Per combattere il cambiamento climatico serve una rivoluzione della consapevolezza

Letizia Tomassone (*)
Nev n. 48/2011

La notte che ha preceduto l’avvio delle discussioni del vertice mondiale sul cambiamento climatico in corso a Durban in Sudafrica, ha visto scatenarsi proprio a Durban un evento climatico “estremo”. La pioggia ha provocato un’inondazione che ha ucciso 10 persone, distrutto 700 case e creato migliaia di sfollati. Tutto questo nella periferia più povera, dove le baracche non possono proteggere, dove le persone hanno meno difese contro i disastri naturali. Purtroppo anche in Italia abbiamo conosciuto questo tipo di eventi. Eppure abbiamo appena iniziato a sperimentare le conseguenze disastrose del cambiamento climatico.

Possiamo capire la pressione di un vertice sull’ambiente che avviene nel mezzo di un disastro causato da una civiltà industrializzata capace solo di consumare il mondo. Il fatto stesso che a morire e perdere le case siano i più poveri è un’immagine di quanto sta avvenendo a livello mondiale, dove le conseguenze dei cambiamenti climatici sono pagate dalle popolazioni più povere. Uno degli obiettivi del vertice ONU di Durban non a caso è quello di provvedere un fondo che aiuti i paesi poveri a praticare politiche di adattamento ai cambiamenti del clima mondiale.

Se anche l’attenzione dei media in Italia non è molto centrata su quanto avviene a Durban, una rivoluzione di pensiero sta avvenendo nelle associazioni, nelle chiese, e persino nell’ONU. Oggi diventa sempre più chiaro che questi incontri delle Parti (COP) non possono lasciare da parte i poveri, che subiscono le conseguenza più pesanti dei cambiamenti climatici.

Notiamo che una delle cose per cui l’Italia è stata citata a Durban è lo spreco di acqua pulita che avviene attraverso gli acquedotti mai adeguati del nostro Paese. A seguito dell’impegno delle chiese nei referendum sull’acqua bene comune, andrebbe portato avanti un impegno civile su questo fronte. L’acqua che si spreca qui, è acqua di tutti gli abitanti del pianeta.

“Questo pianeta è la sola casa che abbiamo”, ha affermato l’arcivescovo Desmond Tutu alla convocazione interreligiosa svoltasi a Durban e che ha anche organizzato una marcia. La consapevolezza della estrema interdipendenza fra umani e pianeta, l’idea che la nostra esistenza dipende dalla Terra, dagli alberi, dall’acqua, si fa strada con forza anche a livello religioso. Per esempio scrive il Patriarca ecumenico Bartolomeo I, nel suo messaggio alla Conferenza di Durban: “Dobbiamo andare al di là delle divisioni nazionali. Condividiamo uno stesso mondo, le stesse risorse, la stessa atmosfera, un solo habitat. Siamo inseparabilmente interconnessi”.

Ma questo significa ridare valore e rispetto agli esseri viventi da cui dipendiamo, cambiando anche le categorie mentali con cui ci riferiamo ad essi. Il capo della delegazione Boliviana ha per esempio notato questo: “Il documento ONU sulle foreste parla del loro ruolo come riserva di carbonio. Noi vogliamo pensare alle foreste come luoghi in cui la vita cresce, in cui le persone vivono”. E’ proprio questa idea di un pianeta vivente che va ripristinata: ricominciare a vedere le foreste come cuore della biodiversità necessaria alla vita, e non come una sorta di capitale economico. Questa rivoluzione della consapevolezza è necessaria se vogliamo veramente fermare questa corsa verso la distruzione del pianeta.

Nonostante le aspettative piuttosto ridotte che hanno accompagnato questo incontro di Durban, dopo il fallimento della Conferenza ONU di Copenaghen nel 2009, con lentezza ma sicuramente si fa strada un cambiamento che inciderà sulle politiche e sulle economie del prossimo futuro. Anche la Cina sembra entrata nell’idea di un trattato mondiale per la salvezza del pianeta. Senza un pressante impegno a ridurre le emissioni di CO2, e se la data slitta dal 2012 al 2020, arriveremo a un aumento della temperatura globale di 4 gradi. E questo è chiaramente inaccettabile.

