Da Berlusconi a Monti. Dal potere della destra alla… destra al potere

Gianni Rossi
www.articolo21.info

Strano interludio quello che vive l’Italia in questi mesi di profonda crisi recessiva. Si è passati dal Ventennio, brevemente interrotto in due fasi, del potere della destra eversiva e anticostituzionale alla Destra, quella vera, dalla “faccia pulita” al potere. La differenza più evidente è, al momento, la capacità professionale e tecnocratica dei membri del governo Monti rispetto all’improntitudine, la cosciente complicità nei conflitti d’interesse del “Capo”, che esprimevano i componenti della “Banda Berlusconi & C.”. Per il resto la musica che si comincia a sentire, ascoltandola da fuori Palazzo Chigi, sembra la stessa: una Sinfonia incompiuta con andante sostenuto in “tasse maggiori” per violino e orchestra!

La luna di miele tra il “salvatore della Patria” Monti e l’opinione pubblica potrebbe in queste ore trasformarsi nell’ennesimo risveglio amaro: dopo qualche centinaio di miliardi di tagli e tassazioni variamente disseminati dal governo Berlusconi negli ultimi tre anni, ecco che anche il “governo dell’impegno nazionale”, come si è autodefinito, ricalca lo stesso spartito dell’inasprimento fiscale verso chi tasse, accise, prelievi forzosi e contributi una tantum, li sta pagando da ben 19 anni al solo scopo di “non far saltare il banco” dei conti pubblici, ma senza mai vedere dove, come e per quali scopi, questo “sangue” gli è stato prelevato dalla notte al giorno.

Un economista liberale nel senso storico e filosofico della parola, come il professor Alessandro De Nicola, presidente dell’Adam Smith Society, fautore della creazione dei Tea Party anche in Italia (l’ala iperliberista dei Repubblicani americani, anti-Obama), commentatore abituale del settimanale di sinistra “L’Espresso” edocente a quella Università Bocconi di cui Monti è stato anche Rettore, ha criticato dal suo punto di vista di “liberale puro” le anticipazioni sulla manovra “lacrime e sangue” del governo, proprio perché basata su l’inasprimento della tasse sui “soliti noti”, scegliendo una politica recessiva e non di incentivi alla ripresa. Certo, per De Nicola sarebbe meglio che venissero ridotte le spese pubbliche di uno “stato sprecone”, troppo ingombrante, che blocca qualsiasi tipo di concorrenzialità, ma in questa fase è preferibile per lui una scelta di stampo Keynesiano, a quella iperliberista che aleggia sulle decisioni montiane, proprio per alimentare la ripresa, incentivare lo sviluppo e i consumi, anziché far precipitare il paese nella “depressione” o addirittura nella “stagflazione”.

– L’aumento di 2 punti percentuali dell’IRPEF per i redditi del ceto medio produttivo, che solo nominalmente viene tassato del 41 e 43%, ma che in realtà subisce già un prelievo con le addizionali regionali e comunali del 50%, significa succhiare il sangue ad una fascia di popolazione estesa che regge i consumi, risparmia e sostiene i costi indiretti del welfare state, dal momento che con le proprie forze assiste i familiari più anziani malati cronici, si sobbarca le spese scolastiche sempre più esose e sostituisce lo stato nel dare una casa e un “salario minimo garantito” ai milioni di giovani figli disoccupati.

– Tagliare le spese alla Sanità, reintroducendo i ticket è, poi, una manovra classista che strangola i più deboli e bisognosi, azzera la competitività delle “eccellenze” pubbliche e favorisce le “spese indirette” verso le cliniche private.

– Passiamo quindi alla reintroduzione leggera o meno dell’ICI sulla prima casa (sulla falsariga del governo Prodi?) e della Super-ICI sulle seconde e terze case. Non è una mini-patrimoniale, ma un’altra misura depressiva: diminuirà il costo delle abitazioni, si bloccherà il mercato degli affitti, delle compravendite e delle costruzioni. Soprattutto pagheranno ancora i ceti medi e non solo, dipendenti e pensionati.
Dove è la tanto decantata equità?

– Forse la tassa sullo stazionamento delle barche?
Solo fumo negli occhi, per addolcire a sinistra la stangatina sulle pensioni di anzianità. Ormai sono milioni gli italiani che hanno una piccola imbarcazione ormeggiata, il più delle volte regolarmente denunciata e di modeste proporzioni. Poi, certo, ci sono quelle grandi, di lusso, che spesso battono bandiere “offshore”, intestate a società di comodo o in leasing. Queste potranno anche pagare la tassa sullo stazionamento in porto, ma tanto le spesse verranno “scaricate” nelle detrazioni fiscali delle società, appunto. E non servirà, comunque, a scovare evasori o elusori fiscali. Perché allora non tassare anche i proprietari di auto sportive, SUV e di marche di pregio, incrociando i loro dati con quelli dell’anagrafe tributaria?

– E le misure patrimoniali come l’armonizzazione del prelievo fiscale su tutte le rendite finanziarie, che da sola potrebbe portare subito alcuni miliardi?

– E la riapertura delle indagini sui “capitali scudati” dal duo Berlusconi/Tremonti, che avrebbe fatto recuperare alcune decine di miliardi dai conti svizzeri degli italiani “fedifraghi”, come hanno fatto tedeschi ed inglesi imponendo la collaborazione delle banche elvetiche?

Si può andare avanti con altre misure improntate all’equità e al rispetto delle fasce sociali, suggerite dai “liberal” alla De Nicola o anche più “sociali” elaborate dai sindacati come la CGIL, per non tartassare sempre coloro che da quasi 20 anni hanno pagato tutto e subito. Ci fermiamo qui, in attesa che SuperMario parli alla Nazione dalla tribuna televisiva della “Terza Camera”, quel Porta a Porta, berlusconizzato programma, utilizzato durante il regime del Cavaliere per fare da cassa di risonanza delle sue gesta e alla sua controrivoluzione culturale.

Resta però il pericolo per il centrosinistra di dover accettare una manovra del genere, contro quei settori che invece dovrebbe rappresentare e che ovviamente gli volteranno le spalle; mentre da parte di Berlusconi e soci, dopo alcuni sbraiti mediatici, propagandistici, non sembrerà vero che proprio il “tecnico” Monti, sostenuto anche dal PD, faccia il “lavoro sporco”, che Berlusconi stesso non avrebbe mai potuto permettersi: salvando i suoi tanti conflitti di interesse e difendendo le rendite finanziarie sue e dei suoi accoliti.

Per il PD ci sarebbe un esito esiziale, un’anticamera della scissione, con una parte degli ex-democristiani (Fioroni e Marini, ma anche Letta) e veltroniani insieme alla sparuta pattuglia dei “liberaldemocraitci” di Ichino e Bianco a difendere “sic et nunc” qualsiasi manovra recessiva di Monti, in nome de “E’ l’Europa che lo vuole!”. Si ingrosserebbero le fila della sinistra radicale, da SEL agli “Indignati”, ai “grillini” e a Rifondazione; così come trarrebbe nuova linfa vitale il “giustizialismo sociale” di Di Pietro. Comunque, tutto l’arco del centrosinistra perderebbe il suo appeal, che attualmente aveva nei sondaggi di opinione.

E così il rischio vero è che proprio il Mago di Arcore potrebbe uscire trionfante da questa “sospensione della democrazia”, riprendendosi parte dei consensi persi in questi tre anni di “non-governo” e di scandali “al pepe rosa”.