Il gran ritorno dei cattolici

Adriano Prosperi
Repubblica del 19 novembre 2011

“Siamo passati dal Carnevale alla Quaresima”: lo ha detto il neoministro Andrea Riccardi ma lo
abbiamo pensato in molti. Il passaggio è stato brusco e totale. Un governo sottoposto a una cura
dimagrante da cavallo nei numeri, sullo sfondo di scenari austeri.

Senza la profusione di colori e i sontuosi sfondi rinascimentali delle conferenze stampa d´una volta;
e non parliamo della sobrietà e della severità quasi luttuosa dei discorsi e dei rituali. È finito il ciclo
carnevalesco delle feste in ville e palazzi, del “bunga bunga”, della carnalità traboccante e colorata,
del corteggio di nani e ballerine che circondava, seguiva, abbracciava un re Carnevale in
doppiopetto. Qualcuno un giorno rievocherà forse con nostalgia i nostri ruggenti anni dieci del
secondo millennio, con quelle donne belle ed eleganti dai soprannomi ammiccanti, dalle professioni
surreali – l´Ape regina, l´igienista dentaria, le escort – introdotte nel sacrario del potere col solo
compito di far sentire amato il padrone.

Ma ecco, appunto, la Quaresima che irrompe sulla scena e sconfigge re Carnevale: ancora una volta
si affaccia sulla società italiana una immagine antica, legata come poche altre alla cultura popolare
del nostro paese, elevata a chiave di lettura della storia d´Italia da chi, come Francesco De Sanctis ,
vide la Controriforma come una Quaresima piombata sul Carnevale italiano del Rinascimento
cancellando con una maschera di finta devozione la vera modernità, quella che si riassumeva per lui
nel nome di Machiavelli. Oggi l´immagine coniata dal liberale e anticlericale De Sanctis, vero
maestro intellettuale dell´Italia, che non ebbe simpatia né per il Carnevale né per la Quaresima
viene usata da uno storico cattolico che proprio in quanto cattolico impegnato nei problemi del
mondo è stato chiamato a far parte del nuovo governo.

E si levano toni trionfalistici dal mondo dei cattolici impegnati in politica: si afferma così negli storici del presente la tesi secondo cui il grande rivolgimento nell´assetto governativo a cui assistiamo sarebbe stato concepito nel recente convegno tenutosi nel convento di Montesanto presso Todi. Il suo atto di fondazione sarebbe dunque l´invito del cardinal Bagnasco ai laici cattolici a portare nella società i principi della dottrina sociale della Chiesa. Mentre ci chiedevamo perché le autorità ecclesiastiche fossero così reticenti davanti alle voci critiche che si levavano dal mondo dei cattolici italiani, in realtà quelle stesse autorità stavano preparando il mutamento di cavalli.

La questione merita una qualche attenzione perché non c´è dubbio che la componente culturalmente più significativa di questo governo appena nato è quella diun cattolicesimo di alta qualità, nutrito di impegno sociale e culturale, che rappresenta qualcosa di molto remoto dai “laici devoti” e dai “convertiti” dell´apparato berlusconiano.

Ma intanto andrà detto prima di tutto che senza l´iniziativa politica assunta in prima persona dal
Presidente della Repubblica, interprete straordinariamente lucido delle necessità primarie del Paese
che in lui si è riconosciuto, questo cambiamento – tanto urgente nella realtà quanto remoto dalla
mente di Berlusconi e della sua maggioranza – non sarebbe avvenuto e adesso, nella migliore delle
ipotesi, staremmo assistendo a una campagna elettorale lacerante e affondando sempre più in una
crisi devastante.

Ma se è vero che una parte del mondo cattolico – la più consapevole e seria – si è
resa disponibile per prendere il timone degli affari italiani, bisognerà ricordare che è stata la cultura
laica italiana a battere sul chiodo costituzionale della necessità di stili di vita adeguati da parte dei
rappresentanti eletti del popolo italiano: sul bisogno di trasparenza nell´intreccio tra affari e politica:
sul fatto che gli uomini delle istituzioni devono essere rispettabili se vogliamo che le istituzioni
siano rispettate: sul fatto che la sopraffazione dei diritti e delle leggi esercitata dalla ricchezza e dal
potere scardina l´ordinamento democratico.

Il disvelamento delle macchine del fango nelle inchieste giornalistiche di Giuseppe D´Avanzo, la
lucida difesa delle regole contro il malaffare e l´illegalità da parte di Stefano Rodotà, la
testimonianza di Roberto Saviano sono stati contributi di una cultura che ha difeso i diritti di tutti e
ha richiamato al rispetto dei principi consacrati nella nostra Costituzione, contro il mantra dell
´intoccabilità del potere di chi ha avuto la maggioranza dei voti. Non si tratta di spartirsi i meriti di
una svolta che per ora è solo annunciata e che non sarà facile portare a buon fine. Né è il caso in
questo momento di ricordare la distrazione, i silenzi e talvolta gli sghignazzi che hanno accolto i
“moralisti”: la parola stessa è stata usata come un insulto, una gogna.

Fa bene Rodotà a rigraduare il valore della parola professandosi moralista incallito e non pentito nel suo magnifico “Elogio del moralismo”(Laterza). Il problema è un altro: ai cattolici che caratterizzano con la loro presenza il nuovo governo si deve chiedere conto di come intendono interpretare la loro appartenenza religiosa. Abbiamo alle spalle un governo dove l´alleanza con la Chiesa è stata pagata coi diritti dei cittadini, delle donne, dei malati, degli studenti della scuola pubblica.