Il tavolo interreligioso africano ha lanciato un appello intitolato “Abbiamo fede. Agire ora per un clima di giustizia”. Questa fede non allontana dal mondo, ma spinge a prendersene cura, a cominciare dalle popolazioni più fragili, più esposte ai disastri ambientali. La speranza che abbiamo ricevuto ci spinge a cambiamenti personali e spirituali profondi, continuando a sostenere gli sforzi del Consiglio ecumenico delle chiese per far sentire ai governi del mondo che la vita viene prima del capitale

(*) Vicepresidente della Federazione delle chiese evangeliche in Italia

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E se morissimo di sete: da Durban a Forlì avanza il deserto
Bruno Giorgini

E’ ormai il momento di un nuovo contratto di equità tra gli esseri umani, e tra essi e la natura. Non sarà facile, ma è necessario

Il groviglio con filo spinato fatto di debito e euro barcollante, di feroce aggressione dei mercanti di danaro e derivati che propagano la loro dittatura, assieme al cumulo di lacrime e sangue imposto ai popoli da governi imbelli o complici, rischia di strangolare qualunque altra dimensione del vivere civile e sociale. Per esempio l’ambiente, il rapporto uomo natura. Con quella cosa da niente che si chiama cambiamento climatico e/o riscaldamento globale, di cui si discuteva a Durban, con poco successo di pubblico e di critica, in verità. E dire che qualcuno parla addirittura di possibile “olocausto climatico”. Ora non è certo che il mutamento del clima sia globale e permanente, però indizi pesanti di cambiamento si vedono e toccano con mano. Non nel deserto del Sahel, ma nella ben più vicina Romagna, nonché nelle Marche e in Toscana, attanagliate dalla siccità. Ecco un titolo comparso sulla stampa locale il 27 novembre: Siccità in Romagna. Ecco l’ordinanza, da domani acqua razionata, multe salatissime per chi non la rispetta. Il bacino della diga di Ridracoli è quasi a secco, e rischia di rimanere completamente senz’acqua. L’ordinanza riguarda le province di Ravenna, Forlì – Cesena e Rimini.

In seguito all’avviso diramato dalla Protezione civile regionale, le autorità locali hanno imposto a tutti gli utenti di limitare il consumo dell’acqua delle rete idrica agli stretti bisogni igienico-sanitari e domestici. Fino al 31 maggio dalle 8 alle 21 di tutti i giorni è vietato il lavaggio di cortili, piazzali, veicoli, innaffiamento giardini, orti e prati. Senza limite di orario, quindi per tutte le 24 ore, non si potranno riempire piscine, fontane ornamentali, vasche da giardino e il funzionamento di fontanelle a getto continuo (il funzionamento di fontane pubbliche o private è consentito solo se dotate di apparecchiature per il ricircolo dell’acqua). E’ escluso dalle limitazioni il consumo di acqua oggetto di contratti di somministrazione per attività imprenditoriali. Per i trasgressori le sanzioni andranno da 25 a 500 euro. E’ vero che la situazione di emergenza dipende da questo autunno straordinariamente caldo e sereno, senza piogge consistenti. Talmente caldo e sereno che la stagione turistica estiva sulla costa, da Rimini e Riccione fino a Milano Marittima e Porto Garibaldi, praticamente non è ancora finita, con un consumo d’acqua in queste zone del tutto anomalo e imprevisto. Però è anche vero che da tempo in Emilia Romagna (E-R) erano evidenti, e segnalati, problemi di approvvigionamento idrico, in particolare per le acque di falda con fenomeni di subsidenza diffusi, mentre cresce giorno dopo giorno la pressione sulle risorse superficiali.

Insomma il sistema del consumo si sviluppa in modo eccessivo, non sostenibile, rispetto alle risorse attuali. E con la mancanza di precipitazioni atmosferiche di questo ultimo periodo, i nodi sono arrivati al pettine, ovvero la siccità si presenta non come fenomeno eccezionale una tantum, ma come componente tendenzialmente strutturale, organica al territorio, così come oggi si configura, e alle sue attività. Se si osserva la mappa delle portate idriche dei fiumi in E – R, disegnata dall’ ARPA (Agenzia Regionale per l’Ambiente), si vede come quasi dappertutto siano segnate in rosso, cioè sotto il livello di guardia, la portata media calcolata sulle serie storiche. Ma non è un fenomeno che affligge solo le regioni del centro Italia. La siccità sta installandosi anche in Francia. Il bilancio idrogeologico del 2011 è deficitario del 10% in media, con dei picchi oltre il 25% in alcune regioni come la Charente, o la Dordogna. Il 2011 è al momento uno dei dieci anni più secchi degli ultimi cinquanta, e settantotto dipartimenti, le nostre province, sono stati obbligati a prendere delle misure di restrizione del consumo d’acqua. Nel contempo se si va oggi in giro per le campagne attorno a Bologna, si incontrano fenomeni del tutto fuori stagione quali la fioritura dei fichi fioroni, in Dicembre!, e le gemme che buttano le viti, eventi al solito primaverili.

