Governo Monti: le attese e le perplessità della base cattolica

Valerio Gigante
Adista n. 91/2011

«Baciare il rospo?» fu l’azzeccatissimo titolo, corredato da un disegno altrettanto efficace, che comparve sulla prima pagina del quotidiano il manifesto, il 14 gennaio 1995, alla vigilia del varo del governo “tecnico” presieduto da Lamberto Dini. Qualche mese prima, il 28 marzo 1994, Silvio Berlusconi aveva vinto per la prima volta le elezioni politche. Il suo governo durò 9 intensissimi mesi e fu alla fine rovesciato dalle due grandi manifestazioni sindacali organizzate contro la paventata riforma delle pensioni. Caduto quel governo, a sinistra ci si chiese se fosse più opportuno sostenere, seppure con prudenza e “a termine”, l’esecutivo presieduto da un ex dirigente del Fmi ed ex ministro di Berlusconi, ma che pure guidava una compagine che sembrava caratterizzata da tratti meno eversivi della precedente, o se invece fosse necessario opporsi a Dini (e alle sue “riforme”) come già si era fatto con Berlusconi.

A 17 anni di distanza, torna la stessa domanda. Di nuovo Berlusconi è caduto, di nuovo anche per “colpa” delle pensioni (su cui la Lega ha posto il suo irremovibile veto); di nuovo si affaccia alla ribalta un governo “tecnico”, composto per la maggior parte di esponenti del mondo finanziario, accademico, bancario. Quella domanda, “baciare il rospo?”, riguarda oggi anche quella parte della sinistra che si riconosce nell’orizzonte di un cristianesimo critico e progressista e che nei confronti del governo guidato da Mario Monti ha un giudizio articolato e diversificato. Infatti, da una parte nella Chiesa di base saluta con soddisfazione la caduta di Berlusconi ed il crepuscolo del berlusconismo; l’avvento di una maggiore serietà e sobrietà delle istituzioni; la fine del clima di permanente rissa che ha caratterizzato in questi anni la vita politica; l’apertura di nuove possibilità di intervenire sulle dinamiche che hanno in questi anni caratterizzato la partecipazione dei cattolici alla vita politica, tentando di rompere la solida alleanza trono-altare che si è ricostituita dopo la fine della Dc.

Dall’altra parte, tuttavia, ci sono settori della comunità ecclesiale che non possono fare a meno di sottolineare come il nuovo governo sia nato all’ombra di un commissariamento de facto del nostro Paese da parte dell’Unione Europea e nel segno di una nuova, ennesima, forzatura della nostra Costituzione; che il nuovo esecutivo non è esente dai conflitti di interesse tanto esecrati nel precedente; che si preannunciano misure economiche particolarmente dure, e di nuovo a carico dei ceti popolari. Che, infine, il tasso di “clericalità” del nuovo governo resta piuttosto alto, dal momento che le gerarchie cattoliche hanno avuto ampia voce in capitolo nell’indicare uomini e dicasteri a loro graditi.

Una situazione complessa, ricca di distinguo, ancora in evoluzione. Adista ha cercato di approfondirla, chiedendo ad alcuni esponenti della base ecclesiale una loro valutazione personale sul nuovo governo e sui nuovi rapporti tra potere civile e religioso.

Beppe Manni (Comunità di base del Villaggio Artigiano di Modena):

«La caduta di Berlusconi ha lasciato un vuoto di identità. Solo ora ci accorgiamo quanto il sig. B. catalizzasse i pensieri di tutti. Ora guardiamo con occhi nuovi l’Italia, l’Europa, il mondo. Dei tre cancri che soffre la realtà italiana ne è stato parzialmente estirpato uno, ma restano la mafia e il Vaticano. Non il cristianesimo o la Chiesa. Ci siamo tolti dai piedi i falsi cattolici fiancheggiatori alla Ferrara, ma c’è Cl che fa da zoccolo portante della cristianità e poi i vescovi che escono dalle porte e rientrano da finestre e finestrini. Mi ha inquietato un poco l’elenco di ministri che sono stati definiti cattolici. Speriamo non abbiano dovuto firmare un protocollo segreto nel quale promettevano, oltre che di non toccare il conflitto di interessi, le tv berlusconiane e lo stipendio dei parlamentari, anche i cosiddetti valori “non negoziabili”. E si comportino da cristiani adulti».

