un’esperienza del Crocifisso che soffre nei crocifissi; 2) un’indignazione etica che porta a condannare tale situazione disumana, rivendicandone il superamento; 3) un vedere attento che implica un’analisi strutturale dei meccanismi generatori di povertà-oppressione; 4) un giudicare critico, sia con gli occhi della fede che con quelli di una ragione sana, sul nostro tipo di società, segnata da tante ingiustizie, e sull’urgenza di trasformarla; 5) un agire efficace che fa avanzare il processo di liberazione a partire dagli oppressi; 5) un celebrare che è una festa collettiva per le vittorie ottenute. (…).

5. CONTRIBUTI DELLA TDL ALLA TEOLOGIA UNIVERSALE

La Teologia della Liberazione, grazie alla sua prospettiva, ha rivelato dimensioni differenti e anche nuove del messaggio della rivelazione. In primo luogo, essa ha favorito la riappropriazione della Parola di Dio da parte dei poveri, i quali, nelle comunità e nei circoli biblici, hanno appreso a confrontare la pagina della Bibbia con la pagina della vita, traendone conseguenze per la prassi quotidiana. Leggendo i Vangeli e confrontandosi con Gesù di Nazareth (…), essi hanno colto la contraddizione tra la condizione di povertà di Gesù e la ricchezza della grande istituzione Chiesa, più vicina al palazzo di Erode che alla grotta di Betlemme. (…).

La TdL ci ha fatto scoprire Dio come il Dio della vita, il Padre dei poveri e degli umili (…). E ci ha anche rivelato Gesù come liberatore. (…). Egli fu assassinato perché la sua prassi liberatrice offendeva le convenzioni e le tradizioni dell’epoca. Annunciò una proposta, il Regno di Dio, che implicava una rivoluzione in tutte le relazioni: non soltanto tra Dio e gli esseri umani, ma anche nella società e nel cosmo. (…). Ci ha permesso di identificare in Maria non solo l’umile serva del Signore, ma la profetessa che invoca Dio Go’El, il vendicatore dei senza giustizia, colui che rovescia i potenti dai loro troni e innalza gli umili (Lc 1, 51-52). (…)

6. LA TDL COME RIVOLUZIONE SPIRITUALE

Tali riflessioni ci permettono di dire che la Teologia della Liberazione ha prodotto una rivoluzione teologico-spirituale. Non ci sono state molte rivoluzioni spirituali nel cristianesimo. Ma, ogni volta che si sono verificate, hanno assunto nuovo significato i principali contenuti della fede, si è registrata una nuova vitalità e il messaggio cristiano ha dispiegato dimensioni insospettate, generando santità e vita.

Si tratta della prima teologia storica nata nella periferia del cristianesimo e distante dai centri di pensiero ufficiale. Una teologia che denota una maturazione innegabile delle Chiese-figlie, le quali riescono ad articolare nel loro linguaggio il messaggio cristiano senza rompere l’unità di fede e la comunione con le Chiese-madri. Mai nella storia del cristianesimo i poveri hanno ottenuto tanta centralità. Sono sempre stati dentro la Chiesa, destinatari delle attenzioni della carità cristiana. Ma qui si tratta di un povero diverso, che vuole non solo ricevere, ma contribuire con la sua fede e la sua intelligenza. Si tratta del povero che pensa, che parla, che si organizza e che contribuisce a costruire un nuovo modello di Chiesa-rete di comunità. I pastori dallo stile autoritario non temono il povero che tace e obbedisce. Ma tremano di fronte al povero che pensa, parla e partecipa alla definizione di nuovi cammini per la comunità. (…).

Influenzate dai settori più conservatori della stessa Chiesa latinoamericana e dalle élite politiche reazionarie, le istanze dottrinarie, sotto l’allora card. Joseph Ratzinger, reagirono, nel 1984 e 1986, contro la Teologia della Liberazione. A ben vedere non si trattava di condanne definitive. (…). Malgrado i sospetti e le manipolazioni attorno a questi due documenti ufficiali, la Teologia della Liberazione ha potuto proseguire con la sua opera. (…).

