Roma: governo impotente di M.Vigli

Marcello Vigli
www.italialaica.it

Sui fatti che hanno sconvolto Roma il 15 ottobre le cronache dei diversi giornali appaiono concordi, ben diversi invece sono i commenti e le valutazioni.

L’azione criminale di teppisti in nero ha impedito che la marcia degli indignati si concludesse in piazza San Giovanni con i previsti interventi e, soprattutto, che si realizzasse il progetto degli indignati di accamparsi a Piazza San Giovanni.

I palazzi del potere non sono stati sfiorati mentre sono stati devastati edifici pubblici di nessuna importanza, sedi bancarie, negozi e auto private con il risultato di creare paura e rabbia, ma al tempo stesso risentimento contro gli organizzatori, grazie anche a chi nei media ha continuato a presentare roghi e vetrine infrante, piuttosto che striscioni e slogan sui temi e sulle rivendicazioni della marcia.

Le forze dell’ordine, pur se si sapeva di possibili incursioni di teppisti in nero, sono state concentrate a difesa dei Palazzi lasciando incontrollato il percorso del corteo, dal quale non erano stati neppure rimossi i cassonetti, preziosi strumenti per manovre di disturbo.

Si è voluto impedire, è stato detto, che il corteo venisse coinvolto negli scontri fra polizia e teppisti in nero. Non è stato così all’ingresso di piazza San Giovanni dove le cariche hanno spinto i teppisti nella piazza costringendo alla fuga gli altri manifestanti. La piazza è diventata terreno di scontri fra teppisti e forze dell’ordine in una vera e propria battaglia, che si è prolungata fino a sera con il risultato che non è stato possibile lo svolgimento dei previsti momenti di dibattito fra i manifestanti.

Fiumi d’inchiostro sono già scorsi e ore di spazi televisivi sono stati occupati per interpretare questi fatti e calcolarne l’estensione, per discettare sulla composizione e sul modo di agire delle squadre dei teppisti in nero, e per valutare se le forze dell’ordine fossero adeguate, per numero e capacità d’azione, ad una seria azione antagonista.

Ulteriori informazioni su queste carenze nell’opera di polizia e carabinieri, da tutti riconosciute pur se diversamente interpretate, sono venute da quanto è emerso dalle indagini dei giorni successivi, emblematicamente rappresentato dell’arresto del giovane romano, detto il Pelliccia, che nel confermare la presenza di ultras della tifoseria calcistica priva di connotazione rivoluzionaria ha ridimensionato la capacità offensiva dei teppisti in nero.

Posta, comunque, la loro inequivocabile responsabilità nello scippo della manifestazione operato contro le centinaia di migliaia di presenti e dei ben più numerosi, in piena sintonia con loro, restati a casa per motivi diversi, c’è da chiedersi se esiste una responsabilità di chi non ha organizzato e diretto una decisa azione di contrasto.

Forse per avere una risposta bisogna porsene un‘altra. Chi ha tratto giovamento dalla sconfitta del movimento sceso in piazza per denunciare l’ampiezza e la gravità del disagio sociale?

Il ministro degli Interni si è rallegrato per l’assenza del morto, che nessuno cercava, ma non ha chiesto scusa, per non aver impedito lo scippo della manifestazione e per i danni subiti da cittadini e negozianti. Non ha neppure azzardato una pur minima autocritica per l’impotenza rivelata nella difesa della città, mentre ha messo subito un punto a suo favore evocando l’esigenza di norme più severe e lo spettro di una cauzione da versare dagli organizzatori di manifestazioni. Il sindaco Alemanno ha rincarato la dose con l’ordinanza anti Fiom sull’impossibilità per un mese di svolgere cortei nel centro città.

Il vero vantaggio per il governo viene dal fallimento del progetto degli indignati di accamparsi a Piazza San Giovanni, inattuabile dopo l’esito disastroso della manifestazione. La presenza di un loro accampamento avrebbe simboleggiato lo stato di emergenza in cui vive il Paese in modo più efficace del ricorso ai voti di fiducia volti a nascondere la crisi della maggioranza. Non ci saranno in piazza San Giovanni le tende degli indignati a ricordare ogni giorno che non c’è ancora la soluzione dei gravi problemi che gravano sul Paese.

Non è possibile affermare che questo obiettivo fosse stato individuato e prefissato, è certo che è stato raggiunto complici teppisti e forze dell’ordine.

Il sospetto di complicità getta una luce sinistra sul riconoscimento d’impotenza!

La tentazione di cedere il campo alla dietrologia ci deriva anche da una coincidenza: proprio in questi giorni la Procura di Caltanisetta ha chiesto la riapertura il processo sui fatti di Via d’Amelio perché è apparsa evidente la collusione di apparati dello Stato con la mafia nella manipolazione dei processi precedenti. Ci conforta anche la recente pubblicazione delle telefonate di Berlusconi con Lavitola rivelatrici sulla sua assenza di scrupoli nell’uso eversivo della piazza.

Non è quindi fuor di luogo pensare che, se il governo è il solo beneficiario del fallimento della manifestazione, è sospettabile di complicità, pur senza che lo si possa accusare di essere direttamente responsabile di averlo provocato programmando le aggressioni dei teppisti in nero.

A suffragare questo sospetto può servire una riflessione sull’assalto alla chiesa di San Marcellino e sulla plateale profanazione della statua della Madonna. Questo fatto apparentemente marginale non solo è anomalo e senza precedenti nelle incursioni dei teppisti in nero, ma acquista un particolare significato se lo si colloca nel contesto in cui è avvenuto, alla vigilia, cioè, dell’incontro dei cattolici a Todi.

Convocati da Bagnasco, reo di avere dichiarato concluso l’idillio della Cei con il governo, i rappresentanti dell’associazionismo cattolico si apprestavano a compattarsi per affrontare uniti la fine della leadership berlusconiana, pur se ancora divisi fra l’ipotesi di candidarsi a gestire una nuova fase del berlusconismo o a partecipare alla sua definitiva sconfitta.

Si può sospettare che in seno alla maggioranza si volesse lanciare un messaggio ai convocati a Todi: una loro scelta avventata può provocare una guerra senza quartiere.

Ancora calda è la memoria del mai dimenticato caso Boff.

Certo è che il direttore di Avvenire Marco Tarquinio intervistato per Tempi.it pur riconoscendo che “Ci vuole un di più dentro la politica italiana come qualità di idee e di persone che le incarnino. I cattolici hanno molto da dare. Ha aggiunto che In questo momento ci sono problemi grandi e si vogliono trovare risposte semplici. Si vuole a tutti i costi aggiungere un’altra voce in campo, in questo caso contro il governo, per fare entrare in crisi l’attuale fragile equilibrio. Questo è semplicistico e inaccettabile”.