Ma torniamo al riscaldamento globale. Qualcuno ha valutato cosa accadrebbe se ci fosse un aumento della temperatura di 2 (due) gradi Celsius. Sarebbe un “disastro” racconta James Hansen in una conferenza tenuta il 7 Dicembre al congresso de l’American Geophysical Union (AGU)- San Francisco. Il serissimo direttore del Goddard Institute per gli Studi Spaziali (GISS), principale laboratorio sul clima della NASA, uomo del tutto alieno da utopie ecologiste, ha presentato una ricostruzione dell’evoluzione della temperatura nel corso degli ultimi 5 (cinque) milioni di anni, sostenendo che oggi la temperatura media sul pianeta è ormai prossima a quella di due periodi, il primo circa 400.000 (quattrocentomila) anni fa, il secondo 130.000 (centotrentamila), quando ” noi sappiamo che il livello dei mari era tra i 4 (quattro) e 6 (sei) metri più alto di quello attuale.” Ovvero Rimini ma anche Deauville o New York, per non dire di Venezia, finirebbero sott’acqua, e la pianura padana ormai desertica pure. ”

Se il tasso di CO2 nell’atmosfera dovesse raddoppiare, la temperatura aumenterebbe di circa 3 (tre) gradi Celsius, e questo farebbe sì che la criosfera, ovvero l’attuale sistema di ghiacci marini e di ghiacciai continentali si scioglierebbe(..)” L’aumento della temperatura non produce una rapida crescita del livello degli oceani, ma piuttosto il sistema va lentamente a un nuovo stato di equilibrio, con un aumento dei livelli delle acque tra 1 (uno) e 2,5 (due virgola cinque) metri in un secolo. Per conservare un clima come quello che permise lo sviluppo della civiltà umana quale noi la conosciamo, Hansen calcola che “sia necessario mantenere la concentrazione di CO2 atmosferica sotto le 350 ( trecentocinquanta) parti su un milione (ppm).” Concentrazione che era nel XIX secolo di 270 (duecentosettanta) ppm, e oggi si stima sia di 390 (trecentonovanta) ppm. Insomma siamo al limite di soglia, oltre il disastro s’avvicina, micidiale. Inoltre nei suoi lavori con Makiko Sato (GISS), Hansen calcola che l’aumento di 1 (un) grado oggi ci porterebbe al periodo più caldo del pianeta negli ultimi 3 (tre) milioni di anni.

Ma ai rappresentanti delle nazioni riuniti a Durban le rigorose cifre di Hansen sembrano non aver fatto, è proprio il caso di dirlo, né caldo né freddo, tantomeno le osservazioni empiriche dei contadini emiliani che vedono fiorire le gemme in Dicembre, mentre fiumi e canali si seccano e di pioggia non si vede traccia. Tanto può l’ avidità in nome del mercato, dell’accumulazione di denaro e della produzione sconsiderata – cioè figlia solo del valore di scambio e quasi senza attenzione alcuna al valore d’uso – di merci. Come le cellule cancerogene che si moltiplicano a dismisura fino a uccidere il corpo che fornisce loro nutrimento e sangue, morendo con lui. Senza eccessivo pessimismo, tutto lascia intendere che il tempo stia esaurendosi per assumere rimedi efficaci. Se i popoli rimarranno inerti, la crisi climatica moltiplicherà la crisi economica, con una democrazia sempre più flebile e stentata, su un pianeta sempre più inabitabile e inospitale. E’ ormai il momento di un nuovo contratto di equità tra gli esseri umani, e tra essi e la natura. Non sarà facile, ma è necessario.