Vittorio Bellavite (Noi Siamo Chiesa):

«Se guardiamo a come eravamo solo un mese fa, tutti, nel mondo cattolico, non possiamo che tirare un grande sospiro di sollievo. Sembrava che questa notte della Repubblica non dovesse finire mai. Ora la partita è riaperta e nessuno sa come si svolgerà e che esito avrà. Le analisi politiche più ragionevoli indicano una prospettiva seria per un’alleanza progressista. Ma che essa sappia trovare le mediazioni interne indispensabili e abbia anche personale politico nuovo, con una sana cultura delle istituzioni e eticamente impegnato (penso alle nuove esperienze dei governi di Milano e di Napoli). L’ala sinistra “alternativa”, che ora sembra fuori gioco ai minimi storici, perché non sceglie solo le bandiere del lavoro e del disarmo-pace, lasciando perdere i fantasmi di un possibile rilancio comunista? Tre ministri cristiani su quattro mi sembrano troppo cristiani, cioè a forte rischio di clericalismo. Per capire se ci sarà qualcosa di nuovo dovremo vedere se la Cei abbandonerà la campagna a favore della legge sul testamento biologico. Per uscire dal berlusconismo i vescovi (e una parte notevole del mondo cattolico) dovrebbero fare una profonda autocritica sul recente passato e non fare operazioni (peraltro confuse) come quella di Todi. L’unica strada è quella di ritornare alla “scelta religiosa” dell’Azione Cattolica di quarant’anni fa e ad una laicità senza aggettivi».

Giovanni Colombo (La Rosa Bianca):

«1) Il protagonista di questa fase politica è lui, il Presidente Napolitano. Prima si è mosso instancabilmente per tessere la ragnatela che ha bloccato, almeno per il momento, Berlusconi e i suoi cloni. Poi ha fatto una cosa che ancora gli mancava, nel suo ormai più che quinquennale mandato: nominare senatore a vita il professore che piace all’Europa, Mario Monti, in modo che fosse subito chiaro chi avrebbe scelto come capo di un nuovo Gabinetto. Infine, con Monti stesso e con l’aiuto decisivo di Gianni Letta (in veste andreottiana più che berlusconiana), ha costruito la compagine governativa. Questa in teoria avrebbe dovuto rappresentare tutte le componenti più significative del Paese. Invece appare decisamente sbilanciata non tanto verso destra, quanto verso l’alto, verso quelle Entità che stanno sopra al basso napoletano della politica: Banche, Massoneria, Vaticano. È un governo “Bmv”.
2) La sospensione della “democrazia dei partiti” è motivata dallo stato di eccezione, cioè dalla gravità della crisi finanziaria. Quindi il governo “Bmv” è chiamato ad agire in fretta, con interventi decisi ed equi, per risanare le casse pubbliche. Così facendo dovrebbe contribuire a ricreare un clima di fiducia. Ma con la nomina al Ministero dello Sviluppo Economico e delle Infrastrutture del duo di Banca Intesa (Passera e Ciaccia) si preannunciano conflitti di interessi e la ripetizione del solito schema: cemento e autostrade, autostrade e cemento. Da troppo tempo nessuno pensa ad altro. E così non funziona più.
3) Anche questa volta il Vaticano e la Cei non si sono tirati indietro. Scaricato definitivamente Silvio dopo il caso Ruby, i vertici ecclesiastici hanno manovrato per un cambiamento soft, in piena sintonia con le mosse del presidente Napolitano. Il loro comportamento non è una novità. Non ce la fanno a vivere l’astinenza dal potere, non intendono rinunciare alla potestà – diretta o indiretta poco importa – nelle cose temporali. In questa luce vanno letti anche i loro ripetuti appelli all’impegno dei cattolici in politica. Vogliono truppe preparate, ma soprattutto ben impostate. I docili alla linea, al momento giusto, riceveranno la giusta mercede. A proposito: la biografia del neoministro Ornaghi è più illuminante di un’enciclica. Cercate prima la preferenza dei cardinali importanti e tutto il resto vi sarà dato in più».

