Gesù a Montecitorio

Vincenzo Maddaloni
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I presupposti ci sarebbero tutti per ricavare un profilo aggiornato dei 150 anni del Paese, da questo inedito rapporto tra Mario Monti e il suo governo da una parte e l’ampia maggioranza del mondo cattolico – gerarchie comprese – dall’altra. Era dai tempi della prima Repubblica che non accadeva, sebbene il contesto sia oggi diverso, molto diverso, quasi inedito. Un tempo, quando il mondo – ricordate – era diviso in due blocchi, in Italia c’era un governo della Dc quale baluardo dei credenti contro gli “atei” comunisti. Nell’èra della globalizzazione invece, c’è il governo dei banchieri, imposto dal Fondo Monetario internazionale e dalla Banca centrale Europea. Con a capo Mario Monti, che è l’esponente della Commissione Trilaterale e del Bildelberg club http://it.wikipedia.org/wiki/Gruppo_Bilderberg, nonché consulente della banca americana di Goldmann-Sachs e di Coca Cola company.

E’ insomma un uomo del grande capitale al quale non dispiacerebbe – per sua stessa ammissione – contribuire alla costituzione di un Nuovo ordine mondiale. Naturalmente, egli è uno dei fautori della globalizzazione la quale, costringendo i paesi a dipendere gli uni dagli altri, favorisce in modo determinante l’affermazione delle imprese multinazionali con tutta una serie di conseguenze. La prima è un pesante aggravamento delle ineguaglianze economiche. Già Hegel diceva che le società ricche non sono abbastanza ricche da riassorbire il sovrappiù di miseria che generano. Nel mondo globalizzato, la povertà non è più frutto della scarsità, bensì della cattiva ripartizione delle ricchezze prodotte, nonché di un blocco psicologico e culturale che vieta di prendere in considerazione il passaggio a società che non si definiscano prioritariamente attorno al lavoro e alla produzione.

Fra il 1975 e il 1985, il prodotto lordo mondiale è aumentato del 40 per cento: dal 1950 il commercio mondiale è stato moltiplicato per undici, la crescita economica per cinque. Si tenga a mente che durante lo stesso periodo, non solo non si è verificato un innalzamento regolare del livello di vita media, ma si è viceversa assistito ad un aumento senza precedenti della povertà, della disoccupazione, della disintegrazione sociale e della distruzione dell’ambiente. Cosicché Il PIL reale per abitante nei paesi del Sud ammonta oggi a solo il 17 per cento di quello del Nord. Si aggiunga anche che il mondo industriale, che non rappresenta più di un quarto dell’umanità, detiene l’85 per cento delle ricchezze della Terra. Infine, I paesi membri del G7 rappresentano l’11 per cento della popolazione mondiale, ma possiedono i due terzi del PIL del pianeta.

Insomma la globalizzazione crea modelli di società che sono l’esatto contrario di quello che la Chiesa non dovrebbe dimenticare quando cita Gesù: «Beati voi poveri, perché vostro è il regno di Dio». (Lc6,20,23). E «Guai a voi, ricchi, che ora ridete, perché sarete afflitti e piangerete». Quindi povertà e ricchezza sono un problema di fede perché Gesù – secondo i resoconti dei Vangeli – non è vissuto nell’indigenza e tanto meno nella ricchezza, ma ha scelto per sé una condizione di povertà. E quindi ha proposto come un valore positivo appunto la povertà e non l’indigenza, ossia la condizione estrema in cui si muore di stenti.

Questi pochi cenni dei sacri testi mal si conciliano con le aperture di credito rivolte fin dal primo momento dalla Santa Sede al governo Monti. Infatti il professore, subito dopo l’incarico e prima di sciogliere la riserva, aveva ricevuto una telefonata personale di sostegno da parte del papa Benedetto XVI. Poi dal giorno della formazione dell’esecutivo, gli incoraggiamenti del segretario di Stato Tarcisio Bertone al nuovo inquilino di Palazzo Chigi sono stati ben tre e tutti di grande evidenza. Il cardinale, formulando gli auguri al governo, lo benediva con queste parole: «Una bella squadra alla quale auguro buon lavoro perché il lavoro è tanto e difficile, ma penso che sia attrezzata per affrontarlo». Poi ancora, quindici giorni fa, esprimeva l’auspicio che il premier possa «andare avanti». Infine, martedì della scorsa settimana, il cardinale Bertone ritornava a parlare dell’esecutivo e della manovra “salva-Italia” sostenendo di apprezzarla perché «i sacrifici fanno parte della vita». E dunque, come mai non era accaduto prima, sulla scia del segretario di Stato si sono uniti al coro dei fans di Monti i catto-progressisti delle Acli, di Famiglia cristiana e dell’Azione cattolica, i conservatori di Comunione e Liberazione, gli ex democristiani e gli ex sessantottini di Sant’Egidio, tra l’altro premiati con un ministero ad Andrea Riccardi che è tra i laici cattolici più accreditati in Vaticano.

