Afghanistan, replica al ministro Terzi

Enrico Piovesana
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Il marchese Giulio Maria Terzi di Sant’Agata, ex ambasciatore italiano in Israele e Stati Uniti, oggi ministro degli Esteri del governo Monti, scrive il 6 dicembre una lettera sul quotidiano La Repubblica a proposito dell’Afghanistan, intitolata “L’impegno dell’Italia non si ferma”. “Non possiamo permetterci di disperdere quanto di positivo, ed è molto, costruito in questi anni”, scrive il diplomatico.

Tra i “numerosi ed evidenti segnali di progresso che non possono essere sottostimati”, Terzi di Sant’Agata cita il fatto che “l’Afghanistan ha oggi istituzioni democraticamente elette”. Curioso che a dirlo sia il membro di un governo non democraticamente eletto. A parte il cattivo gusto, ricordiamo al ministro l’imbarazzo della comunità internazionale in occasione delle scandalose farse elettorali messe in scena dal regime-fantoccio di Kabul.

I colossali e sfacciati brogli elettorali architettati nel 2010 dal presidente Karzai e dai signori della guerra suoi alleati – milioni di falsi voti affluiti da province dove avevano votato poche migliaia di persone – vennero denunciati dagli osservatori internazionali e dalla stampa mondiale. La legittimità democratica delle istituzioni afgane venne messa in discussione dalle stesse Nazioni Unite, organizzatrici del voto: lo statunitense Peter Galbraith, numero due della missione delle Nazioni Unite in Afghanistan (Unama) si oppose all’insabbiamento dei brogli e per questo fu costretto a dimettersi dall’amministrazione Obama.

Terzi falsifica una realtà ben riassunta dalle parole della nota ex parlamentare democratica e scrittrice afgana, Malalai Joya: “In Afghanistan non abbiamo una democrazia, ma una sua grottesca caricatura. Il potere è in mano a un regime mafioso e corrotto dominato da criminali di guerra, signori della droga e fondamentalisti che dovrebbero trovarsi al Tribunale dell’Aja, non al governo e in parlamento, protetti e stipendiati dall’Occidente”.

La lista dei ‘segnali di progresso’ secondo Terzi prosegue con: “L’Afghanistan non ha originato negli ultimi dieci attentati terroristici all’estero”. Peccato che questo Paese, inteso come governo, popolo e territorio, non abbia mai originato attentati terroristici all’estero. Dopo gli attacchi dell’11 settembre 2001 gli afgani sono stati vittime di una sanguinosa rappresaglia collettiva solo perché il regime talebano dava asilo al ‘sospetto’ responsabile degli attacchi. E’ doveroso ricordare che la responsabilità di Osama bin Laden non fu mai provata (lui non ha mai rivendicato, anzi ha negato ogni ruolo, e lo stesso Fbi non lo ha mai ricercato per l’11 settembre: tutti gli indizi puntavano ai servizi segreti pachistani alleati di Washingon, ma questa pista venne insabbiata).

Il terzo risultato positivo sbandierato dal marchese è la “transizione” con cui “un numero crescente di province e distretti è passato o passerà sotto il controllo diretto delle forze di sicurezza afgane addestrate dai Paesi della coalizione internazionale”. Purtroppo per Terzi, questo processo è tutt’altro che un successo. Le inaffidabili, corrotte e impreparate forze armate afgane risultano infatti del tutto incapaci di garantire la sicurezza nelle aree passate alla loro responsabilità: basta pensare alle clamorose azioni militari compiute dalla resistenza talebana nel centro Kabul, che ha agito indisturbata nelle aree più sorvegliate della capitale.

Dire, come fa il ministro, che in Afghanistan “la sicurezza non è ancora pienamente garantita” non è un eufemismo: è una falsità smentita dalle statistiche ufficiali. L’Anso (Afghanistan Ngo Safety Office), organizzazione internazionale che si occupa della sicurezza delle Ong in Afghanistan creata dall’Ufficio umanitario della Commissione europea (Echo), dalla Cooperazione svizzera (Sdc) e dal ministero degli Esteri norvegese, ha recentemente pubblicato un rapporto che dipinge una situazione di continua escalation della violenza: 12mila attacchi nei primi nove mesi del 2011, 24 per cento in più rispetto all’anno scorso, “in linea con il trend di crescita degli ultimi cinque anni”.

Con un altro eufemismo, il ministro marchese accenna alle difficoltà economiche dell’Afghanistan: “Ci vorrà ancora molto per rendere il Paese economicamente autonomo”. Come se in questi dieci anni la situazione avesse fatto dei passi avanti. Un’altra falsità, dimostrata dalle statistiche ufficiali. Nonostante 40 miliardi di dollari di aiuti versati dalla comunità internazionale dal 2001 a oggi, le condizioni di vita della popolazione afgana sono peggiorate rispetto all’inizio della guerra: la povertà assoluta è salita dal 23 al 36 per cento della popolazione, l’aspettativa di vita è scesa da 46 a 44 anni (Italia: 81 anni), la mortalità infantile è aumentata dal 147 al 149 per mille (Italia: 3 per mille), il tasso di alfabetizzazione è sceso dal 31 al 28 per cento (Italia: 98 per cento).

L’economia afgana, basata oggi come non mai sulla produzione di oppio ed eroina, non sarà mai autonoma, proprio perché è stata resa dipendente dagli aiuti internazionali. Aiuti che però non hanno portato benefici alla popolazione. Come denunciato da innumerevoli inchieste, rapporti ufficiali ed esperti del settore – non ultimo da Pino Arlacchi, vice presidente della delegazione del Parlamento europeo per le relazioni con l’Afghanistan – la quasi totalità degli aiuti internazionali è finita infatti nelle tasche di governanti e funzionari corrotti o è tornata indietro sotto forma di profitti alle aziende occidentali di sicurezza e consulenza e di stipendi degli operatori stranieri delle organizzazioni internazionali e delle Ong. Alla popolazione afgana sono arrivate solo le briciole.

Riguardo al contributo dell’Italia su questo versante, il ministro Terzi ricorda i “570 milioni di aiuti” arrivati all’Afghanistan attraverso la Cooperazione italiana, ma non spiega come siano stati usati. Non è un segreto che gran parte di questi soldi non sono stati usati a vantaggio della popolazione afgana, bensì per progetti di discutibile utilità sociale decisi e gestiti dai soldati italiani in base a logiche squisitamente politico-militari, vale a dire per comprarsi l’appoggio di notabili, capi tribù, signori della guerra locali.
Lasciamo perdere, per pudore, i vergognosi risultati del programma italiano (costato 80 milioni di euro) volto a riformare il sistema giudiziario e penitenziario afgano.

Visti i fantastici risultati del decennale impegno internazionale e italiano in Afghanistan e la gravosità economica di tale impegno in tempi di crisi e di austerità (800 milioni di euro all’anno, oltre 2 milioni al giorno, il costo per i contribuenti italiani), sarebbe meglio togliere il disturbo. Con il permesso del marchese Giulio Maria Terzi di Sant’Agata.