Cattolici strangolati dal bipolarismo di R.LaValle

Raniero La Valle
L’Unità, 30 novembre 2011

Ha perfettamente ragione Luca Diotallevi quando scrive, su l’Unità del 26 novembre, che l’errore del convegno cattolico di Todi e il suo difetto di cultura politica consistono nell’aver posto come premessa l’unità politica dei cattolici. Tuttavia c’è una contraddizione quando egli si appella a una «filosofia istituzionale bipolarista» e quando considera un rischio il fatto che oggi si possa perdere«quel poco» che negli ultimi anni ci saremmo conquistati in termini di maggioritario, di bipolarismo, di rafforzamento dell’esecutivo.

La contraddizione sta nel fatto che il bipolarismo è nello stesso tempo la causa del tentativo di Todi e la ragione del suo fallimento. Senza il bipolarismo nessuno avrebbe sentito il bisogno di un «ritorno dei cattolici alla politica», per il semplice fatto che i cattolici in politica ci sono già, ed è il bipolarismo che li rende, come cattolici, irrilevanti e invisibili. Cattolici sono al vertice del partito di Berlusconi e al governo della maggiore regione d’Italia, la Lombardia, cattolici sono alla presidenza del maggior partito italiano, il Partito democratico, e di un suo gruppo parlamentare, cattolici sono gli esponenti dell’Udc, cattolici sono nell’Italia dei Valori, nei gruppi del terzo polo e anche nelle sinistre che sono fuori del Parlamento. E adesso «messalizzante» è anche il presidente del Consiglio.

Siccome però il bipolarismo stronca tutte le differenze all’interno dell’uno o dell’altro campo, e pretende la riduzione a due di tutte le culture e i programmi politici, i cattolici, che non sono una metà del Paese, né stanno tutti da una parte né possono, al di là della sfera privata, esprimere un’autonoma posizione ideale e politica (sempre che tutto non si riduca alla bioetica) nell’una o nell’altra delle due sezioni in cui l’Italia è divisa. Di qui la frustrazione e il nostalgico sogno di un ruolo, che ha portato molti di loro, e la stessa gerarchia ecclesiastica, a Todi.

Ma il bipolarismo è anche ciò che impedisce a Todi di sortire alcun risultato politico, talché l’unico possibile terreno di aggregazione che si è stati in grado di indicare tra le varie componenti convenute nella città umbra, è quello del «prepolitico», che è appunto quello che sta «prima» sia di un polo che dell’altro, e dovrebbe interloquire con essi; ma ciò paradossalmente significa non un ritorno alla politica, bensì una istituzionalizzazione del suo abbandono, un nuovo gigantesco «non expedit» che metterebbe a disposizione di una Chiesa, capace di sbrigarsela da sé col potere, una specie di “Opera dei Congressi” di tipo lobbistico, secondo un modello precedente a Sturzo, pur citato a Todi, e da lui combattuto.

Fu in regime maggioritario, a suffragio ristretto, in collegi uninominali (e nemmeno bipolare, perché serviva a eleggere solo i liberali) che nel 1905 Luigi Sturzo lanciò da Caltagirone il progetto, già tutto meditato e completo, di un partito aconfessionale di cattolici; ma ci vollero quattordici anni, e una guerra mondiale di mezzo, perché il Partito popolare potesse nascere; e la condizione del suo sorgere, oggetto della prima strenua battaglia di Sturzo, fu la conquista della proporzionale e di conseguenza la formazione, fuori degli uninominalismi populisti, dei partiti di massa.

D’accordo, non siamo nel 1919, benché anche questa volta il fascismo lo abbiamo avuto vicino. Ma ci sono ragioni non legate alla contingenza per cui con il bipolarismo i cattolici non possono andare da nessuna parte.

La prima ragione è inerente alla nuova percezione cristiana della verità. Fino al Concilio Vaticano II si pensava che la verità stesse tutta da una parte e che quindi fosse facile scegliere, con la Chiesa, di stare tutti insieme dalla parte della verità, l’unica ad avere diritti e libertà contro l’errore. A livello ideologico perciò lo schema bipolare funzionava benissimo. Con il Concilio si è capito che le vie della verità sono molte, che la politica non è il luogo della fede ma dell’amore, che la verità non si impone che per la forza della stessa verità e che se ciascuno, come «è tenuto» a fare, obbedisce alla sua coscienza, anche nell’errore, Dio è là.

La seconda ragione è che la realtà non è dualistica, ma pluralistica. Le ripugna essere divisa in due,e tutta così irretita in due spazi chiusi non può essere né interpretata né governata. Solo la guerra riesce davvero a stipare tutti nei due grandi lager degli amici e dei nemici, e le società del conflitto la imitano, ma lì si può solo vincere o perdere, non realizzare una comunità politica. Il manicheismo non si addice ai cristiani; Gesù non cadeva mai nelle secche alternative che gli venivano proposte, rispondeva sempre in un altro modo.

La terza ragione è che in una politica bipolare la Chiesa mal sopporta che i cattolici non stiano tutti dalla stessa parte. Perciò sarà tentata di riconoscere gli uni, e di disconoscere gli altri, soprattutto se «adulti». Dunque in tal caso il pluralismo dei cattolici in politica non è possibile; oppure si nasconde; oppure può essere praticato ma solo a costi altissimi. E senza pluralismo per i cattolici non si dà politica.

Ma ci sono naturalmente altre ragioni, che non sono proprie solo dei cattolici. Esse attengono alla sostanza stessa della democrazia, alle motivazioni profonde che portarono i costituenti alla scelta di un sistema parlamentare, rappresentativo e – ça va sans dire – proporzionale, e all’esperienza negativa, fino ai limiti del disastro culturale, del degrado etico e del dissesto economico, che l’ultimo ventennio ci ha arrecato.