All’origine di una così larga mobilitazione c’è il timore di perdere in contatto con la società poiché in Italia, come altrove in Occidente, la cultura dei consumi ha fatto diffondere stili di vita che si riassumono nella “generazione del me”, nelle masse di coloro che “fanno gli affari propri” e dove “capita” e che tollerano sempre meno un’etica religiosa ancorata ai suoi punti fermi. Poiché il consumo, da qualche tempo ormai, non è più riferito all’acquisto di cose che dovrebbero soddisfare delle necessità, ma ha inaugurato nuove regole di stile di vita secondo le quali, «gli individui vanno incoraggiati a scegliere con attenzione, sistemare, adattare ed esibire i propri beni. Che essi siano mobili, case, automobili, indumenti, o il proprio corpo o le attività del tempo libero», come osservava (già quindici anni fa) il sociologo Mike Featherstone.

Infatti, benché la sfera pubblica non sia mai stata qualcosa di interamente sgombro dal religioso, organismi nati in contesti religiosi e supportati dal pubblico – come per esempio istruzione, salute, cura degli anziani – stanno perdendo col passare degli anni clienti e pazienti. Naturalmente l’ombra del campanile che si accorcia crea nella gerarchia ecclesiastica non poche preoccupazioni e quindi via a iniziative di lungo corso che al primo approccio non sembrano facili da decifrare.

Sulla possibilità, per esempio, che l’ICI venga estesa agli immobili vaticani destinati a fini commerciali (un miliardo la stima minima) inaspettata è stata la riposta del cardinale Bagnasco: «Se abusi si dovessero accertare», ha raccomandato il presidente della Cei, «siano essi perseguiti secondo giustizia, in linea con le norme vigenti». Il segretario di Stato Tarcisio Bertone ha usato toni ancor più tranquillizzanti ribadendo la propria disponibilità poiché l’ICI rappresenta «un problema particolare», da «studiare e approfondire». Infatti, secondo alcune rilevazioni, addirittura il venti per cento del patrimonio immobiliare italiano farebbe capo alla Chiesa. Il catasto comprenderebbe cento mila fabbricati, il cui valore si aggirerebbe attorno ai nove miliardi di euro. Le stime di settore parlano di circa cento e quindici mila immobili, quasi nove mila scuole e oltre quattro mila tra ospedali e centri sanitari. Soltanto a Roma ci sono ventitré mila tra terreni e fabbricati, venti case di riposo, diciotto istituti di ricovero e sei ospizi che le appartengono.

Naturalmente, la sostanziale disponibilità espressa dalle gerarchie vaticane a estendere il pagamento dell’ICI ad alcune attività tutt’ora esenti si può prestare a diverse interpretazioni. C’è più d’uno che la interpreta come la risposta al discorso del Papa di domenica 25 settembre, a Friburgo, quando Benedetto XVI, parlando alla Chiesa tedesca – ricca e strutturata – aveva ricordato come lungo la Storia «le secolarizzazioni – fossero esse l’espropriazione di beni o la cancellazione di privilegi – significarono ogni volta una profonda liberazione della Chiesa da forme di mondanità: essa si spoglia, per così dire, della sua ricchezza terrena e torna ad abbracciare pienamente la sua povertà terrena».

