Le forze nuove del mondo arabo che hanno travolto i regimi

Jacques Le Goff
la Repubblica, 25 Novembre 2011

Quello che più stupisce nelle attuali rivolte arabe è il loro carattere quasi globale, dal momento che investono pressoché l’intero mondo musulmano, dal Maghreb al Medio Oriente. Questi movimenti, sia pure con esiti diversi, lasceranno senza alcun dubbio tracce profonde. Il mondo musulmano, a lungo immobile, da ora in poi non lo sarà più. Ovviamente, questa trasformazione avrà ripercussioni a livello planetario.

Vedo la nascita, nel mondo musulmano, di quelle che definirei “forze nuove”, perché hanno un nuovo impatto politico e culturale. Le “forze nuove” all’opera sono tre: i giovani, le donne e Internet. Anche se in parte repressi, insieme questi elementi stravolgono la paralisi del mondo musulmano, dove fino a ieri c’erano soltanto quattro poteri dominanti.

Anzitutto c’erano i dittatori. Ma di loro, oggi resta soltanto quello siriano, il cui destino appare del resto sempre più minacciato. Altrove, in Libia, Egitto, Tunisia, e adesso perfino nello Yemen, sono stati tutti detronizzati. Tra le altre forze in gioco che limitano la speranza di cambiamento e che sembrano sostituirsi con lo stesso potere di dominio alle deposte dittature, c’è poi l’esercito. È il protagonista di quanto sta accadendo in Egitto e di quanto accade da anni in Algeria, dove non ci sono state rivolte proprio perché i militari gestiscono il potere con sufficiente durezza.

Il terzo potere è rappresentato dagli islamici, che sotto le dittature erano spesso imbavagliati e strettamente sorvegliati, e la cui ascesa sembra adesso inarrestabile. Infine, c’è la forza dei mullah iraniani, caso unico ma di una importanza strategica sempre fondamentale. In quel mondo, non va neanche dimenticata l’opposizione crescente tra sciiti e sunniti: le rivolte di questi mesi, lungi dall’indebolirla, sembrano piuttosto averne liberato la violenza. Sbaglia chi asserisce che si tratta soltanto di movimenti di liberazione: c’è infatti il rischio che la sola cosa che questi producano sia la sostituzione di una dominazione oscurantista con un’altra altrettanto retrograda.

In questa “primavera” ci sono però diverse “primavere”, che differiscono in base ai Paesi dove esse avvengono. Agli occhi di un democratico europeo, un caso positivo è la libertaria Turchia, che, per esempio, lavora alacremente affinché ci sia un’intesa obbiettiva e sempre più larga tra la Lega araba e i Paesi occidentali. La globalizzazione non va per forza bocciata, soprattutto quando porta al riavvicinamento di poteri e culture diverse. C’è poi il Libano, segnato dalla diversità dei suoi popoli e dall’instabilità dei suoi governi. C’è il Marocco, dove è lecito chiedersi se la monarchia riuscirà a moderare la sua repressione per dare ascolto al popolo. Ci sono due Paesi il cui futuro è molto incerto: l’Iraq, dove l’intervento statunitense ha prodotto frutti ancora immaturi e quindi difficilmente giudicabili; e l’Afghanistan, dove nessuno sa quello che potrà accadere tra pochi anni soltanto.

E che cosa dire dell’Arabia Saudita, Paese sconcertante dove vige uno dei regimi più oppressivi del pianeta ma che gode di un prestigio enorme perché è la terra dove sorge il luogo sacro dell’Islam, la Mecca? Sbalordisce inoltre che, malgrado la totale mancanza di libertà interna, l’Arabia mantenga ottimi rapporti con gli Stati Uniti. Ora, questo Stato perverso finanzia fuori dalle sue frontiere i movimenti islamici più ambigui e nefasti.

Quali sono gli altri fattori che possono determinare il successo o il fallimento di queste rivolte? Elementi decisivi possono essere il conflitto tra Israele e i palestinesi, o anche le ricchezze petrolifere di alcune regioni. Ma temo che nella maggior parte di questi Paesi non si produrranno autentiche rivoluzioni. Al momento possiamo dire che è stato avviato un processo di cambiamento, e che la maggior parte di questi popoli è giunta a un bivio, foriero di grandi speranze. Ma sarebbe ingenuo e illusorio aspettarsi che i risultati positivi delle rivolte arabe arrivino in fretta.

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Egitto, futuro al femminile

Laura Cappon
www.peacereporter.net

Bothaina Kamel, giornalista, arrestata domenica 20 novembre 2011 insieme ad alcuni studenti proprio in piazza Tahrir, si racconta. Si tratta dell’unica donna candidata alle future presidenziali in Egitto, ex moglie di Emad Abu Ghazi, ministro della Cultura egiziano che si è dimesso dopo le violenze di questi giorni.