Sulla figura dell’allora card. Joseph Ratzinger pesa però un’accusa irremissibile, che di sicuro passerà negativamente nella storia della teologia: quella di essersi rivelato nemico dell’intelligenza dei poveri e dei loro alleati e di aver condannato la prima teologia nata nella periferia della Chiesa e del mondo che metteva al centro la dignità degli oppressi. Effettivamente, egli ha proibito a più di cento teologi di tutto il Continente di elaborare una collana di 53 volumi – Teologia della Liberazione – come sussidio per studenti e operatori di pastorale impegnati nella prospettiva dei poveri. Più che un errore di governo, si è trattato di un delitto contro l’ecclesialità e di una beffa nei confronti dei poveri di cui dovrà rispondere di fronte a Dio.

Al tramonto della sua vita, a giudicarlo saranno proprio i poveri, i quali si spera che abbiano nei confronti del cardinale più misericordia che severità, perdonando l’ignoranza e l’arroganza di chi avrebbe dovuto, piuttosto, garantire appoggio entusiasta e accompagnamento diligente. Al contrario, molti teologi sono stati da lui posti sotto vigilanza, ammoniti, emarginati nelle loro comunità, accusati, spogliati del diritto a esercitare il ministero della parola, allontanati dalle loro cattedre o sottomessi a processi dottrinari con l’imposizione del “silenzio ossequioso”. Una rigidità che non è diminuita con la sua elevazione al soglio pontificio, ma che è andata avanti con rinnovato fervore. Et est videre miseriam.

La TdL ha restituito dignità e rilevanza al ruolo della teologia. Le ha conferito un innegabile carattere etico. I teologi di questa corrente, senza rinunciare allo studio e alla ricerca, si sono uniti alla vita e alla causa dei condannati della Terra. Appoggiando i loro movimenti, hanno corso dei rischi. Molti hanno conosciuto la prigione e la tortura e altri il martirio. Osiamo dire che la Teologia della Liberazione, insieme alla Chiesa della Liberazione che ad essa soggiace, è uno dei pochi movimenti ecclesiali del XX secolo ad aver conosciuto il martirio, subìto – curiosamente ad opera di cristiani repressori – da laici e laiche, religiosi e religiose, pastori, teologi e teologhe, senza dimenticare vescovi come mons. Angelelli in Argentina e mons. Oscar Arnulfo Romero in El Salvador. È il segno della verità di questa opzione per i poveri.

Infine, la Teologia della Liberazione richiama le altre teologie alla loro responsabilità sociale, nel senso di collaborare alla gestazione di un mondo più giusto e fraterno. (…). Una teologia che tace di fronte alla tragedia dei milioni di affamati condannati a morire prima del tempo non ha nulla da dire al mondo su Dio.

7. LA TDL COME RIVOLUZIONE CULTURALE

La TdL non ha rappresentato appena una rivoluzione spirituale. Ha comportato anche una rivoluzione culturale. Ha contribuito a far sì che i poveri guadagnassero visibilità e coscienza delle proprie oppressioni. Ha trasformato i cristiani in cittadini attivi impegnati, a partire dalla loro fede, in movimenti sociali, sindacati e partiti allo scopo di dare corpo a un sogno che si richiama al sogno di Gesù, quello della costruzione di una convivenza sociale in cui partecipi il maggior numero di persone e tutti insieme creino un futuro luminoso per l’umanità e per la natura. È un merito della Chiesa della Liberazione, con la sua teologia corrispondente, quello di aver contribuito in maniera decisiva alla costruzione del Partito dei Lavoratori, del Movimento dei Senza Terra, del Consiglio Indigenista Missionario, della Commissione Pastorale della Terra, delle pastorali dell’infanzia, degli hanseniani, dei portatori del virus Hiv, tutti strumenti, questi, per praticare la liberazione e così realizzare i beni del Regno. Qui il cristianesimo ha mostrato e mostra il primato dell’ortoprassi sull’ortodossia e la superiore importanza delle pratiche sulle prediche.

Nata in America Latina, questa teologia si è diffusa per tutto il Terzo mondo, in Africa, in Asia, specialmente in quelle Chiese particolari penetrate nell’universo dei poveri e degli oppressi e in movimenti dei Paesi del centro legati alla solidarietà internazionale, in difesa delle lotte degli oppressi, in Europa e negli Stati Uniti. E si è spontaneamente associata al Forum Sociale Mondiale, dove ha incontrato visibilità e un’occasione per contribuire alle grandi cause vincolate a un altro mondo possibile e necessario, articolando il discorso sociale con il discorso della fede. (…).

