Austria: anche un vescovo si schiera con i preti “ribelli”

Ludovica Eugenio
www.adistaonline.it

Le richieste di riforma della Chiesa avanzate dai parroci austriaci “disobbedienti” coinvolgono «vari livelli», sono «condivise a livello nazionale» e perciò «non si possono semplicemente cancellare senza che con ciò venga attuata una negazione della realtà». Lo ha affermato, il 30 novembre, il vescovo emerito di Innsbruck mons. Reinhold Stecher, 90 anni, nel corso di un’intervista all’emittente Orf-Alto Adige e al Tiroler Tageszeitung.

Le richieste della piattaforma di protesta – che, in giugno, aveva invitato il clero e il popolo cattolico a puntuali atti di disobbedienza per lanciare un messaggio forte di scontento rispetto alla struttura «assolutista» della Chiesa e di necessità urgente di riforme ecclesiali – sono, ha detto Stecher, notoriamente su posizioni di apertura, «considerazioni obiettive» coerenti «con il messaggio complessivo di Gesù Cristo». In questa prospettiva, il termine “disobbedienza” starebbe a significare un «grido», reso necessario dal fatto che «toni più sussurrati» sono stati precedentemente ignorati dalla Chiesa.

Il vescovo emerito si è espresso anche nel merito della questione concreta dei preti sposati: «Se lo ha fatto Gesù, non può essere sbagliato. Tra i suoi apostoli ve ne erano diversi sposati», ha affermato, ribadendo la sua posizione a favore della soppressione del celibato obbligatorio per il clero.

Sui parroci “disobbedienti” si erano pronunciati, negativamente, ma non con totale chiusura, i vescovi austriaci, riuniti nella loro assemblea autunnale a Innsbruck, (7-10/11). «Il rinnovamento della Chiesa – hanno detto nel comunicato stampa finale firmato dal presidente della Conferenza episcopale, l’arcivescovo di Vienna card. Christoph Schönborn – è stata la grande richiesta del Concilio Vaticano II, al quale siamo vincolati anche oggi e resteremo in futuro». Ma alcune richieste dell’iniziativa dei parroci sarebbero «in grave contraddizione con l’identità della Chiesa e metterebbero a rischio l’unità della Chiesa».

I vescovi hanno poi esplicitamente criticato l’“appello alla disobbedienza” dei parroci. «Noi vescovi prendiamo sul serio, ovviamente, tutte le preoccupazioni per il presente e il futuro della Chiesa. Le diocesi austriache affrontano questa situazione e prendono seriamente in considerazione la possibilità di provare qualcosa di nuovo». In questa prospettiva, si chiede «a tutti i cattolici e ai leader nella sfera pubblica di collaborare con spirito positivo». Tuttavia, alcune delle richieste formulate dai disobbedienti non sono accettabili, ha chiarito la conferenza episcopale.

E se l’obbedienza nella Chiesa non è «cieca» né «servile», il ricorso al termine “disobbedienza” rimanda «a un grido di battaglia» che non può restare senza critiche. Quanto all’ipotesi di un’Eucaristia senza prete, avanzate da vari gruppi di riforma, si tratterebbe, per i vescovi, di «una rottura conclamata rispetto ad una verità centrale della nostra fede cattolica»; qui, hanno sottolineato, non si ha a che fare con questioni organizzative, ma con i fondamenti dell’identità cattolica.

Sul fatto che ci sia bisogno di un rinnovamento e riforme i vescovi concordano, tanto che in alcune diocesi sono già stati avviati progetti di confronto con laici e clero sulla percorribilità di nuove strade, ma, avvertono, «in un tempo di grande cambiamento l’armonia completa non si può raggiungere né nella società, né nella Chiesa», ed è necessaria la «volontà da parte di tutti di sopportare le tensioni e farle fruttificare».

Sul tema del celibato, i vescovi si sono trincerati dietro l’irrilevanza del numero dei cattolici austriaci, che da soli non potrebbero certo pretendere di modificare una regola di così ampia portata. Quanto alla possibilità di un intervento disciplinare contro i parroci disobbedienti, Schönborn ha rimandato ai dialoghi portati avanti dalle singole diocesi con la rispettiva controparte “ribelle”: «È molto importante chiarirsi parlando».

E sul termine “disobbedienza”, il presidente dei vescovi austriaci ha sottolineato che, è vero, l’obbedienza a Dio e alla propria coscienza ha il primato sull’obbedienza alla gerarchia ecclesiale, e ha citato il motto del card. John Henry Newman «Prima alla coscienza, poi al papa»; ma bisogna stare attenti, ha avvertito, ad un «utilizzo sconsiderato del “grido di battaglia” “disobbedienza”».