Libera chiesa in libero stato. Ieri, oggi. E domani? di A.M.Marenco

Anna Maria Marenco
Controinformazione Ecclesiale – Roma

Il recente raduno a Todi delle associazioni cattoliche convocate e guidate dal presidente della Cei, card. Bagnasco, conferma una costante della comunità cattolica: l’assenza di tempi/luoghi/strutture per analizzare e riflettere sulla vita della propria comunità di fede e, indirettamente, sull’efficacia evangelica della sua presenza nella società; mancanza tanto più deprecabile di fronte al preminente e tempestivo impegno a individuare/creare modalità idonee a perpetuare , aggiornandolo, il già efficace temporalismo in atto.

Davanti a questo evidente ( e storicamente pericoloso) travisamento della distinzione tra Dio e Cesare colpisce la sintonia di significative voci dell’informazione laica: ricorrere alla sensibilità e ispirazione dei cattolici per “far rivivere il senso della legalità e dello Stato” ( E. De Mita, Sole 24ore, 15/10/11); i cattolici indispensabili “per la ricostruzione morale e civile del Paese” (F. De Bortoli, Corriere della sera, 17/19/11); colpisce per l’assenza di qualsiasi interrogativo su “quali cattolici”,per il totale silenzio su analisi anche recenti (ad es. Piero Dorfles,Il ritorno del dinosauro, Garzanti, 2010) che denunciano quanto derivi anche dalla tradizione cattolica “il difetto non marginale di spostare verso dimensioni distanti e astratte l’impegno degli italiani”(1).

L’attenzione verso diversi modi di essere cattolici ha caratterizzato invece un convegno di studio organizzato a Roma il 14 ottobre dalla sezione Anpi A. Raponi e dal Presidio Libera del 3° Municipio nell’ambito delle iniziative per “Italia 150”.
In queste associazioni da tempo si ritrovano persone con una formazione che consente di comprendere ed apprezzare quel mondo cattolico che con gli altri patrioti ha partecipato costruttivamente alle battaglie per il Risorgimento e, in seguito, alle lotte per la Liberazione, alla redazione e realizzazione della Costituzione in vigore.

Durante questo convegno insieme a laici (credenti e non) sono stati ricostruiti alcuni percorsi che hanno consentito ai clericali (credenti e non) gli attuali stravolgimenti del progetto costituzionale. Risale infatti al periodo di attuazione della revisione concordataria del 1984 lo sdoganamento dei più arditi illeciti costituzionali, spesso attraverso l’utilizzazione disinvolta della stessa terminologia giuridica.

Non è una forzatura sintetizzare queste diversità ricorrendo a quella complessa cultura che è emersa nel Concilio Vaticano II e alla altrettanto composita prospettiva ideologica tradizionale (nel senso di dominante dal Concilio di Trento al Concilio Vaticano I e al secondo dopoguerra) e ancora oggi ampiamente utilizzata per accreditarsi nelle comunità locali dai padrini delle diverse organizzazioni mafiose.

Dalla cultura conciliare deriva la promozione di quella linea che dai cattolici liberali dell’Ottocento ai cattolici della Costituente, agli insegnamenti di innumerevoli testimoni, come don Milani , Balducci, Puglisi, oggi anche Enzo Mazzi, legge l’impegno dei credenti nel collaborare con la massima lealtà e coerenza con tutti gli altri concittadini alla realizzazione del progetto di convivenza delineato nella Carta Costituzionale.
Di questo progetto il magistrato Domenico Gallo ha dato una lettura esemplare, che potrebbe anche offrire efficaci risposte all’invito a quella “laicità creativa” rivolto da mons. Fisichella all’on. Bersani.