Mario Campli (Comunità Cristiana di Base di S. Paolo, Roma):

«Sono consapevole del tasso di “clericalità” del nuovo governo. Di per sé me ne preoccupo il giusto. Resta che abbiamo detto più volte (l’ultima a Roma, il 1° ottobre scorso nel convegno “Dare a Cesare quel che è di Dio? Progetto Culturale della Cei nella crisi italiana”) che l’errore grave e consapevole della gerarchia cattolica ed ecclesiastica, fatto nel 1994 (la scelta di allearsi con Berlusconi), non può essere considerato una “svista”, né cancellato con un “bel” discorso cardinalizio. Ed io sono rimasto a quelle parole-pietre. Ma vorrei anche che le “mitiche” testate parrocchiali e diocesane che tanto soffrivano il connubio innaturale e irreligioso tra la Cei e Berlusconi, ora chiedano a gran voce ai loro vescovi di fare autocritica e metanoia, cominciando a rinunciare ora all’esenzione Ici.
Infine, la costruzione europea – che mi sta tanto a cuore – difetta certamente di piena democraticità e di una governance lineare. Ma l’Italia (istituzioni e popolo) non è commissariata da nessuno, se non da se stessa, dai suoi gruppi dirigenti inadeguati, dal suo debito pubblico irragionevole (in parte anche illegittimo per responsabilità di scelte fatte da governi non tecnici e democratici. Ma quando un “debito pubblico e sovrano” presenta in parte queste caratteristiche, si può far finta di non appartenere a quello Stato libero, costituzionale e ingiusto!?).
Monti – un governo politico e costituzionale (rileggere bene gli articoli 92 e 96!) – è lì, sottoposto alla volontà di un parlamento eletto, è parte di una transizione ricostruttiva e dolorosa. Tutti e tutte dobbiamo vigilare affinché sia il meno iniquo possibile. Cadrà o vivrà secondo le maggioranze “democratiche” che in Parlamento si formeranno. Guardo a questi processi con freddezza senza particolari entusiasmi neppure per i bagni rigeneratori delle elezioni fatte con leggi elettorali inique».

Don Nandino Capovilla (Pax Christi Italia):

«Caduta e tramonto, avvento e apertura. Se queste chiare espressioni raccontano bene lo “strano passaggio” che il nostro Paese sta vivendo, non è altrettanto facile trovare le parole per descrivere l’attenta osservazione e il prudente accompagnamento che, personalmente, mi fanno partecipare al particolarissimo momento di liberazione che l’Italia sta vivendo. Ecco, trovata la parola! E forse anche compresa – ma non giustificata – l’euforia che sta ancora pompando il governo di banchieri, ammiragli e personalità che avremmo descritto della “borghesia” e oggi senza sbagliarci definiamo “di destra”. L’ovazione di tutti è in realtà la misura di una attesissima liberazione dalla dittatura berlusconiana. Personalmente sono più che preoccupato per questa “ricreazione” della politica, che spero finisca prima possibile al suono della campanella di un necessario rifondare la democrazia nell’uguaglianza e nei diritti, a partire dagli ultimi. Concordo con De Mauro che ipotizza che questa strana euforia per questo governo sia “l’ultimo capolavoro di Berlusconi: far sembrare di sinistra un governo che in realtà non lo è”».

