Iran, Israele pronto all’attacco

NEAR EAST NEWS AGENCY
http://nena-news.globalist.it, 6 novembre 2011

Cresce l’allarme internazionale, anche se l’amministrazione Obama, con la storia presumibilmente inventata di sana pianta del «complotto iraniano per uccidere l’ambasciatore saudita a Washington», più che la parte del pompiere fa la parte del piromane. Crescono anche le voci che invitano alla prudenza. Dalla Germania alla Cina, che chiedono «flessibilità» all’Iran (e a Israele?) e una soluzione diplomatica per evitare una nuova crisi in Medio Oriente al cui confronto quella della Libia sarebbe quisquilie.

In Israele i giornali non fanno che ripetere che il premier Netanyahu e i ministri degli esteri e della difesa Lieberman e Barak hanno deciso l’attacco ma devono ancora convincere gli altri ministri del «gabinetto di sicurezza» (in tutto sono 7) e i capi o ex capi militari e dei servizi che temono possa finire male. Ieri il sito del quotidiano Haaretz ha riportato le dichiarazioni di un anonimo funzionario militare Usa secondo cui Obama teme che Israele possa attaccare senza avvertirlo, cosa che prima, quando gli Usa erano gli Usa, era impensabile.

Da parte iraniana – dopo gli ammonimenti sulle conseguenze, «anche per gli Usa» di un attacco israeliano, del capo di stato maggiore delle forze armate, Hassan Firouzabadi – ieri c’è stata l’implicita risposta della Guida suprema Ali Khamenei: l’Occidente, gli Usa e «l’entità sionista» non sono mai stati così deboli. Ora l’attesa è concentrata sul prossimo rapporto dell’Aiea, di qui a pochi giorni, che darebbe conto dei «sospetti» fini militari del programma nucleare dell’Iran. Il ministro degli esteri, Ali Akbar Salehi, ha scritto una lettera all’Onu per denunciare «il complotto» contro la Repubblica islamica e mettere in dubbio «l’imparzialità» dell’Aiea. Brutta aria.

——————————————–

Usa temono attacco di Israele all’Iran
www.rainews24.it, 5 novembre 2011

Gli Stati Uniti temono che Israele possa prepararsi ad attaccare l’Iran, a causa del suo programma nucleare, senza informare Washington. E’ quanto ha affermato un alto ufficiale americano alla Cnn, dopo che ieri il presidente israeliano Shimon Perese ha affermato che l’opzione militare contro l’Iran potrebbe essere vicina.

Gli Stati Uniti temono che Israele possa prepararsi ad attaccare l’Iran, a causa del suo programma nucleare, senza informare Washington. E’ quanto ha affermato un alto ufficiale americano alla Cnn, dopo che ieri il presidente israeliano Shimon Perese ha affermato che l’opzione militare contro l’Iran potrebbe essere vicina. Sotto anonimato, l’ufficiale ha affermato che gli Usa sono “assolutamente” preoccupati dalla possibilita’ di un attacco israeliano e per questo i militari statunitensi sono “sempre piu’ vigili” sulle attivita’ di Gerusalemme e Teheran.

La fonte ha spiegato che gli Usa non hanno al momento intenzione di condurre un attacco contro la Repubblica islamica e che e’ probabile che Israele decida di agire da solo, senza coordinarsi con gli Stati Uniti. Un attacco contro l’Iran, tuttavia, avrebbe a suo giudizio esito incerto, visto che Teheran dispone di sistemi di difesa aerea molto potenti. L’escalation di tensione arriva in vista di un rapporto dell’Aiea (Agenzia internazionale per l’energia atomica) che dovrebbe essere diffuso la prossima settimana. Secondo alcune anticipazioni l’Agenzia avrebbe foto satellitari di un grande container collocato a Parchin, vicino Teheran, usato per condurre test con esplosivi potenzialmente idonei a far esplodere ordigni nucleari. L’Aiea sarebbe inoltre a conoscenza dello sviluppo in Iran di alcuni computer per il controllo di bombe atomiche.

Resta alta la tensione tra Iran e Stati Uniti, che anche oggi hanno continuato a scambiarsi accuse di “terrorismo”. A scendere in campo questa mattina e’ stato il ministro degli Esteri di Teheran, Ali Akbar Salehi, che ha annunciato di aver inviato una lettera all’Onu per denunciare i “complotti” di Washington contro la Repubblica Islamica. Sullo sfondo, le minacce di Israele di attaccare i siti nucleari iraniani. Minacce che preoccupano gli Stati Uniti, ma che la stampa di Teheran tende a minimizzare, defindole irrealistiche.