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(1) “…la chiesa ha investito dei problemi etici soprattutto il comportamento spirituale dei fedeli , come se il ruolo del cittadino, non contemplasse crescenti responsabilità individuali. La propensione all’autoassoluzione di chi vede l’unica valutazione legittima del proprio operato spostata al giudizio finale, a opera divina e non umana, nel tempo ha prodotto nella cultura cattolica un distacco dall’impegno etico. Un’indulgenza per il comportamento sociale che rimanda a qualcosa di assoluto e insieme così distante da far perdere di vista lo slancio solidaristico di cui sono permeati i Vangeli. Una deriva che, per il suo rimandare la resa dei conti etici a un’istanza trascendente, paradossalmente ha permesso ai cattolici un forte attaccamento alle istanze materiali, come dimostrano per il passato, i secoli del potere temporale della chiesa , e per il presente i forti ( e alla volte disinvolti) impegni finanziari e imprenditoriali di tante istituzioni e movimenti cattolici. Anche nei confronti della storia, la chiesa cattolica ha rappresentato un forte freno a un sistematico ricorso alla sue lezioni. Perché la religione nasce dalla rivelazione, dai testi sacri. E se un testo è sacro, è difficile ammettere che possa essere interpretato in modi diversi a seconda delle diverse sensibilità di ogni epoca. Ma se i valori e le leggi sono immutabili , le lezioni della storia sono inutili.” (pag. 189-190).

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La laicità principio supremo dell’ordinamento costituzionale

Domenico Gallo

1. La laicità come principio supremo

La Corte Costituzionale italiana, con la sentenza n. 1146/1988, ha chiarito che: “la Costituzione italiana contiene alcuni principi supremi che non possono essere sovvertiti o modificati nel loro contenuto essenziale, neppure da leggi di revisione costituzionale o da altre leggi costituzionali. Tali sono tanto i principi che la stessa costituzione esplicitamente prevede come limiti assoluti al potere di revisione costituzionale, quali la forma repubblicana [art. 139], quanto i principi che, pur non essendo espressamente menzionati fra quelli non assoggettabili al procedimento di revisione costituzionale, appartengono all’essenza dei valori supremi sui quali si fonda la Costituzione..”

Con una successiva sentenza, n. 203/1989 la Corte Costituzionale ha incluso la laicità fra i principi supremi, osservando che essa integra “uno dei profili della forma di Stato delineata nella Carta costituzionale della Repubblica” ed ha precisato che il principio di laicità “emerge dagli artt. 2, 3, 7, 8, 19 e 20 della Costituzione”, aggiungendo che esso implica – fra l’altro – “non indifferenza dello Stato dinanzi alle religioni, ma garanzia dello Stato per la salvaguardia della libertà di religione, in regime di pluralismo confessionale e culturale”.

In sostanza, la Corte ha riconosciuto un nucleo di valori fondamentali che emergono dagli articoli citati e che si integrano fra di loro concorrendo a strutturare il valore della laicità che, nel nostro ordinamento costituzionale, costituisce un principio supremo, in quanto delinea il volto della forma Stato, cioè della Repubblica.

2. Alla radice del principio di laicità.

I valori della secolarizzazione, della libertà dello Stato dalla Chiesa, della libertà di coscienza, della libertà ed eguaglianza di tutte le confessioni religiose e della non discriminazione concorrono a strutturare il principio di laicità ma tali valori, disaggregati, possono coesistere anche con ordinamenti dove la laicità non è assicurata.

Basti pensare agli Stati Uniti d’America, dove è assicurata la libertà o la coesistenza fra diverse religioni, con la conseguente neutralità dello Stato rispetto al fenomeno religioso e tuttavia ogni azione dei pubblici poteri, persino l’invasione dell’Iraq, viene compiuta in nome di Dio e dove il Presidente dell’epoca, George Bush, il 14 settembre 2001, nella “giornata nazionale di preghiera e commemorazione per le vittime degli atti terroristici”, giunse ad attribuire all’America un compito soprannaturale, quello di “liberare il mondo dal male”.