8. IL FUTURO DELLA TEOLOGIA DELLA LIBERAZIONE

Che futuro avrà la Teologia della Liberazione? Molti pensano, ed è loro interesse pensarlo, che si tratti di una cosa degli anni ’70 del secolo scorso che ha perso ormai attualità e rilevanza. Possono auspicare ciò solo persone ciniche, totalmente estranee a quel che avviene al pianeta Terra e al destino dei poveri nel mondo. La sfida centrale per il pensiero umanitario e per la TdL è dato proprio dall’aumento del numero dei poveri, dall’accelerato processo di riscaldamento globale e dalla crescente oppressione. (…). Una Chiesa e una teologia insensibili a tale sofferenza si pongono a chilometri luce di distanza dall’eredità di Gesù e dalla liberazione da lui annunciata e anticipata.

La Teologia della Liberazione non è morta. E oggi è più urgente di quando sorse alla fine degli anni ’60 del XX secolo. È diventata solo meno visibile perché non è più coinvolta nelle polemiche che interessano l’opinione pubblica. Finché esisteranno in questo mondo poveri e oppressi, vi saranno persone, cristiani e Chiese che faranno propri i dolori che toccano la pelle dei poveri, le angosce che tormentano le loro anime e i colpi che raggiungono il loro cuore. (…).

Nell’attuale contesto di devastazione della Madre Terra e di distruzione continuata del sistema-vita, la TdL ha compreso l’assoluta necessità di includere all’interno dell’opzione per i poveri l’opzione per il grande povero che è il pianeta Terra, vittima della stessa logica che sfrutta le persone, assoggetta le classi, domina le nazioni e devasta la natura. O ci libereremo da questa logica perversa o essa potrà condurci a una catastrofe sociale ed ecologica di dimensioni apocalittiche, non esclusa la possibilità stessa di estinzione della specie umana. L’inclusione di questa problematica, quella che più interpella forse il nostro tempo, ha fatto nascere una vigorosa Ecoteologia della Liberazione, che va ad aggiungersi a tutte le altre iniziative a favore di un altro paradigma di relazione con la natura, con un altro tipo di produzione e con forme più sobrie e solidali di consumo.

Che futuro ha la Teologia della Liberazione? Ha il futuro che è riservato ai poveri e agli oppressi. Finché vi saranno questi, esisteranno mille ragioni per un pensiero ribelle, indignato e compassionevole che si rifiuti di accettare tanta crudeltà ed empietà e si impegni per una liberazione integrale. Non ci sarà posto per essa all’interno dell’attuale sistema capitalista, macchina produttrice di povertà e di oppressione. Potrà esistere solo sotto forma di resistenza, subendo persecuzioni, diffamazioni e martirio. Ma anche così, dal momento che nessun sistema è assolutamente chiuso, aprirà brecce attraverso cui il povero e l’oppresso potranno costruire spazi di libertà.

Per questo la Teologia della Liberazione possiede una chiara dimensione politica: essa vuole il cambiamento della società affinché in essa si possano realizzare i beni del Regno e gli esseri umani possano convivere come cittadini liberi e partecipi. Che futuro ha la Teologia della Liberazione all’interno del tipo di Chiesa-istituzione che abbiamo oggi? Nel sistema attuale, il cui asse strutturante è la sacra potestas, il potere sacro, centrato solamente sulla gerarchia, essa potrà essere soltanto una teologia in cattività, relegata ai margini, in quanto non funzionale al pensiero ufficiale e al modo in cui la Chiesa si organizza gerarchicamente: da un lato il corpo clericale che detiene il potere sacro, la parola e la direzione, dall’altro il corpo laicale, senza potere, obbligato ad ascoltare e ad obbedire.

Sulla scia del Concilio Vaticano II, la TdL si basa su un concetto di Chiesa comunione, rete di comunità, Popolo di Dio e potere sacro come servizio. Una visione di Chiesa praticamente annullata negli ultimi decenni da una politica curiale di ritorno alla grande disciplina e dal rafforzamento della struttura gerarchica di organizzazione ecclesiale. È così che si sono chiuse le porte alla conciliazione tentata dal Vaticano II tra la Chiesa Popolo di Dio e la Chiesa gerarchica, tra la Chiesa-potere e la Chiesa-comunione. (…). La burocrazia vaticana e i papi Wojtyla e Ratzinger hanno interpretato il Vaticano II alla luce del Vaticano I, centralizzando nuovamente la Chiesa attorno al potere del papa e svuotando i pochi organismi di collegialità e partecipazione.

