Il vero scandalo di S.Tanzarella

Sergio Tanzarella
Adista n. 96 del 24/12/2011

La performance “Un coniglio alla mia tavola” ha scatenato a Lecce reazioni sulle quali è bene riflettere.

Una donna mimo, dunque un’artista, il 4 dicembre, nell’ambito della manifestazione “Illuminando Lecce”, prende parte ad una rappresentazione nella quale nuda, ma ricoperta di vernice bianca e indossando sul volto una maschera di testa di coniglio, passeggia per la strada principale della città pugliese.

Il corpo dell’artista non ha nulla di particolarmente vistoso: dalle foto appare un corpo assolutamente normale, nessuna particolare procacità, come quella cui ricorre certa pubblicità o cinematografia. Tutto si svolge con molta compostezza, senza indulgere ad alcun ammiccamento o volgarità, come molti programmi televisivi (visti da decine di milioni di spettatori) fanno invece da non pochi anni, senza ricevere né condanne né anatemi.

A leggere le cronache del giorno dopo – tranne alcuni soliti bacchettoni di mezza età –, la maggioranza dei presenti ha manifestato stupore ed anche ammirazione per la performance e per l’artista. Dopo la manifestazione, però, si levano grida di condanna, la Curia leccese e altri organismi formulano accuse di corruzione dei giovani, di depravazione, di avere mercificato il corpo della donna, di profanazione di templi e di città.

Il sindaco si affretta a chiamarsi fuori dall’evento ed esprime naturalmente la sua totale condanna per «il grave fatto della donna-coniglio».

Dopo secoli di donne nude affrescate senza scandalo su pareti e su quadri, una donna vera nuda e dipinta di bianco appare aver compiuto un efferato delitto! C’è da rimanere stupiti. Dunque, per questi benpensanti e per il sindaco devoto, fa scandalo una donna che, nell’ambito del proprio lavoro, si spoglia liberamente, in una forma che per chi ha assistito – il filmato è disponibile in internet – non lascia alcun dubbio sulla totale assenza di provocazione sessuale.

Tuttavia non hanno fatto e non fanno scandalo le donne che sono state spogliate dalle effimere promesse di un presidente del Consiglio che – impunito – presentava se stesso come “l’unto del Signore”.

Non fanno scandalo, poi, le donne che sono quotidianamente spogliate nella tratta degli esseri umani, che sono spogliate dei loro diritti da datori di lavoro (chiamiamoli con la vecchia e mai tramontata parola: padroni) che costringono al licenziamento in caso di matrimonio o di maternità, che pretendono da commesse, cameriere, operaie e impiegate di lavorare per 2-3 euro l’ora e in nero, senza previdenza e senza alcuna assicurazione.

Mi sembra che si affermi un giudizio sbilanciato: è molto comodo prendersela con una donna-artista-coniglio, più impegnativo e pericoloso ricordarsi della dignità della persona quando essa viene maciullata tutti i giorni in una società maschilista e ispirata al puro liberismo economico. Per quelle donne spogliate nessuna pietà, nessun diritto, nessuna protesta, nessuna denuncia.
La vicenda dimostra che il corpo della donna ad alcuni fa ancora paura.

Come non leggere in questa paura l’incapacità alla relazione e ad una affettività equilibrata e matura? Il corpo della donna è dunque lo specchio sul quale si riflettono ed amplificano le contraddizioni di chi quel corpo vuole solo possederlo – usandolo o negandolo poco importa – non contemplarlo come segno della dolcezza e della purezza della creazione. Non c’è molta differenza tra chi quel corpo lo mercifica e chi vuole imbalsamarlo.