Lo scontro tra Usa e Iran si e’ acceso a ottobre, quando Washington ha denunciato un piano scoperto dalla sua intelligence e destinato a eliminare l’ambasciatore saudita negli Stati Uniti. Un piano che, a detta dell’amministrazione americana, vede implicato un cittadino iraniano espatriato e ha la regina di Teheran. Nei giorni scorsi la risposta iraniana. La leadership si e’ mostrata compatta nel contrattaccare e la guida suprema Ali Khamenei ha annunciato prove su un presunto piano terroristico Usa contro Teheran.

Oggi e’ sceso in campo anche il ministro degli Esteri, annunciando un primo passo ufficiale, con l’invio di una lettera all’Onu. Nella lettera, indirizzata al Segretario Generale delle Nazioni Unite, Ban Ki-moon, Teheran gira a Washington le accuse di terrorismo che le sono state rivolte proprio in merito al presunto piano per uccidere l’ambasciatore saudita.Gli Stati Uniti temono che Israele possa prepararsi ad attaccare l’Iran, a causa del suo programma nucleare, senza informare Washington. E’ quanto ha affermato un alto ufficiale americano alla Cnn, dopo che ieri il presidente israeliano Shimon Perese ha affermato che l’opzione militare contro l’Iran potrebbe essere vicina.

A condizione di anonimato, l’ufficiale ha affermato che gli Usa sono “assolutamente” preoccupati dalla possibilità di un attacco israeliano e per questo i militari statunitensi sono “sempre piu’ vigili” sulle attività di Gerusalemme e Teheran. La fonte ha spiegato che gli Usa non hanno al momento intenzione di condurre un attacco contro la Repubblica islamica e che è probabile che Israele decida di agire da solo, senza coordinarsi con gli Stati Uniti. Un attacco contro l’Iran, tuttavia, avrebbe a suo giudizio esito incerto, visto che Teheran dispone di sistemi di difesa aerea molto potenti.

L’escalation di tensione arriva in vista di un rapporto dell’Aiea (Agenzia internazionale per l’energia atomica) che dovrebbe essere diffuso la prossima settimana. Secondo alcune anticipazioni l’Agenzia avrebbe foto satellitari di un grande container collocato a Parchin, vicino Teheran, usato per condurre test con esplosivi potenzialmente idonei a far esplodere ordigni nucleari. L’Aiea sarebbe inoltre a conoscenza dello sviluppo in Iran di alcuni computer per il controllo di bombe atomiche.

————————————————-

Corsa verso la guerra finale?

Simone Santini
www.clarissa.it.

Mentre l’attenzione internazionale è concentrata sulla crisi finanziaria e dei debiti sovrani, una nuova voragine, forse ancor più drammatica, rischia di aprirsi nel breve periodo, una voragine che si chiama guerra. La rottura della diga, il “game changer”, potrebbe avvenire la prossima settimana con la divulgazione di un rapporto dell’Agenzia atomica internazionale (AIEA) che, secondo le indiscrezione apparse nelle ultime settimane, accuserebbe l’Iran di procedere verso la costruzione della bomba atomica. Si tratterebbe di una radicale inversione nell’atteggiamento tenuto finora dall’Agenzia, in particolare fino alla fine del 2009 quando era sotto la direzione dell’egiziano Mohammed El Baradei, che, pur tra alti e bassi, aveva tenuto un profilo dialogante con la Repubblica islamica ottenendo la collaborazione dalle autorità iraniane sulla controversa questione nucleare.

Benché le cancellerie occidentali accusino da anni Teheran di volersi dotare del nucleare militare, prove in tal senso non sono mai giunte e l’organo predisposto, appunto l’AIEA, non ha finora mai potuto certificare, tramite i suoi continui controlli e ispezioni, scorrettezze nel dossier nucleare civile iraniano che infrangessero i protocolli del Trattato di Non Proliferazione sottoscritto dall’Iran.

Durante la settimana si sono rincorse notizie che descrivono un clima internazionale di grave allarme.