Per comprendere la natura ed il significato del principio di laicità bisogna ricercarne la radice. A nostro avviso alla radice c’è una concezione dei diritti dell’uomo, che nel nostro ordinamento costituzionale ha dato origine al principio personalista.

3. Il principio personalista

Il principio personalista, che informa di sé tutto l’edificio costituzionale ed ha trovato compiuta espressione soprattutto negli art. 2 e 3 della Costituzione, nasce da un’intuizione della cultura cattolico – democratica, di cui era espressione Giuseppe Dossetti, ma fu concordato, accettato e compreso profondamente anche dalle altre culture, socialista, comunista e liberale, presenti nell’Assemblea costituente.

Esso trae spunto dal famoso ordine del giorno Dossetti (9 settembre 1946) presentato nei primi giorni di attività della 1^ Sottocommissione, che recita: “ La Sottocomrnissione, esaminate le possibili impostazioni sístematiche di una dichiarazione dei diritti dell’uomo; esclusa quella che si ispiri a una visione soltanto individualistica; esclusa quella che si ispiri a una visione totalitaria, la quale faccia risalire allo Stato l’attribuzione dei diritti dei singoli e delle comunità fondamentali; ritiene che la sola impostazione veramente conforme alle esigenze storiche, cui il nuovo statuto dell’Italia democratica deve soddisfare, è quella che:

a) riconosca la precedenza sostanziale della persona umana (intesa nella completezza dei suoi valori e dei suoi bisogni non solo materiali, ma anche spirituali) rispetto allo Stato e la destinazione di questo a servizio di quella;
b) riconosca ad un tempo la necessaria socialità di tutte le persone, le quali sono destinate a completarsi e perfezionarsi a vicenda, mediante una reciproca solidarietà economica e spirituale: anzitutto in varie comunità intermedie disposte secondo una naturale gradualità (comunità familiari, territoriali, professionali, religiose, ecc.), e quindi per tutto ciò in cui quelle comunità non bastino, nello Stato;
c) che perciò affermi l’esistenza sia dei diritti fondamentali delle persone, sia dei diritti delle comunità anteriormente ad ogni concessione da parte dello Stato.”

Sulla base di questo ordine del giorno è stato elaborato l’art. 2 della Costituzione, la cui formula: “la Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo, sia come singolo, sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità” significa che la persona umana, nella sua concreta individualità sociale, è un valore storico-naturale, un valore originario, che l’ordinamento deve riconoscere e rispettare in ogni circostanza. Per questo i suoi diritti fondamentali sono “inviolabili”, non possono essere cancellati o manomessi dall’ordinamento, neppure con il procedimento di revisione costituzionale, né possono essere sacrificati sull’altare della ragione di Stato o di interessi collettivi.

Il valore dell’eguaglianza, rappresenta uno sviluppo naturale del principio personalista. Se ogni uomo è un valore, è chiaro che questo valore non può essere discriminato e non possono esistere gerarchie fra le persone nel godimento dei diritti. Per questo recita l’art. 3 della Costituzione: “tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzioni di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali.”

Tuttavia il principio non si esaurisce nell’eguaglianza formale.
E’ fondamentale, a questo riguardo, il secondo comma dell’art. 3 che impone alla Repubblica di “rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese.

Il principio personalista circola in tutta la Costituzione ed orienta istituti e situazioni giuridiche diverse. Per questo la guerra è stata ripudiata (art. 11), perché si tratta di una attività che non può compiersi se non attraverso la distruzione di persone umane, cioè di valori storico-naturali di cui l’ordinamento non può disporre.

Per questo la pena di morte non è ammessa e le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità (art. 27) e devono tendere alla rieducazione del condannato. (da ciò ne consegue che non sono laici tutti gli ordinamenti che ammettono la pena di morte).

Per questo nessuno può essere obbligato ad un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge. Ma la legge non può in nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana (art. 32).

