La Chiesa non fa sacrifici

Marco Politi
Il Fatto Quotidiano, 7 dicembre 2011

La Chiesa si autoesenta, sacrifici mai. Resta attaccata ai suoi privilegi, ma è prodiga di consigli sull’equità della manovra. È da agosto che l’opinione pubblica aspetta dalla Cei un segnale di disponibilità ad aiutare lo Stato a ripianare il suo debito colossale. In tempi passati i vescovi fondevano l’oro dei sacri calici per sostenere la difesa di un regno invaso. Ora che il nemico finanziario è molto più subdolo e spietato, non succede nulla. Dalla gerarchia non è giunto il più piccolo segnale di “rinuncia”.

Solo la dichiarazione del Segretario di Stato Vaticano, Tarcisio Bertone, che ha affermato: “Il problema dell’Ici è un problema particolare, da studiare e approfondire”. Eppure quello che pensano gli italiani è chiarissimo. Sono contrari all’esenzione dell’Ici, sono contrari a spolpare le casse dello Stato ai danni della scuola pubblica, perché credono al principio costituzionale che chi fonda una scuola privata la paga con i propri soldi. Soprattutto gli italiani sono convinti a grande maggioranza che la Chiesa predica bene e razzola male. Vedere per credere l’indagine del professor Garelli sulla “Religione all’italiana”.

Quando si parla di soldi, la gerarchia ecclesiastica si rifugia subito nel vittimismo, accusa complotti da parte dei nemici della Chiesa, si attacca a errori di conteggio sbagliati per qualche dettaglio o di chi mette sullo stesso piano la Cei (organismo nazionale) e il Vaticano, realtà internazionale. Nessuno trascura l’aiuto sistematico che è venuto in questi anni alle fasce più povere da parrocchie, episcopato e organizzazioni come la Caritas o Sant’Egidio.

Ma ora è il momento di gesti straordinari e di uno sfoltimento di privilegi come avviene in tutto il Paese. Ci sono fatti molto precisi su cui la gerarchia non ha mai dato risposta e che costituiscono privilegi inaccettabili specialmente nella drammatica situazione economica attraversata dal Paese. Ne elenchiamo alcuni, che indignano egualmente credenti e diversamente credenti.

Non limitare l’esenzione Ici agli edifici strettamente di culto è un’evasione fiscale legalizzata. L’attuale sistema di conteggio dell’ 8 per mille è truffaldino perché non tiene conto del fatto che quasi due terzi dei contribuenti – non mettendo la crocetta sulla dichiarazione delle tasse – intendono lasciare i soldi allo Stato. In Spagna, dove è stato a suo tempo copiato il sistema italiano, si conteggiano giustamente soltanto i “voti espressi”. In Germania il finanziamento alle chiese luterana e cattolica avviene con una “tassa ecclesiastica” che grava direttamente sul cittadino. Se il contribuente non vuole, si cancella.

L’attuale sistema dell’ 8 per mille è uscito fuori controllo. Doveva garantire una somma più o meno equivalente alla vecchia “congrua” data dallo Stato ai sacerdoti, ma essendo agganciata all’Irpef la somma che il bilancio statale passa alla Cei è cresciuta a dismisura. Nel 1989 la Chiesa prendeva 406 miliardi di lire all’anno, oggi il miliardo di euro che incassa equivale a quasi 2.000 miliardi di lire. Cinque volte di più! L’ 8 per mille è stato pensato (ed è approvato come principio dalla maggioranza degli italiani) per finanziare il clero in cura d’anime e l’edilizia di culto in primo luogo.

Ciò nonostante la Chiesa si fa pagare ancora una volta a parte i cappellani nelle forze armate, nella polizia, negli ospedali, nelle carceri, persino nei cimiteri. Si tratta di decine di milioni di euro. Nessuno ignora quanti splendidi preti siano impegnati specialmente nelle prigioni, ma è il sistema del pagamento aggiuntivo che non è accettabile. Lo stesso vale per le decine di milioni aggiuntivi versati dallo Stato, dalle regioni e dai comuni per l’edilizia di culto, che è già coperta dall’ 8 per mille.

