Gli studenti indicano la strada

Mariavittoria Orsolato
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Dopo quanto successo lo scorso 15 ottobre, il sindaco di Roma Alemanno ha impedito i cortei e le manifestazioni per le strade della capitale. Una decisione che purtroppo in pochi hanno indicato come incostituzionale e che solo gli studenti medi hanno finora avuto il coraggio di sfidare. Tra ieri e oggi, infatti, la rete studentesca ha programmato una serie di iniziative per portare avanti la protesta contro i tagli alla scuola pubblica, le misure di austerity e tutti quei motivi che genericamente potrebbero essere sottesi al cosiddetto movimento degli indignados, rifiuto della rappresentanza istituzionale in primis.

Utilizzando in modo assolutamente strumentale il clamore mediatico creatosi a seguito della rivolta in piazza San Giovanni, dal Campidoglio Alemanno ha voluto blindare la capitale, creando la sua personalissima zona rossa, adducendo pretesti per limitare e reprimere gli spazi di manovra delle piazze. Lo si è potuto vedere già dalla mattina quando, secondo quanto denunciato dagli studenti, si è verificata una vera e propria schedatura fuori dagli istituti considerati “caldi”: i ragazzi che non entravano sono stati identificati anche grazie a prèsidi compiacenti che hanno messo a disposizione i registri di classe.

Anche per questo gli studenti hanno deciso di continuare la protesta e scendere ugualmente in corteo verso piazzale Tiburtino, dove era previsto il concentramento. A centinaia si sono ritrovati davanti la stazione, orgogliosi di emulare i coetanei che in tutto il mondo si tanno mobilitando contro gli effetti della crisi economica e perciò consci di rappresentare quel 99% di popolazione schiacciato dall’1% che da Cannes e dagli istituti finanziari sovranazionali impone autorità, divieti, silenzio e un’effimera pace sociale.

Alla stazione Tiburtina la determinazione degli studenti medi di procedere in corteo si è scontrata con la fermezza delle forze dell’ordine, preposte a bloccare ogni tentativo di infrazione ai dettami di Alemanno. I ragazzi romani hanno provato a mediare con la celere per muoversi pacificamente in corteo verso la Sapienza, ma sono stati respinti dalla prima scarica di manganellate. Impossibilitati a procedere i manifestanti hanno deciso di occupare il cantiere della nuova stazione e li, sotto il ponte della tangenziale, sono stati bloccati da una decina di blindati e di fatto sequestrati per oltre due ore dalle forze dell’ordine.

Non fosse bastata questa momentanea sospensione dei diritti civili – tenere letteralmente in ostaggio dei manifestanti, la maggior parte dei quali oltretutto minorenni, è a tutti gli effetti un reato – la polizia ha acconsentito a liberare gli studenti e le studentesse solo a patto che passassero in fila indiana, a favore di telecamera e di identificazione, attraverso un cordone di agenti in tenuta antisommossa.

Scene che inevitabilmente rimandano al Cile di Pinochet e dovrebbero far riflettere sui modelli di gestione della piazza che si stanno attuando in questo particolare momento storico. Manifestare è infatti un diritto sancito dalla nostra Costituzione e i ragazzi romani oggi ci hanno ricordato che se per espletarlo devi chiedere il permesso allora questo si impoverisce, perde di significato, diventa una gentile concessione, un diritto octroyée.

Quanto successo ieri alla stazione Tiburtina da la misura di come, in questo frangente di mobilitazione di massa e di consapevolezza politica, la risposta dell’apparato statale sia sistematicamente repressiva e intimidatoria. Non tanto gli universitari – già più cinici, disillusi e anagraficamente svantaggiati – quanto questi adolescenti rappresentano la prima generazione in grado di recepire e interiorizzare i nuovi fermenti democratici e di decisionalità orizzontale. Questi giovani possono seriamente rappresentare lo start-up per la rivoluzione culturale che tutti avocano disperatamente come panacea per i mali del mondo capitalista, possono dare il via a un movimento che metta in discussione e ribalti l’ordinamento e le consuetudini sociali.

Ieri, a mani alzate e a volto scoperto – con buona pace dei giornalisti in astinenza da black bloc – giocando a ruba bandiera, stetti in un cordone di polizia e portando a mo’ di scudo i classici della letteratura, gli studenti medi romani hanno dato una bella lezione di democrazia. Oggi i loro colleghi di tutta Italia scenderanno nuovamente in piazza per ribadire le stesse ragioni e proporre provocatoriamente di tagliare le spese militari in favore di quelle per l’istruzione.

Il movimento studentesco (e popolare di conseguenza) non è certo un problema di ordine pubblico come Alemanno e le istituzioni vogliono farci credere, provare a delegittimarlo attraverso l’utilizzo di un apparato repressivo e securitario non può voler dire altro se non mandare definitivamente al macello questo Paese.