Per molti altri invece va interpretata come un segnale di riconoscenza degli alti prelati per aver ottenuto dentro il governo varato dal cattolicissimo Monti, alcuni uomini direttamente riconducibili ai vertici della Chiesa cattolica. Se si tiene a mente il sostegno smaccato concesso in questi anni dalle gerarchie vaticane e da gran parte dell’episcopato italiano al governo Berlusconi, ancora più sorprendente appare il risultato ottenuto da Bagnasco, il cardinale della perdonanza e delle cene segrete (rivelatasi poi non proprio segrete) con Berlusconi. Una vera e propria lottizzazione in termini di presenze di “area”, degna del manuale Cencelli, come sottolinea Valerio Gigante su La Repubblica. http://temi.repubblica.it/micromega-online/da-todi-a-roma-c’é-tanto-vaticano-nel-nuovo-governo/.

Malauguratamente l’eclatante successo che dovrebbe consolidare le fortune del cattolicesimo in Italia è offuscato da un malcontento che s’ingrossa. Esso è rappresentato dalle migliaia e migliaia di persone che si sono mobilitate per sottoscrivere l’appello – eliminare i privilegi sull’ICI di cui la Chiesa cattolica gode – lanciato da Micromega. E inoltre da un’ampia fascia di devoti che rimprovera alla gerarchia di avere eretto l’immagine di Gesù che benedisce i banchieri fautori dell’economia globale, come nuovo simbolo della Chiesa universale. Accade perché, «l’utopia dello Stato mondiale sembra unire le aspirazioni dei banchieri e delle multinazionali a quelle della gerarchia ecclesiastica», scrive un osservatore attento come Martino Mora. Che spiega: «Giovanni XXIII è stato il primo pontefice a profilare la necessità e l’auspicabilità di un unico governo mondiale nell’enciclica “Pacem in terris”(1963).

Vi affermava la necessità di “un’autorità politica con competenze universali”… “in cui il potere, la costituzione e i mezzi d’azione abbiano essi stessi dimensioni mondiali, e che possa esercitare la sua azione su tutta la terra”… E’ però nella “Caritas in veritate” (2009) di Benedetto XVI che l’idea dello Stato mondiale viene espressa con altrettanta chiarezza, ma con maggiore approfondimento che nell’enciclica giovannea del 1963.» http://www.ariannaeditrice.it/articolo.php?id_articolo=41231. Predica infatti Benedetto XVI: «Urge la presenza di una vera Autorità politica mondiale, quale è già stata tratteggiata dal mio predecessore, il beato Giovanni XXIII… Lo sviluppo integrale dei popoli e la collaborazione internazionale esigono che venga istituito un grado superiore di ordinamento internazionale di tipo sussidiario per il governo della globalizzazione e che si dia finalmente attuazione a un ordine sociale conforme all’ordine morale e a quel raccordo tra sfera morale e sociale, tra politica e sfera economica e civile che è già prospettato nello Statuto delle nazioni Unite».

Parte da questa “urgenza” evocata dal Papa l’iniziativa promossa dalla Pontificia Università Gregoriana, lo storico ateneo dei Gesuiti, dove è stato progettato – nel Centro Fede e Cultura “Alberto Hurtado” – un nuovo seminario internazionale di “formazione alla democrazia”, aperto a laici e cattolici senza distinzioni partitiche, di gruppo o di bandiera. Tra i temi trattati, l’unità dell’Europa, l’economia ai tempi della globalizzazione dei mercati, il federalismo solidale, l’apporto del cattolicesimo sociale e politico, le proposte per una nuova governance globale.

Insomma, come ha spiegato il direttore del corso, monsignor Samuele Sangalli, «abbiamo raccolto una domanda presente di vera e seria formazione all’etica pubblica. Il nostro intendimento, infatti, è quello di dare una formazione rigorosa e di accogliere così l’invito del Papa espresso nella “Caritas in Veritate”, a «formare dei laici che un domani si sappiano prendere cura di quella che Paolo VI chiamava la più alta forma di carità», cioè la politica. Vale a dire che sono i gesuiti, che da sempre operano sul piano culturale ai massimi livelli accademici in tutto il mondo, che istruiranno «la nuova generazione di laici cattolici da far entrare nell’ambito pubblico con spirito di servizio».

Questo accade nel Paese. Se si pensa a qual era – cento cinquanta anni fa, agli albori dell’Italia unita, il rapporto tra papa Pio IX e il conte Camillo Benso di Cavour, di strada la Chiesa ne ha fatta. E parecchia.