”Se l’Italia non fosse nell’euro…”

Enrico Piovesana
www.peacereporter.net

Il giornalista economico britannico Evans-Pritchard: “L’economia italiana è debole solo secondo i parametri di Maastricht. Se avesse ancora una banca centrale sovrana non sarebbe in questa situazione. La Bce? Incompetente e arrogante”

Il giornalista economico britannico Ambrose Evans-Pritchard, responsabile della sezione economica internazionale del Telegraph, ha scritto pochi giorni fa in un suo articolo: “Lasciatemi aggiungere che l’Italia non è fondamentalmente insolvente. È in questi pasticci perché non ha un prestatore di ultima istanza, una banca centrale sovrana o una moneta sovrana. La struttura dell’euro ha trasformato uno stato solvente in uno insolvente. Ha invertito l’alchimia”.
Affermazioni degne di nota che Peacereporter ha chiesto a Evans-Pritchard di spiegare.

Fondamentalmente la posizione debitoria italiana è solida – ci ha detto il giornalista britannico al telefono – perché non esiste solo il rapporto debito pubblico/Pil stabilito dal Trattato di Maastricht.

Se tra i criteri di sostenibilità di un economia si considera anche il debito privato, l’Italia risulta uno dei Paesi più stabili d’Europa. L’indebitamento delle famiglie italiane e delle società non finanziarie italiane è il più basso d’Europa (42 per cento del Pil, contro il 103 britannico, l’84 spagnolo, il 63 tedesco e il 51 francese, ndr) e ciò rende il debito aggregato italiano (pubblico più privato) inferiore a quello di Gran Bretagna, Spagna e Francia, e analogo a quello della Germania.

Inoltre lo Stato italiano è uno dei pochi al mondo ad avere un avanzo primario, ovvero a incassare più di quello che spende, al netto degli interessi che paga sul debito pubblico.

Considerate queste condizioni, se il vostro Paese non fosse entrato nell’euro e aveste quindi una banca centrale sovrana in grado di attuare una politica monetaria autonoma espansiva a sostegno dello sviluppo la situazione dell’Italia sarebbe molto migliore. Ovviamente stiamo parlando in linea puramente teoria, perché ormai che siete dentro non potete uscirne: sarebbe una catastrofe per voi e per l’Europa in generale.

Il problema è che la direzione in cui stiamo andando è proprio questa, perché la politica economia della Bce produce risultati nefasti.
La politica monetaria restrittiva della Bce, che anche in questi ultimi anni di piena recessione ha pedissequamente osservato il suo dovere statutario di tenere bassa l’inflazione tenendo alto il costo del denaro, ha ristretto il credito e di conseguenza ha rallentato la crescita di tutta l’Europa. E ora pretende di salvare Paesi in recessione come Grecia e Italia imponendo loro riduzioni salariali e tagli occupazionali che bloccheranno crescita e sviluppo. Incompetenza, per non dire di peggio.

A questo si sommano la pericolosità politica dell’azione della Bce, che impone i suoi diktat in maniera arrogante e offensiva della sovranità nazionale. Si pensi al piano per la Grecia che prevede l’apertura ad Atene di uffici europei permanenti per monitorare l’applicazione di queste misure, come una sorta di viceré europeo.

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Democratizzare l’Europa

La sociologia Donatella della Porta, esperta di questioni europee: “Il passaggio di sovranità dagli Stati all’Europa non va contrastato, ma democratizzato tramite un’azione politica a livello europeo, non più nazionale. A cominciare dai movimenti”

Donatella della Porta è docente di sociologia presso il Dipartimento di Scienze Politiche e Sociali dell’Istituto Universitario Europeo di Firenze. Condirettrice della European Political Science Review, è anche coordinatrice del progetto di ricerca Demos (Democracy in Europe and the Mobilisation of Society) finanziato della Commissione europea. Ha diretto il Gruppo di ricerca sull’azione collettiva in Europa (Grace).