Da giorni il tema del nucleare iraniano campeggia sulle prime pagine della stampa di Israele con indiscrezioni secondo cui il primo ministro Netanyahu e il ministro della difesa Barak starebbero svolgendo la massima azione politica per convincere la maggioranza del consiglio dei ministri sulla necessità di un attacco preventivo contro l’Iran da compiersi quanto prima, al più tardi la prossima primavera.

A darne notizia per primo è stato, il 28 ottobre scorso, Nahum Barnea, il giornalista di punta del maggior quotidiano israeliano, «Yedioth Ahronot». Secondo Barnea a Tel Aviv si starebbero delineando quattro fazioni: la prima comprende i fautori delle sanzioni a oltranza e che escludono l’opzione armata per il timore di una massiccia rappresaglia missilistica dall’Iran e dal Libano; la seconda è su posizioni attendiste e spinge per favorire un cambiamento di regime a Teheran sull’onda della primavera araba; la terza, che comprende comandi militari e dei servizi di sicurezza, sarebbe con varia intensità contraria all’attacco preventivo soprattutto per le difficoltà tecniche e il dubbio che possa risultare davvero efficace; infine la quarta, guidata appunto da Netanyahu e Barak, rappresenta i partigiani della guerra secondo cui la finestra di opportunità per attaccare il nemico strategico starebbe per chiudersi e dunque è giunto il momento dell’azione.

Anche il paese sembra diviso sulla possibilità di una guerra. Il quotidiano «Haaretz» ha pubblicato un sondaggio d’opinione secondo cui il 41% del campione, rappresentativo della popolazione di Israele, sarebbe favorevole ad attaccare gli impianti nucleari iraniani, il 39% è contrario e il 20% non ha risposto. Tuttavia la maggioranza, il 52%, si fida della valutazione e delle decisioni che vorranno prendere Netanyahu e Barak.

Intanto, in ogni caso, Israele si prepara per l’eventualità più grave. Il 3 novembre un’esercitazione ha mobilitato il paese per quattro ore durante le quali si sono simulate le risposte dei sistemi di sicurezza e difensivi contro attacchi missilistici dall’esterno. Le forze armate hanno testato con successo un nuovo missile balistico capace di raggiungere l’Iran. E la scorsa settimana l’aviazione israeliana ha portato a termine una imponente esercitazione in Sardegna, utilizzando la base Nato di Decimomannu, con sei squadroni di cacciabombardieri impegnati a simulare azioni d’attacco su lunghe distanze con rifornimenti in volo e monitoraggio di eventuali difese radar nemiche.

Benché le autorità ebraiche si affrettino a definire tutte quelle svolte come “esercitazioni di routine”, esse, combinate con le indiscrezioni su Netanyahu e Barak, non fanno che aggravare la percezione di un clima prebellico. Netanyahu, come riportato da tutta la stampa ebraica, citando come fonte il quotidiano kuwaitiano «al-Arida», avrebbe ordinato un’inchiesta sulla fuga di notizie che si sospetta provenire da due ex massimi funzionari dei servizi segreti, Meir Dagan e Yuval Diskin, motivati da ragioni di risentimento personale. Il primo, in particolare, si è sempre dichiarato contrario, anche pubblicamente, ad un attacco preventivo contro l’Iran, bollando in un’occasione l’ipotesi come «la cosa più stupida che abbia sentito in vita mia».

Ma le fughe di notizie non provengono solo da Israele, con una convergenza temporale tale da far sospettare che ci sia davvero fuoco sotto la cenere. Il 2 novembre il britannico «Guardian» ha pubblicato un reportage secondo cui le forze armate del Regno Unito starebbero intensificando i preparativi in vista di attacchi missilistici degli Stati Uniti contro siti iraniani. In tale eventualità, Londra fornirà senza esitazione all’alleato americano tutto il supporto militare che venisse richiesto benché nella coalizione di governo vi siano profonde riserve verso uno scenario di attacco preventivo.

Gli strateghi della Royal Navy starebbero esaminando la migliore dislocazione possibile nell’area mediorientale delle unità navali, tra cui i sottomarini, dotate di missili di crociera Tomahawk e sarebbero pronti a concedere agli americani l’utilizzo dell’isola di Diego Garcia, nell’Oceano Indiano, già usata come fondamentale base d’appoggio in precedenti conflitti nella regione.