4. La laicità come articolazione del principio personalista

L’articolazione forse più importante del principio personalista è il principio della laicità. Come abbiamo visto, esistono nella Costituzione dei valori supremi, ma il metro per giudicare questi valori supremi è la persona umana; il che significa che non ci possono essere esigenze, anche fondate su valori, su interessi, su calcoli di utilità che possano consentire di rompere questo valore fondante che sono i diritti inviolabili della persona.

Da questa concezione dell’uomo come fondamento del diritto nasce la laicità. Il fondamento della laicità è basato sul principio personalista. Non soltanto sugli articoli 7 e 8, 19 e 20 della Costituzione che regolano i rapporti fra lo Stato e la Chiesa cattolica ed assicurano la libertà di religione e la libertà di coscienza.

La laicità si fonda sul riconoscimento che il valore uomo non è bilanciabile con altri valori, perché è un valore fondante. A differenza di altri ordinamenti, la Costituzione non ci consente di fare un bilanciamento fra l’esigenza di sicurezza di una collettività, organizzata in comunità politica, e il diritto alla vita di ciascun cittadino. Ciò perché il diritto alla vita ed alla dignità essenziale della persona è assolutamente inviolabile e non può essere superato dall’azione dei pubblici poteri. La persona rappresenta un’alterità, un valore insormontabile, che non può essere annientato.

I suoi diritti possono essere compressi, in certe situazioni , nei limiti della legge, ma il suo valore non può essere annientato. Nel tempo di Guantanamo, in cui si è discusso in occidente di sospendere l’habeas corpus e di rilegalizzare la tortura, in nome delle esigenze della sicurezza, la Costituzione sfida il fondamentalismo della ragione politica e pone un argine invalicabile all’arbitrio del potere, dei potenti e delle religioni.

Nel nostro paese da molto tempo si è sviluppata in Italia una forte la polemica sulle coppie di fatto e sulla loro regolamentazione legale. Diverse concezioni si sono affrontate e questa sfida è stata incarnata da migliaia di persone che hanno partecipato ad opposte manifestazioni di piazza. Nel nostro ordinamento la famiglia è ricompresa nel principio personalista, di cui costituisce un’articolazione.

Nell’art. 2 c’è il riconoscimento dei diritti inviolabili, ma c’è anche la concezione del valore delle comunità intermedie, per cui l’individuo non è isolato, solo di fronte allo stato e schiacciato; si riconosce che ci sono comunità intermedie il cui perimetro di autonomia è inviolabile e deve essere mantenuto in ogni condizione. Quali sono le comunità intermedie? Sono tutte quelle comunità nelle quali si sviluppa la personalità dell’uomo, perché nessuno può sviluppare la propria umanità da solo.

Ognuno, per crescere, ha bisogno di un ambiente familiare nel quale ritrovarsi ed essere riconosciuto ed amato, ha bisogno della scuola, ha bisogno di un ambiente di amicizie da frequentare, ha bisogno di un’associazione professionale nella quale realizzare e confrontare il proprio lavoro, ha bisogno di un sindacato, ha bisogno di una comunità religiosa, se ha una vocazione religiosa. Quindi la persona, l’individuo non viene concepito come isolato, come un granello di fronte all’immensità della macchina dei poteri politici ed economici, viene considerato inserito in una serie di comunità intermedie.

Fra l’individuo e lo stato c’è una serie di comunità intermedie che hanno una loro autonomia e che devono ricevere riconoscimento e protezione. Una di queste comunità intermedie è la famiglia, di cui parlano gli artt. 29, 30 e 31. La famiglia è la comunità intermedia prediletta dalla Costituzione. Quando la Costituzione parla della famiglia, di diritti della famiglia, quando riconosce i diritti della famiglia come società naturale fondata sul matrimonio, quando parla di matrimonio ordinato sull’eguaglianza morale e giuridica dei coniugi, bene: questa è una specificazione di una comunità intermedia, una comunità intermedia particolarmente importante, tanto che il legislatore costituzionale le dedica tre articoli.

