Le critiche radicali di Ivan Illich di G.Fofi

Il 2 dicembre di nove anni fa moriva Ivan Illich il cui messaggio, oscurato e censurato, paradossale ma profetico, è oggi attualissimo …. anche se non pienamente condivisibile. Ci sembra importante ricordarlo e per farne memoria ri- proponiamo un articolo di Goffredo Fofi.

La Redazione

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Goffredo Fofi
www.unita.it, 28 maggio 2011

Ci sono stati e ci sono in Russia tanti Ivan Illich (Illich non è un cognome, è un patronimico: figlio di Ilja), il più famoso dei quali è un personaggio letterario, uno dei più belli creati da Tolstoj nel racconto lungo «La morte di Ivan Illich», storia di un tronfio borghese che, colpito da una malattia mortale, è costretto a ragionare sé malgrado sul senso della sua insulsa vita egoista in uno stato di crescente solitudine, alleviata solo dall’attenzione di un servo analfabeta ma semplicemente cristiano. Ivan Illich è lo pseudonimo che si scelse tanti anni fa un giovane prete austriaco in crisi con il suo mondo, che si radicò per lunghi anni negli slum di New York e fondò a Cuernavaca in Messico un centro di studi e riflessioni al cui interno scrisse alcune magistrali opere di critica radicale delle “idee correnti” nel mondo contemporaneo.

In «Descolarizzare la società», in «Nemesi medica», in «La convivialità» (il suo capolavoro) e in tanti altri scritti, letti molto superficialmente dai movimenti degli anni Sessanta, affrontò i nodi centrali di una civiltà che aveva perso di senso, per puntar tutto sullo sviluppo, e i cui strombazzati risultati creavano nuova alienazione e nuova oppressione. (Su Ivan Illich c’è stato la settimana scorsa un affollato convegno a Mestre, di cui usciranno presto gli atti per le Edizioni dell’Asino, che hanno appena dato alle stampe una sua utile biografia, scritta da Martina Kaller Dietrich con la prefazione del miglior studioso di Illich fino a oggi, Wolfgang Sachs. Un suo amico, grande pensatore a sua volta, in particolare della tecnica, fu il francese Jacques Ellul, che in Italia si comincia appena ora a conoscere.)

Ivan Illich, morto nel 2002, ha messo in discussione la funzione liberatrice della scienza e della tecnologia, il benessere derivato dallo sviluppo, la funzione educatrice della scuola, il ruolo salvifico della medicina, la manipolazione della comunicazione, la sicurezza portata dalle istituzioni… Oggi i suoi testi sono sempre più illuminanti, di fronte alle prove del progresso e all’evoluzione della società globale. Difficilmente rintracciabili – Agamben ne sta però approntando l’opera omnia, già in corso di pubblicazione in Francia – appaiono sempre di più come le considerazioni più acute e più serie sulle storture e le contraddizioni del mondo in cui viviamo.

Sono una fonte di riflessione indispensabile per capire il mondo, ma – non so dire se purtroppo o per fortuna – non indicano nessuna strategia politica utile a combattere i suoi controsensi. Oltre la proposta di limitare drasticamente lo sviluppo, si trova in lui il riconoscimento del valore dei piccoli gruppi, che per lui è stato una pratica di vita. Ivan Illich ha rifiutato di dirci “che fare” e si è ben guardato dal trasformarsi in guru in un’epoca in cui era molto facile diventarlo (con il rischio della trasformazione in setta dei suoi seguaci).

Come ha scritto Giulio Marcon quando Illich morì, la nostra azione può produrre il contrario di quel che vogliamo raggiungere: “stante l’attuale paradigma del progresso o dello sviluppo, la ‘controproduttività’ è una sorta di dannazione per l’umanità, che ne è prigioniera come lo era Prometeo delle sue catene”. Progresso e sviluppo alienano i nostri rapporti interpersonali, distruggono l’ambiente, rendono schiavi dei trasporti, del media, della scolarità, dei medici, degli architetti e urbanisti, delle istituzioni. Quando i fini vincono sui mezzi, distruggono l’ambiente e i nostri rapporti, infettano la nostra stessa psiche, occorre, in tutti questi campi “deistituzionalizzare”, dice Illich, e reinventare “la convivialità”.

Tornare al senso e alla pratica dei limiti, in difesa dei valori primi dell’esistenza. Illich non ci dà indicazioni di strategia e tattica anche se ci svela l’assurdo del sistema che la modernità ha edificato e in cui si à chiusa. Come tirarsene fuori?

Sta alle poche manciate di uomini e donne di buona volontà, incerti e dubbiosi quando onesti con se stessi, andare avanti, interrogarsi, cercare, trovandosi sempre in difficoltà in rapporto a Illich perché la loro aspirazione all’intervento moralmente e politicamente efficace li mette (ci mette) in contraddizione con le sue analisi così radicali, perché ci rendiamo conto che ciò per cui lottiamo può produrre risultati opposti alle nostre convinzioni. Ma la scommessa è proprio questa: come riuscire a non seguire la china, a liberarsi dalle menzogne della cultura di quest’epoca, come non contribuire all’affermazione del contrario di ciò in cui crediamo?