Per non parlare dei milioni di euro elargiti ogni anno attraverso la famigerata “Legge mancia”. Invitando a uno stile di vita più sobrio per la festa di Sant’Ambrogio in Milano, il cardinale Scola afferma che con gli anni si è stravolto il concetto di “diritti”. In un clima di benessere e “senza fare i conti con le risorse veramente disponibili si sono avanzate pretese eccessive in termini di diritti nei confronti dello Stato”. Verissimo. C’è da aggiungere che anche la Chiesa ha partecipato alla gara. Non è bastato che gli insegnanti di Religione venissero stipendiati dallo Stato, si è preteso che da personale extra-ruolo venissero anche statalizzati.

Contemporaneamente si è iniziato a mungere le casse statali per finanziare le scuole cattoliche. Altrove in Europa lo fanno, ma non c’è l’ 8 per mille. È l’ingordigia nel ricorso ai fondi statali che spaventa.

Quanto al Vaticano, i Trattati lateranensi garantiscono ad esempio un adeguato fornimento d’acqua al territorio papale. Non è prepotenza il rifiuto di contribuire allo smaltimento delle acque sporche? Costa all’Italia 4 milioni di euro l’anno. Cifra su cifra ci sono centinaia di milioni che possono essere risparmiati.

Il premier Monti può fare tre cose subito. Decretare che, come accade in Germania e altri Paesi, i finanziamenti statali vanno solo a enti che pubblicano il bilancio integrale di patrimoni e redditi: così gli italiani e lo Stato conosceranno il patrimonio delle diocesi. Limitare l’esenzione dell’Ici esclusivamente agli edifici di culto. Attivare la commissione paritetica prevista dall’art. 49 della legge istitutiva dell’ 8 per mille per rivedere la somma del gettito. Sarebbe molto europeo.

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La rivalutazione delle rendite esclude la Chiesa

Eugenio Bruno e Marco Mobili
Il Sole24ore, 9 dicembre 2011

Nessuna rivalutazione delle rendite catastali per gli immobili della Chiesa. È una delle sorprese contenute nel decreto salva-Italia. Che si aggiunge alla conferma dell’esenzione dal pagamento dell’Ici oggi (e dell’Imu domani) sui beni utilizzati da enti cattolici, oltre che dal mondo del non profit, a fini anche commerciali. Con un effetto sulle casse dell’erario stimato in 400 milioni di euro l’anno.

Un “tesoretto” che potrebbe tornare utile al governo e alla commissione Bilancio e Finanze di Montecitorio, impegnati nella ricerca di nuove coperture per assicurare una maggiore equità su pensioni e tassazione del “mattone”.

Mentre infuria in Parlamento e sui social network la polemica sull’Ici alla Chiesa la vera novità della manovra è il congelamento delle rendite catastali per gli edifici destinati alle funzioni core svolte Oltretevere. Mentre per le abitazioni il moltiplicatore per la rivalutazione è passato in un colpo solo da 100 a 160, per i negozi e le botteghe da 34 a 55 e per gli uffici da 50 a 80, sugli immobili di classe B (dai collegi alle scuole, dai seminari ai convitti) l’asticella è rimasta a 140. Dove l’aveva fissata un Dl del 2006.

Purtroppo, però, non è possibile tradurre in euro tale beneficio – che riguarda, va precisato, quegli immobili sui cui oggi la Chiesa paga l’Ici perché hanno risvolti commerciali – perché la relazione tecnica al decreto non chiarisce quanti degli 11 miliardi attesi dall’operazione-casa arrivi dal ritorno dell’imposizione sulla prima casa e quanta dal “tagliando” delle rendite.

Qualche numero esiste invece sull’altra partita: la conferma dell’esenzione prevista dalla legge Ici del ’92, ribadita dal decreto attuativo 23/2011 del federalismo municipale e messa sotto osservazione dall’Ue con una procedura d’infrazione Ue che potrebbe concludersi a breve. Qui la manovra si limita a lasciare tutto com’è. Il prelievo non riguarderà quelli «destinati esclusivamente allo svolgimento di attività assistenziali, previdenziali, sanitarie, didattiche, ricettive, culturali, ricreative e sportive» se posseduti dai soggetti passivi d’imposta che «non hanno per oggetto esclusivo o principale l’esercizio di attività commerciali». Un gruppo di cui fanno parte anche la Chiesa e il no profit. Secondo l’Anci, a dati 2007 (quando esisteva ancora l’Ici prima casa che da gennaio tornerà come Imu, ndr), l’esenzione vale 400 milioni. Anche se il presidente della commissione tecnica per il federalismo, Luca Antonini, riduce tale valore a 80-100 milioni.