Ma è una specificazione: ci sono altre comunità intermedie che devono essere ugualmente protette. La coppia di fatto, sia essa omosessuale o etero sessuale, è una comunità intermedia, perché non si può negare che un luogo dove si sviluppano rapporti di solidarietà, di familiarità, di affetto, ecc… contribuisca ad arricchire la persona e favorisca lo sviluppo della sua personalità. La tutela della coppia di fatto nasce perciò dall’art. 2 della Costituzione e deriva dalla concezione che i diritti dell’uomo si sviluppano anche attraverso le comunità intermedie: quindi bisogna proteggere i diritti dell’uomo come individuo singolo e come individuo inserito nelle comunità intermedie.

E’ sempre accesa in Italia la polemica sulla possibilità di riconoscere la possibilità di contrarre matrimonio alle coppie omosessuali.

Questa materia si deve confrontare con impostazioni culturali o filosofiche particolarmente sensibili. Si potrebbe citare, per esempio, un documento della Congregazione della dottrina delle fede del 2003, firmato dall’allora Cardinale Joseph Ratzinger, che si esprime così: “La Chiesa insegna che il rispetto verso le persone omosessuali non può portare in nessun modo all’approvazione del comportamento omosessuale oppure al riconoscimento legale delle unioni omosessuali.

Il bene comune esige che le leggi riconoscano, favoriscano e proteggano l’unione matrimoniale come base della famiglia, cellula primaria della società. Riconoscere legalmente le unioni omosessuali oppure equipararle al matrimonio significherebbe non soltanto approvare un comportamento deviante, con la conseguenza di renderlo modello nella società attuale, ma anche offuscare valori fondamentali che appartengono al patrimonio comune dell’umanità.

La Chiesa non può non difendere tali valori per il bene degli uomini e di tutta la società”. In questo documento è esposta una concezione che nasce da un magistero che condanna le relazioni umane di tipo omosessuale, che, in altri contesti religiosi o politici viene ribadita o riproposta con molta maggiore virulenza.

In altri contesti politici, esistono legislazioni che puniscono le relazioni omosessuali come un fatto criminale e prevedono – addirittura – la pena di morte, che viene praticata, senza alcun pudore in Iran, dove solo qualche hanno fa due ragazzi di 17 e 18 anni sono stati impiccati per il reato di “sodomia”.

La Costituzione italiana, che proprio per questo viene accusata ogni giorno di relativismo culturale, non prende posizione sulle grandi questioni etiche, culturali e filosofiche che agitano il corpo sociale, ivi comprese le questioni oggetto del magistero della Chiesa Cattolica, lasciando che esse permangono nello spazio della libertà e della maturazione attraverso il dibattito ed il confronto culturale.

A questo riguardo, i Costituenti hanno fatto una scelta molto netta e l’hanno fatta con consapevolezza di quello che facevano perchè ad essi non erano ignoti i rischi dell’integralismo religioso. I padri costituenti hanno scelto un valore, il valore della persona umana; tutti gli altri valori possono esistere, possono essere agiti nei modi consentiti nella società, nello stato, nelle istituzioni ecc., ma non possono mai sopravanzare i diritti della persona, i diritti dell’individuo come singolo e come soggetto inserito nelle comunità.

Noi possiamo avere tutte le concezioni religiose o filosofiche che vogliamo, anche concezioni nobilissime, ma l’ordinamento ci dice che le dobbiamo, le possiamo declinare soltanto nella misura in cui rispettano i diritti inviolabili di ciascun uomo e di ciascuna donna, poiché nessuno persona non può essere sormontata o strumentalizzata da un’ideologia, o da una fede religiosa.