Secondo quanto riferito dal «Guardian», numerosi alti funzionari inglesi di governo e delle forze armate sostengono che l’Iran è tornato ad essere al centro delle preoccupazioni diplomatiche dopo la rivoluzione in Libia. Anche se Barack Obama non avrebbe intenzione di imbarcarsi in un nuovo conflitto, potrebbe esservi costretto proprio da un mutamento di scenario derivante dal prossimo rapporto della AIEA e da un atteggiamento più aggressivo da parte iraniana, dimostrato anche dal complotto che prevedeva di uccidere l’ambasciatore saudita negli Usa, derivante anche da una capacità “sorprendentemente resistente” verso le sanzioni e gli attacchi cibernetici contro le installazioni nucleari che hanno avuto meno successo di quanto si pensasse.

L’Iran starebbe implementando nuove e più efficienti centrifughe per l’arricchimento dell’uranio spostandole in istallazioni sotterranee e fortificate nei pressi della città di Qom. Per questo, secondo un alto funzionario governativo britannico, rimasto anonimo, «oltre i 12 mesi non potremmo essere sicuri che i nostri missili possano essere efficaci. La finestra si sta chiudendo, e il Regno Unito deve procedere con una pianificazione razionale. Gli Stati Uniti potrebbero farlo da soli [l’attacco], ma non lo faranno. Per cui abbiamo necessità di anticipare le loro richieste. Ritenevamo di avere tempo almeno fino a dopo le elezioni americane del prossimo anno, ma ora non siamo più così sicuri».

Anche gli americani stanno riposizionando le proprie forze nella regione. A fine ottobre il «New York Times» annunciava l’intenzione del generale Karl Horst, capo di stato maggiore del Central Command (ovvero il Medio Oriente allargato, che va dall’Asia centrale fino al Corno d’Africa e l’Egitto), di lanciare l’operazione “ritorno al futuro”. L’idea è di compensare il ritiro delle forze combattenti dall’Iraq ampliando la presenza militare sulla penisola arabica, come ai tempi della prima guerra del Golfo, con nuovi stanziamenti in Kuwait, soprattutto, ma anche in Arabia Saudita ed Emirati, nonché inviando ulteriori contingenti navali in quello stretto braccio di mare che divide le monarchie arabe dall’Iran.

Nonostante i tagli alle spese militari previste dal budget, gli Stati Uniti non smobilitano da questa regione nevralgica, al contrario, rilanciano. L’obiettivo strategico è creare un’alleanza militare sempre più strutturata con i paesi del Consiglio di Cooperazione del Golfo (Bahrein, Qatar, Oman, Emirati Arabi Uniti, Kuwait, Arabia Saudita), rendendo permanente quella prova generale di collaborazione già vista con l’intervento in Libia. Quasi una Nato del Golfo persico. È evidente come tale ristrutturazione miri ad accerchiare sempre più la Repubblica islamica.

Gli scenari fin qui illustrati puntano dritto verso un confronto militare o, come pensano alcuni analisti, fughe di notizie e pianificazioni militari servono per aumentare la pressione su Teheran, lanciando moniti credibili, per ottenere maggiori successi diplomatici? La risposta, in un senso o nell’altro, non tarderà, probabilmente, ad arrivare. Nel frattempo, a fronte di un possibile conflitto con esiti devastanti, il movimento pacifista pare del tutto inerme ed impreparato. Tornerà ad agitarsi, forse, quando sarà ormai troppo tardi. Ammesso che non lo sia già ora.

P.S. Mentre chiudevo l’articolo è giunta questa Ansa, ore 20:37 del 4 novembre 2011:
L’opzione militare nei confronti dell’Iran, da parte di Israele e di altri Paesi, sembra avvicinarsi: lo ha affermato stasera il capo dello stato israeliano Shimon Peres, in una intervista alla televisione commerciale Canale 2. «I servizi di sicurezza di tutti i Paesi comprendono che il tempo stringe e di conseguenza avvertono i rispettivi dirigenti» ha aggiunto. «A quanto pare – ha detto Peres – l’Iran si avvicina alle armi nucleari. Nel tempo che resta dobbiamo esigere dai Paesi del mondo di agire, e dire loro che devono rispettare gli impegni che hanno assunto, e far fronte alle loro responsabilità: sia che si tratti di sanzioni severe sia che si tratti di una operazione militare».