Professoressa Della Porta, organismi non eletti (Bce e Commissione europea) impongono a governi eletti politiche economiche impopolari: le democrazie nazionali, espressione della sovranità popolare, sono destinate a lasciare il posto a una tecnocrazia sovranazionale, in cui i cittadini tornano a essere sudditi come ai tempi degli imperi?
E’ sbagliato pensare alla sovranità nazionale dei Paesi europei come una cosa intatta prima della nascita dell’Unione europea, perché essa era già stata fortemente limitata e intaccata nei decenni passati dal gioco delle superpotenze o dagli interessi dei Paesi europei più forti.
Detto questo, è importante sottolineare che gli Stati hanno ceduto volontariamente sovranità, prima che alle istituzioni europee, ai mercati. Come le politiche neoliberiste di deregolamentazione e privatizzazione adottate da tutti i governi europei all’inizio degli anni ’90, la politica ha graziosamente lasciato al mercato il potere di regolare ambiti di grandi importanza, dal lavoro ai servizi sociali essenziali.
Con l’adesione all’Unione europea, gli Stati hanno ceduto ulteriori quote di sovranità alle istituzioni centrali europee che, questo è evidente, soffrono di un di un grave deficit di rappresentanza, visti gli scarsi poteri del Parlamento europeo nei confronti degli organi esecutivi: Commissione e Consiglio.

La proposta di creare un Tesoro europeo avanzata dal presidente del Consiglio europeo Herman Van Rompuy e quella di sanzioni punitive agli Stati che non rispettano i dettami dell’Ue avanzata dal presidente della Commissione europea, Josè Manuel Barroso, possono essere viste come i primi passi verso la creazione degli Stati Uniti d’Europa?
Magari si arrivasse a un sistema federale democratico come quello statunitense, con un analogo bilanciamento tra poteri e una politica che tiene conto anche di aspetti sociali, non solo puramente finanziari! Le odierne istituzioni europee rimangono fortemente sbilanciate a favore del potere esecutivo. E le proposte da lei citate rimangono anch’esse circoscritte a un ambito squisitamente finanziario. Senza un Parlamento europeo con i poteri di un vero parlamento e senza una politica europea che pensi anche ai problemi del lavoro e della giustizia sociale, l’idea di uno Stato federale europeo rimane lontana.

Ma il trasferimento di sovranità degli Stati nazionali, già in piena crisi di rappresentatività della volontà popolare, a un Superstato centrale europeo, ancor più distante dai cittadini e vicino ai poteri forti (banche e multinazionali), non rischia di cancellerà ogni traccia di democrazia, intesa non come processo elettorale, ma come reale potere dei cittadini di influenzare le decisioni dei governanti?
Al contrario, ritengo che la crisi di rappresentatività democratica a livello nazionale troverà una soluzione proprio in una reale ed effettiva rappresentanza democratica in sede sovranazionale, europea. Si tratta di un processo storico evolutivo lento e difficile, anche conflittuale, ma la direzione è questa: ripiegare a livello nazionale significherebbe non riuscire a gestire problemi che ormai nazionali non sono più.
Anche durante la formazione degli Stati-nazione i neonati parlamenti nazionali avevano scarsa rappresentanza democratica: i parlamentari hanno agito a lungo come rappresentanti di istanze regionali e i problemi di giustizia sociale sono stati affrontati solo grazie alla spinta del nascente movimento operaio e sindacale. Anche a livello europeo dovrà avvenire qualcosa del genere.

Se dunque il trasferimento di sovranità dagli Stati alle istituzioni sovranazionali europee è un processo storico inevitabile, quasi naturale, come si può far sì che esso imbocchi una strada democratica e non élitaria? Quale il ruolo storico degli odierni movimenti, a iniziare dagli Indignados?
Finora l’Europa è stata vissuta come un potere neutrale, puramente burocratico-amministrativo, insomma tecnico, non politico. L’unica conflittualità è stata finora quella tra confliggenti interessi nazionali. La crisi economica e il dibattito su come contrastarla sta invece dimostrando che le decisioni europee sono eminentemente politiche. E’ evidente, ad esempio, che le misure imposte alla Grecia o all’Italia non hanno nulla a che fare con la crescita, e che anzi, da un punto di vista keynesiano, sono fortemente depressive.
Di fronte all’emergere della dimensione politica europea, però, sia le forze politiche tradizionali, partiti di sinistra e sindacati, sia i movimenti di protesta popolare come gli Indignados, appaiono ancora troppo legati a una dimensione nazionale. Il Forun Sociale Europeo, i vari controvertici e le proteste del 15 ottobre sono un primo abbozzo di coordinamento sovranazionale: questa è la strada da percorre per costruire un Europa democratica e sociale.