Don Albino Bizzotto (Beati i Costruttori di Pace):

«Non ci siamo arrivati per un sussulto morale, né per le capacità politiche dell’opposizione. La storia presenta la sua dose di ironia: la caduta dell’alfiere neoliberista del mercato è avvenuta proprio per le esigenze del mercato stesso. Non ci stavamo più dentro, per l’indecenza degli interessi privati del capo del governo che teneva sotto scacco e in compravendita la maggioranza del Parlamento.
E la nuova squadra di governo presenta la sua credibilità proprio rispetto alle esigenze e alle pressioni del mercato internazionale.
È una squadra che ha un metodo di lavoro e uno spessore professionale di tutto rispetto. Le attese sono grandi dopo la deriva istituzionale e lo sfarinamento della società, con sofferenze sempre più gravi per precari, disoccupati e poveri in crescita. Sarebbero molte le considerazioni da fare in ambito ecclesiale per il sostegno mantenuto fino all’indecenza al governo Berlusconi dai vertici ecclesiastici, Cei compresa. Ma i limiti di manovra per il nuovo governo sono molto stretti e obbligati, a livello sia nazionale che europeo. Il problema è far tornare i conti. Questa crisi della mondializzazione, come dice Zamagni, è entropica, non dialettica.
Sono i fondamenti stessi dell’economia e della produzione che stanno saltando. Neanche i tecnico-politici saranno sufficienti a raddrizzare un sistema che sta implodendo.
Il programma riguarda il risanamento dell’economia, ma dentro allo schema del passato: sanare i conti puntando sulla crescita; ancora il modello quantitativo che è alla base della crisi stessa.
L’attesa principale della gente: ma quanto dovremo pagare?
Rimangono ineludibili e urgenti altre prospettive, che rendano praticabile la strada della decrescita, per un modo diverso di produrre e consumare nel rispetto dei diritti delle persone e dell’ambiente. Ancora una volta i vertici ecclesiastici, senza alcun cenno di autocritica, cavalcano la nuova situazione di potere piuttosto che attivare un rinnovamento pastorale capace di affrontare una transizione culturale difficile e impegnativa».

Vittoria Cova (Gruppo Promozione Donna, Milano):

«Berlusconi ha dato le dimissioni. Mi sono detta: “Finalmente”, forse si è chiusa un’epoca di politica triste, di declino morale e politico di questo Paese. Un’epoca in cui il disinteresse e la delega hanno permesso la deriva.
Ora si ricomincia. Dalla proposta del nostro presidente della Repubblica Napolitano di assegnare l’incarico a Mario Monti per formare il nuovo governo e portare fuori l’Italia dai problemi economici e di credibilità politica nei confronti del Paese stesso e dell’Europa. Mi sono fidata e tuttora mi fido. È stato il presidente Napolitano a dare in questi anni credito e fiducia a tutti noi. Le sorti del Paese gli stanno a cuore e questo, in un momento di grande difficoltà per le istituzioni, è stato importante. Sono convinta che dando l’incarico a Monti l’ha fatto precisando che laicità ed equità sociale sono due punti fondamentali per ripartire».

Nino Fasullo (direttore di Segno e animatore delle Settimane Alfonsiane):

Questo di Mario Monti è il governo del disagio. Perché è il governo della necessità. Se è vero quel che ci tocca sentire, è di fatto un governo assoluto, incondizionato, “salvifico”. Quindi non può avere opposizione. L’opposizione può forse solo pretendere un po’ (o molta) di trasparenza. Anche questa però è, probabilmente, una pretesa ingenua, ma bisogna provarci. Ci si può sentire stretti in una morsa. Ma hic Rhodus, hic salta. Peggiore di tutte è la reazione isterica: quella che sembra tentare alcuni. Tuttavia il governo Monti può anche essere, o essere fatto diventare, un’opportunità. Per questo, però, occorrono politici e giornalisti intelligenti, liberi ed eticamente passabili: una specie forse estinta. È da temere più l’assenza di questi ultimi che il governo dei tecnici.
Poi c’è la questione dei cattolici nel governo: qual è la novità? Come cattolici, ovviamente, rappresentano se stessi, non certo la Chiesa, né tutti i cattolici. Ciò che di nuovo bisogna aspettarsi da essi è che mostrino a tutti di essere cattolici adulti, autonomi e responsabili, sia rispetto alle autorità ecclesiastiche, sia di fronte al Paese. Diversamente sarebbe tutto tristemente vecchio.