Non è quella l´interpretazione della testimonianza di fede che può andare d´accordo con la costituzione. Ma non possiamo dimenticare che a Todi il cardinal Bagnasco ha indicato ai cattolici in politica l´obbligo di difendere alcuni punti, dove sarebbero in gioco valori definiti con aggettivi assai robusti – “essenziali, nativi, irrinunciabili, inviolabili, inalienabili, indivisibili, e dunque non negoziabili”. E quei principi sarebbero in gioco laddove si discute dell´inizio e della fine della vita, del matrimonio come legame tra un uomo e una donna, della libertà religiosa ed educativa. Il futuro prossimo chiarirà se quelli che sono entrati nel governo e lo caratterizzano sono dei “cattolici adulti” oppure no.

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«Bella squadra»: la soddisfazione della Chiesa

Gian Guido Vecchi
Corriere della Sera 17 novembre 2011

Mai come in questi giorni è stata evidente la sintonia tra i due Colli, qualcosa che va oltre il rispetto istituzionale tra Vaticano e Quirinale e si accompagna alla stima che lega i due quasi coetanei Giorgio Napolitano e Benedetto XVI. L’ Osservatore Romano che chiedeva «decisioni rapide e senso di responsabilità» riportando quasi solo le parole del presidente italiano, la Radio Vaticana a sostenere la necessità d’ un «governo di transizione e di tregua».

Naturale che ieri sera, uscendo dall’ ateneo di Urbino dopo aver presentato il libro di Ratzinger su Gesù, il segretario di Stato vaticano Tarcisio Bertone abbia commentato con favore («vedo anche che le università sono state trattate molto bene») la nascita del governo Monti: «È una bella squadra alla quale auguro un buon lavoro, perché c’ è tanto da fare».

Un «lavoro difficile», certo, «ma penso che la squadra sia attrezzata per affrontarlo». C’ è un senso di attesa, ai vertici della Chiesa, fiduciosa ma consapevole che la situazione generale è assai poco simpatica. «Il momento di difficoltà che attraversa l’ Europa sollecita una nuova assunzione di responsabilità e un rinnovato impegno comune dei popoli e delle istituzioni», osservava ieri il cardinale Angelo Bagnasco a un seminario dei vescovi sulla Ue. La Cei si è tenuta distante senza esprimere giudizi, in questi giorni, ma la linea «incoraggiata» era chiara: no a elezioni o «ribaltoni» di sorta, sì a larghe intese.

Il direttore di Avvenire Marco Tarquinio ha scritto che «dal governo Monti ci si attende molto»: e l’ «attesa» è «segno di una fiducia che, sommata a quella del Parlamento, spero gli sia di viatico lungo l’ arduo percorso che attende il nuovo esecutivo». In questo senso, la «competenza» e lo «spessore» dei ministri e la «presenza qualificata» di cattolici nell’ esecutivo, si fa sapere, è «apprezzata» e rassicura le gerarchie. Del resto si parla di uno «spirito di Todi» che aleggia sul governo Monti.

Tre dei nuovi ministri – Corrado Passera, Lorenzo Ornaghi e Andrea Riccardi – hanno partecipato come relatori al Forum dei cattolici che un mese fa si concluse con la richiesta di un «governo più forte» e di larghe intese, considerata l’ «inadeguatezza» di quello allora in carica e il fatto che «le elezioni anticipate sarebbero la soluzione peggiore». Di qui la soddisfazione di vari esponenti del Forum, che già aveva espresso «sostegno convinto ad un governo di responsabilità nazionale».

La «fondazione Achille Grandi» delle Acli, presieduta da Michele Rizzi, ha commissionato a Ipsos un sondaggio dal quale risulta che l’ 88 per cento dei praticanti impegnati e l’ 85 dei non praticanti sostiene il nuovo premier. Del resto, il cattolico liberale Mario Monti ha scelto con finezza. Il rettore della Cattolica Lorenzo Ornaghi è vicinissimo al cardinale Ruini, sostenuto dalla forte componente ciellina dell’ ateneo e apprezzato nella Cei; Andrea Riccardi è fondatore della comunità di Sant’ Egidio e ha eccellenti rapporti Oltretevere. Milano e Roma, Vaticano e Chiesa italiana, «conservatori» e «progressisti».

C’ è anche Renato Balduzzi, già presidente del «Movimento ecclesiale di impegno culturale», che collaborò con Rosy Bindi come capo dell’ ufficio legislativo e partecipò alla stesura del disegno di legge sui «Dico», inviso alle gerarchie ecclesiastiche. Dalla Cattolica arriva Piero Giarda, vicini al mondo cattolico sono Paola Severino, Piero Gnudi e Francesco Profumo, che proprio questo pomeriggio presenterà il libro dell’ Editrice Vaticana curato da monsignor Lorenzo Leuzzi su «I grandi discorsi di Benedetto XVI»: invitato da tempo come presidente del Cnr, tra gli altri relatori troverà il predecessore all’ Istruzione, Mariastella Gelmini.

L’ incontro più atteso, però, sarà domani: a una tavola rotonda di «Scienza e Vita» sulla bioetica, dopo l’ intervento del cardinale Bagnasco, sono attesi Alfano, Bersani, Casini e Maroni. Tutti assieme, almeno lì.