Una candidata alle presidenziali in Egitto, un Paese dove per i diritti delle donne c’è ancora molto da fare, ha suscitato molte polemiche da parte dell’opinione pubblica. Lei come motiva la sua scelta e come risponde a chi definisce la sua decisione una semplice provocazione?
Penso che la mia candidatura non sia assolutamente una provocazione priva di alcuna ambizione, è tempo per le donne di mirare anche alle cariche più alte e dunque alla presidenza.
Inoltre la parità di genere si ottenga non solo facendo incontri e workshop sul tema ma stando dietro le loro esigenze, supportandole nei posti di lavoro, nelle fabbriche e difendendo i loro diritti. Allo stesso tempo dobbiamo lottare per eliminare il timore di rivendicare le nostre esigenze. Per noi è necessario entrare nella vita politica attiva del paese, dobbiamo essere presenti per partecipare alla costruzione del nuovo Egitto. Abbiamo dimostrato di essere in grado di fare la rivoluzione quindi saremo in grado anche di superare gli stereotipi e i limiti di genere che ancora persistono nella nostra società, come la nuova legge elettorale per le parlamentari che ha previsto la presenza obbligatoria di una sola donna per ogni partito, e nelle liste nessuna di loro era ai primi posti. L’estate scorsa ho fatto un tour elettorale per tutte le regioni egiziane e la reazione nelle zone anche più rurali è stata molto buona. All’inizio ho trovato un po’ di resistenza in particolare da parte delle frange più legate all’islam radicale nonostante questo molte persone hanno provato interesse verso la mia campagna e ho avuto la possibilità di parlare con tantissimi cittadini.

Il suo è un volto molto noto in Egitto, è stata per anni la presentatrice di uno dei tg più seguiti ma ha subito varie censure per la sua continua opposizione al regime di Mubarak. Quando ha iniziato a interessarsi di politica?
Sono un’attivista politica sin dagli anni dell’università e la mia vocazione per la difesa della libertà individuale e dei diritti delle donne è sempre andata di pari passo con la mia vita. Sono sempre stata vista come una fuori dal coro anche quando ero una studentessa, non ho mai rinunciato alle mie idee e alla libertà di pensiero.
E così ho continuato anche nella mia professione di giornalista per la radio e la tv di stato dove ho subito diverse censure sino a quando non mi sono rifiutata di leggere le news al telegiornale perché faziose. La prima censura arrivò con il mio programma radiofonico “confessioni notturne” dove affrontavo temi legati ai sentimenti e alla sessualità e che nonostante fosse seguito da tantissime persone venne interrotto e bollato come “indecente”.

Quali sono le prime cose che farebbe nel caso diventasse presidente?
La mia ricetta per la rinascita economica e politica dell’Egitto passerebbe per una stato laico che riduce le spese militari a favore del welfare e che introduce nuove regole e le rispetta. Il paese ha pochissimi servizi pubblici proporzionati alla popolazione. La prima cosa sarebbe reindirizzare la spesa pubblica verso la costruzione di nuove scuole e nuovi ospedali, si potrebbero anche utilizzare gli edifici del ministero della difesa e dell’interno – sono tantissimi – e convertirli in strutture di utilità pubblica. Per quanto riguarda la corruzione in questo paese è un fenomeno dilagante è per questo che il rispetto della legge assieme a un efficiente sistema democratica sarebbe un grande passo verso l’uguaglianza. Se lo stato riuscisse ad applicare le leggi a tutti i cittadini e se il denaro pubblico, che sino a ora è stato rubato dal regime di Mubarak, venisse gestito e ridistribuito in maniera equa il paese uscirebbe in poco tempo dalla miseria in cui è piombato negli ultimi decenni.

In questi giorni l’Egitto è andato al voto mentre Tahrir da orami due settimane sta rivivendo una seconda ondata di rivoluzione con le stesse violenze e gli stessi orrori. Cosa pensa di ciò che è accaduto nelle ultime settimane e come vede la vittoria dei Fratelli Musulmani e l’ottimo risultato dei salafiti che si sta prospettando dai primi scrutini?
Dopo il 25 gennaio non ho mai smesso di prendere parte alle proteste di piazza Tahrir, ho sempre sostenuto che il Consiglio Supremo Militare non stesse mantenendo le promesse fatte al popolo e anche dopo la seconda ondata di proteste di fine novembre sono stata sempre presente e sono stata arrestata dalla polizia egiziana nei giorni in cui portavo avanti il mio sciopero della fame in solidarietà con Laila Souif la mamma di Alaa Abel Fattah uno degli attivisti più importanti che ormai da un mese si trova in carcere con accuse infondate. Per quanto riguarda la supremazia delle forze di ispirazione islamica, credo che nonostante le nuove sanguinose proteste in piazza Tahrir e la presenza del Consiglio militare supremo che sarà in carica fino al prossimo luglio – e sta commettendo gli stessi errori del vecchio regime – sta dando una grande prova di forza andando alle urne. E anche se le cifre sono in favore dei partiti di ispirazione islamica e in una parte importante anche per i salafiti sono sicura che con un buon rodaggio il sistema democratico sarà in grado di scegliere le persone migliori per governare il Paese.