Il 2012 e le piccole e grandi catastrofi

Marco Comandè
www.italialaica.it, 09.01.2012

Il calendario maya

L’anno che è appena arrivato porta con sé i segni della sventura. Tutto si rifà al famoso e famigerato calendario Maya, che prevede per il 21 dicembre alle ore 11.11 un cambio epocale nella rotazione delle galassie e stelle intorno a noi.

Il problema principale, ovviamente, è dal punto di vista astronomico questa data indica banalmente il solstizio d’inverno. Infatti la cultura amerinda è ciclica, a differenza del nostro tempo lineare (di ispirazione cristiana) che va dal big bang all’apocalisse (si veda: Tzvetan Todorov, La conquista dell’America e il problema dell’altro). Significa che ogni 5.125 anni circa il ciclo cosmico torna al punto di partenza, ma significa anche che se deve accadere qualcosa oggi, allora è già accaduto cinquemila anni fa. Ci fu la fine del mondo? Non risulta.

Infine, la religione locale era ciclica, cioè i periodi considerati dal calendario Maya non erano solo riferiti alle stagioni, bensì agli eventi umani ed ambientali. Erano così ossessionati dalla cosa, da memorizzare nelle loro biblioteche (distrutte dall’inquisizione cristiana) gli eventi passati e consultare tali testi alla ricerca di fatti già accaduti e prevederne così il ripetersi (es. alluvioni). Ogni nascituro doveva essere collocato in questa ciclicità e religiosamente comportarsi di conseguenza.

Tutto qua. Ma qui iniziano i problemi. Secondo alcuni esperti (Graham Hancock), gli amerindi avevano ereditato la cultura astronomica da una civiltà ancora più antica (i Toltechi) di cui avevano dimenticato lo scopo, quindi anche loro sarebbero stati ossessionati dal mito della fine del mondo e avrebbero praticato sacrifici umani per placare gli dei.

Infatti l’origine storica delle prime civiltà (es. i sumeri) è posteriore al 3.113 a.C. da cui ha inizio il computo del calendario Maya. Di quello che accadde prima, non sono rimasti documenti scritti se non immensi megaliti.

Ancora: effettivamente l’attività solare segnerà un culmine (la fonte è insospettabile: la Nasa) e le tempeste magnetiche conseguenti dovrebbero distruggere i satelliti e i grandi pali della luce, ripiombando nel buio la nostra civiltà tecnologica (niente voli aerei, niente elettricità nelle case, ecc.).

Infine, i miti di tutti i popoli inglobano storie di cataclismi dovuti all’ira degli dei. Non è un mistero, infatti, che l’ipotesi più probabile del diluvio di Noè sia il ciclo di glaciazioni e improvvisi scioglimenti dei ghiacci, nel corso degli otto milioni di anni da quando il genere Homo si separò dalla scimmia e nel corso dei duecentomila anni da quando apparve l’homo sapiens. E che dire dei supervulcani che nel corso delle ere geologiche si sono periodicamente risvegliati? L’ultima eruzione in Islanda, modesta, ha comportato un blocco dei voli in Europa. Ogni cataclisma spostava, anche di poco, l’asse terrestre e quindi la visione del cielo era cambiata. La posizione delle stelle nell’orbita conosciuta era una garanzia per le antiche civiltà: significava che nessuna nuova catastrofe era avvenuta.

Graham Hancock, nei suoi libri, ha dato un’ottima spiegazione della persistenza dei miti biblici nelle varie religioni. I primitivi non conoscevano la scrittura, quindi affidavano all’arte orale (poesie, filastrocche, ecc.) il compito di trasmettere le conoscenze alle future generazioni. Poi il commercio “globale” rese necessario memorizzare le cifre e portò alla scrittura, ma l’influenza religiosa considerava sacrilegio rovinare i riti tramite testi scarabocchiati, quindi le parole degli dei (e poi del dio ebraico) vennero redatte in modo generico. Pian piano che le civiltà familiarizzavano con la scrittura, i testi sacri furono arricchiti di ulteriori dettagli. La nostra bibbia contiene diversi capitoli iniziali, in cui i concetti vengono ripetuti ma in modo più elaborato nel capitolo successivo.

Se soltanto uscissimo dalla logica religiosa, potremmo vedere nelle tradizioni antiche un modo per tradurre in scienza le conoscenze (modeste) degli antichi. Ma questo ragionamento dovrebbe spingere, una volta di più, i cristiani ad essere modesti nella propria visione del mondo, che non può essere un pretesto per violare norme civili consolidate dall’esperienza (la Costituzione, il negoziato, la non violenza).

Cristiani contro musulmani

In Nigeria i cristiani sono vittime di una setta fondamentalista islamica. Ma se dovessimo usare il criterio dell’identità, allora arriveremmo automaticamente a giustificare lo scontro tra civiltà occidentale e musulmana, come preannuncia il catastrofista Magdi Allam (“L’islam minaccia l’Occidente ma noi pensiamo solo al denaro” Il Giornale 09/01/2012). E questa catastrofe pare superficiale, così come lo è il calendario Maya. Infatti rinunciando al tema dell’identità, potremmo constatare come i fondamentalisti musulmani abbiano minacciato di morte gli stessi islamici moderati che prendevano le difese dei cristiani vittime di pogrom.