In altre parole, i diritti delle persone non possono essere sacrificati a un principio. Anche si trattasse di un principio di grande significato culturale, di grande valore filosofico, di grande spessore etico, noi non possiamo, in nome di questo principio, distruggere o coartare quel valore storico naturale che è la persona umana: la persona è il valore fondamentale, rispetto al quale tutto il resto deve girare intorno, come i pianeti girano intorno al sole.
In ciò consiste l’essenza della laicità.

5. La laicità guarda al futuro.

Questa concezione della laicità ci dà un criterio per affrontare le difficoltà che incontriamo oggi nella politica, nella cultura e nel costume, in particolare il problema della convivenza nel nostro paese fra religioni, culture e costumi profondamente differenti. La Costituzione ci offre il criterio di convivenza fra diversi in una società necessariamente multiculturale ed è un criterio fondamentale.

Questo criterio ci dice che prima di tutto vengono i diritti della persona, che non si può fare nessun bilanciamento fra i diritti inviolabili della persona e le esigenze delle culture, delle religioni, dell’etica. Tra l’altro, noi abbiamo visto che non solo la religione, ma anche la politica a volte sposa l’integralismo e pretende di sorpassare, cancellare i diritti della persona in nome di una concezione etica.

Un primo ministro inglese, solo qualche anno fa, ha tessuto le lodi della guerra che lui ha condotto contro la Jugoslavia, parlando di una guerra che rispondeva ad esigenze etiche.Infatti tutto questo è sconfessato in maniera radicale dai principi fondamentali della nostra Costituzione, poiché, in nome dell’etica, non si possono uccidere le persone, non si possono violare i diritti umani inviolabili. Ci possono anche essere grandi ragioni morali, culturali, filosofiche, religiose ecc., ma tutte queste ragioni hanno un limite alla loro effettività, non possono essere onnipotenti, devono scontare una imperfezione. Questo limite siamo noi, sono le singole persone.

La laicità spoglia dell’onnipotenza la politica e la religione.
Anche nella vicenda, per certi versi incomprensibile dello scontro sul c.d. Testamento biologico trova nella Costituzione un suo criterio di orientamento e di giudizio.

La Costituzione dice chiaramente che nemmeno per legge si possono imporre dei trattamenti sanitari obbligatori se questi violano i limiti imposti dal rispetto della persona umana (art. 32, comma 2).
La legge in discussione, che pretenderebbe di imporre ai malati terminali la tortura di trattamenti di alimentazione e di idratazione forzati, apre una breccia nel principio di laicità in quanto calpesta la dignità inviolabile della persona (sotto il profilo del diritto all’autodeterminazione in materia di trattamenti sanitari) in nome dell’integralismo religioso, assunto come bandiera da una politica priva di valori.

In altre parole, questa legge diventa un caso di scuola della prevalenza di una concezione pseudo-etica sui diritti inviolabili dell’uomo e dimostra quanto la violazione del principio di laicità incida negativamente sui diritti umani.

Quindi il principio supremo di laicità non è un relitto di passate guerre di religioni, non guarda al passato: parla di noi, del nostro futuro. Ci dà gli strumenti, ci fornisce il criterio che ci consente di fondare la convivenza pacifica fra le diverse culture, fra le differenti popolazioni presenti nel nostro paese per effetto dell’immigrazione; ci consente di garantire i diritti delle minoranze, anche di quelle che sono particolarmente invise alle religioni, quali sono gli omosessuali e di ogni altra minoranza; ci permette di difendere i diritti dell’uomo e della donna, anche di fronte alle società e alle culture di appartenenza.

La laicità parla a tutti noi, parla ai giovani, parla al nostro futuro; ci dà modo di giudicare la politica; di guardare gli errori e gli orrori che vengono commessi da forze politiche contingenti che perseguono disegni di onnipotenza; di smascherare la falsità che c’è quando la politica invoca l’etica per venir meno ai suoi doveri o al rispetto delle regole istituzionali.

Roma, 14 ottobre 2011