Non dobbiamo nascondere il fatto che, optando per il potere, la Chiesa istituzione abbia optato anche per coloro che hanno il potere, in una parola i ricchi. I poveri hanno perso centralità. Ad essi è riservata l’assistenza e la carità, mai venute meno. Ma chi opta per il potere chiude le porte e le finestre all’amore e alla misericordia. È avvenuto purtroppo con l’attuale modello di Chiesa, burocratico, freddo e, nelle questioni relative alla sessualità, all’omoaffettività, all’Aids e al divorzio, senza misericordia e umanità.

In queste condizioni, (…) la Teologia della Liberazione sovverte l’ordine stabilito. Il suo destino sarà la delegittimazione e la persecuzione. Non è esagerato dire che essa vive e ha vissuto il suo mistero pasquale: sempre combattuta, seppellita e sempre di nuovo risorta, perché il clamore dei poveri non le consente di morire. Ma nella Chiesa istituzione, malgrado i suoi gravi limiti, ci sono sempre persone, uomini, donne, preti, religiosi, religiose e vescovi che si lasciano toccare dai crocifissi della storia e si aprono alla chiamata del Cristo liberatore, non limitandosi a soccorrere i poveri ma collocandosi al loro fianco e con essi cercando modi alternativi di vivere e di esprimere la fede.

Quale futuro per la Teologia della Liberazione? Ecumenica dagli inizi, fiorirà in quelle Chiese che si richiameranno al Gesù dei vangeli, a colui che ha chiamato i poveri beati, che si è riempito di compassione per il popolo affamato e che, in un gesto di liberazione, ha moltiplicato i pani e i pesci. Queste Chiese o parti di esse manterranno coraggiosamente l’opzione per i poveri e contro la povertà, intendendo tale opzione come un imperativo evangelico, il modo forse più convincente di preservare l’eredità di Gesù e di attualizzarla nei nostri tempi.

9. DOVE INCONTRARE OGGI LA TEOLOGIA DELLA LIBERAZIONE

Quale sarà il futuro della Teologia della Liberazione? È nel suo presente. Essa continua a vivere e a crescere, col suo carattere ecumenico, nella lettura popolare della Bibbia, nei circoli biblici, nelle comunità ecclesiali di base, nelle pastorali sociali, nel movimento fede e politica e nel lavoro pastorale nelle periferie delle città e all’interno dei Paesi. A questo livello, e per la sua natura ecumenica e popolare, questa teologia sfugge in un certo modo alla vigilanza delle autorità dottrinarie. (…). Se si vuole incontrare la Teologia della Liberazione, non si va nelle facoltà e negli istituti di teologia. Lì se ne troveranno solo frammenti e pochi rappresentanti. Si va presso le basi popolari. Quello è il suo luogo naturale e lì fiorisce vigorosamente. Essa sta favorendo la nascita di un altro modello di Chiesa, più comunitario, evangelico, partecipativo, semplice, dialogante, spirituale e incarnato nelle culture locali, che conferisce ad essa un volto del colore del popolo, nel nostro caso indio-nero-latinoamericano.

Assumendo una prospettiva universale, ho come una visione. Vedo una moltitudine di poveri, di mutilati, di quelli che l’Apocalisse definisce come «coloro che sono passati attraverso la grande tribolazione» (7,14), le cui lacrime sono asciugate dall’Agnello, organizzati in piccoli gruppi, tenendo alta la bandiera del Vangelo eterno, della vita e della liberazione. Seguaci del Servo sofferente e del Profeta perseguitato e risorto, ad essi è affidato il futuro del cristianesimo, disseminato nel mondo globalizzato in reti di comunità, radicato nelle distinte culture locali e con il volto degli esseri umani concreti. Lasciando da parte la pretesa di eccezionalità che tante separazioni ha portato, si uniranno ad altre chiese, religioni e cammini spirituali, nello sforzo di mantenere viva la fiamma sacra della spiritualità presente in ogni persona.

All’interno di questo modello di comunione e di mutua accettazione tra le diverse Chiese, la TdL incontrerà il suo posto naturale. Essa raccoglierà gli sforzi dei cristiani per il riscatto della dignità dei poveri e dei diritti della Terra e animerà il cammino dell’umanità verso un mondo che ancora non conosciamo ma che crediamo in linea con quello sognato da Gesù. Allora, la TdL avrà compiuto la sua missione. Comprenderà che nel binomio “Teologia della Liberazione”, il punto decisivo non è la teologia ma la liberazione reale e storica, perché questa e non quella è uno dei beni del Regno di Dio.