Sarà il Parlamento a decidere se farli tornare utili nella rimodulazione dei sacrifici imposti dalla manovra. Per ora il leader del Pdl, Silvio Berlusconi, lascia ai suoi «libertà di coscienza». E, mentre il gruppo ad hoc lanciato su Facebook da Micromega supera i 70mila iscritti, prosegue la levata di scudi del fronte cattolico. Il direttore di Avvenire, Marco Tarquinio, ha integralmente ripubblicato ieri il suo editoriale del giorno prima nel quale definiva un «fantasma» quello dell’Ici sulla Chiesa. Mentre per il presidente del tribunale vaticano, Giuseppe Dalla Torre, l’esenzione è vantaggiosa anche per lo Stato visto che serve a gestire «tutti servizi di alta rilevanza sociale che lo Stato non è in grado di gestire».

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Conflitti d’interessi, ancora e sempre

Piergiorgio Odifreddi
http://odifreddi.blogautore.repubblica.it/ 7 dicembre 2011

Ieri sera, a Ballarò, Giovanni Floris ha chiesto ad Antonio Catricalà, sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio, come mai il governo non avesse imposto l’Ici anche alla Chiesa. E la risposta, ineffabile come si addice a un successore di Gianni Letta, è stata: “Non abbiamo avuto tempo di pensarci e di studiare la questione”.

Eppure, le telecamere hanno seguito Monti ogni domenica mentre andava a messa. Un buon numero di ministri, da Balduzzi e Ornaghi e Passera e Profumo, sono dei notori baciapile. Questo governo fa una tale confusione fra Stato e Chiesa, che un sottosegretario si è addirittura fatto il segno della croce al momento del giuramento. E ci vengono a dire che non hanno avuto tempo di pensarci, e di studiare la questione?

Tra l’altro, non è che il problema dei costi della Chiesa si sia posto solo ora. A pensarci hanno avuto tempo proprio tutti, a parte il governo. Persino il faccendiere Denis Verdini, coordinatore del Pdl, ha dichiarato a Un giorno da pecora che sarebbe giusto che l’Ici fosse estesa agli immobili della Chiesa. E Maurizio Crozza ha notato a Ballarò che questo sarebbe un modo per rendere la manovra più equa, visto che il cardinal Bagnasco aveva pontificato che non lo era.

Quanto a studiare il problema, ci ha pensato proprio in questi giorni l’Uaar, che ha pubblicato sul portale www.icostidellachiesa.it i risultati. La cifra documentata e annotata, voce per voce, è di almeno 6 miliardi di euro. In difetto, ovviamente, visto che ad esempio l’esenzione dall’Ici viene valutata solo mezzo miliardo, mentre la stima di Ballarò era di 700 milioni, per un capitale immobiliare valutato a 1.200 miliardi!

Ma se quello con la Chiesa è il conflitto di interessi più evidente del governo, quello con le banche non è meno reale, nonostante tutte le assicurazioni di Passera, ripetute ancora ieri sera a Porta a porta. Ad esempio, l’Ici per gli edifici di proprietà dei comuni cittadini sarà rivalutata del sessanta per cento, ma quella per gli edifici di proprietà delle banche no. E, come se non bastasse, sarà lo Stato a garantire le loro passività, con scadenze fino a cinque anni, e le obbligazioni da loro emesse, fino a sette.

Per par condicio, visto che un ministro banchiere lavora per le banche, un capo di stato maggiore della difesa lavorerà per la difesa degli interessi dello stato maggiore. Puntualmente, l’ammiraglio Gianpaolo di Paola ha escluso stizzito che si possa pensare di congelare e annullare le commesse del centinaio di cacciabombardieri F35, e del centinaio di caccia Eurofighter Typhoon, ammontanti a 25 miliardi di euro.

Non c’era dunque bisogno di chiedere piangenti sacrifici ai cittadini normali. Bastava imporli sorridenti a preti, banchieri e militari, per ricavare molto di più non solo in termini finanziari, ma anche di credibilità e di equità. Ma per poterlo fare, al governo ci sarebbero dovuti essere cittadini normali, e non bigotti, banchieri e militari, in continuità con la politica dei conflitti di interessi che ha caratterizzato l’ultimo ventennio.