Ad Allam sfugge l’insegnamento dell’illuminista Tocqueville (chissà perché, non mi sorprende). Ne “La democrazia in America”, ha fatto un’ottima distinzione tra potere aristocratico e quello borghese. Il primo è ossessionato dai rituali patriarcali e rifiuta l’industrializzazione, con quel che comporta in termini di sacrificio dell’identità e del potere, mentre il secondo rinuncia all’arte della guerra e si dedica alla gestione di immense fabbriche civili, ammosciandosi sul piano “guerriero”.

E tuttavia, ammonisce l’illuminista, una nazione patriarcale (come quella islamica, aggiungo io all’interessato Allam) che voglia occupare una nazione borghese (occidentale) deve farlo con una guerra lampo, perché più passa il tempo e più facile è che i ricchi borghesi convertano le proprie fabbriche in immensi arsenali dove produrre armi potenti e le stesse passioni, che i flosci civili dedicavano al lavoro proletario, verranno dedicate alla guerra.

La lezione di Tocqueville è semplice: nel presunto scontro delle civiltà, dovrebbero essere i musulmani ad accettare il progresso e la libertà se vogliono batterci. Vi suona familiare, questo concetto? No? Eppure spiega quello che è accaduto nelle guerre tra Israele e popoli confinanti.
Gli stati islamici sognavano una nuova vittoria come quella delle crociate, in cui il Saladino scacciò gli ultimi paladini cristiani da Gerusalemme. Ma ripeterono gli stessi errori che all’inizio delle crociate permisero a un esercito di sbandati europei di insediarsi stabilmente nella città santa: le rivalità interne tra governanti, la mancanza di una strategia di lungo termine, l’impreparazione dell’esercito, una visione religiosa e meno pragmatica della guerra, ecc. Quale altra motivazione del fatto che uno staterello isolato (Israele) abbia tenuto testa a fortissimi e numerosissimi eserciti vicini?

In questo catastrofismo da serie Z, ritorna puntuale come le manovre finanziarie la tesi del collasso demografico, che Allam ha rispolverato dal libro dilettantesco di Oriana Fallaci “La rabbia e l’orgoglio”. Il cliché è sempre quello: l’Occidente fa pochi figli, l’Islam ne fa tanti, bla bla… Un momento! Forse ho scritto in modo impreciso, perché il bla bla non c’è, nel senso che una volta sparata la tesi catastrofista non si aggiungono contenuti per dimostrarla scientificamente. Ogni volta, ho domandato: se questo è un problema, allora quanti figli devono fare i musulmani?

La risposta, non esattamente in questi termini, è “Che c’entra? Siamo noi che dobbiamo farne tanti!”. Qui ritorniamo alla differenza tra una società patriarcale e una borghese, nel senso che se il mondo islamico deve diventare democratico per batterci, allora farà meno figli (e infatti la natalità continua a calare da 6 a 2,5-3). Ma se diciamo che noi ci stiamo indebolendo, allora volutamente ignoriamo che tutte le specie viventi tendono a prolificare fino a quando non occupano tutto lo spazio a disposizione.

Il demografo Massimo Livi Bacci (Storia minima della popolazione del mondo, ed. Il Mulino) ha riportato l’esempio del Canada: una migrazione dall’Europa, un’alta prolificità e, quando la densità è divenuta alta, una stabilizzazione della popolazione alle cifre raggiunte (ergo: meno figli). Il calo della natalità, per i mammiferi, è una cosa normalissima.

Ma dobbiamo arricchire l’informazione, per non usare il metodo Allam del dare uno schiaffo e nascondere la mano. Parliamo dell’Iran. Sì, proprio di quella nazione su cui tanti allarmismi girano dalle parti dei nazionalisti nostrani. Dopo la rivoluzione di Khomeini, ci fu la guerra contro l’Irak e il governo pensò bene di praticare il metodo fascista: più figli, più contadini, più soldati, più credenti. Poi la guerra finì e queste masse di adolescenti disadattati resero insostenibili le spese assistenziali. Risultato, ampiamente denunciato dai nostri clericali (Lucetta Scaraffia, Eugenia Roccella “Contro il cristianesimo”, ed. Piemme: i nomi vi vengono in mente qualcosa? Il testamento biologico?): l’Iran chiese aiuto ai movimenti abortisti americani (sì, quelli dell’eugenetica e della soppressione della famiglia). E noi dovremmo preoccuparci dell’alta natalità iraniana?

Il problema, poi, si è esteso a tutto l’Islam. Con i petrodollari (che dire di questo, Allam?), finora, era stato facile mantenere questi adolescenti sfaccendati. Ma adesso abbiamo visto di cosa è capace una massa di disoccupati figli del baby boom: rovesciare i governi. E continueranno a farlo anche con i prossimi governi islamici, a meno che naturalmente questi ultimi non trovino un modo per modernizzarsi. Fondamentalisti che si modernizzano: da brividi! Se soltanto uscissimo dalla logica dell’identitarismo (religioso e non)…

I mercanti del tempio

Infine l’ultima catastrofe è quella economica, con Monti impegnato a difendere il proprio operato dalla speculazione. Il problema dell’evasione fiscale (che include l’Ici religiosa) non è solo un problema di contabilità. Infatti la logica dei tagli è che i sacrifici dovrebbero toccare tutti i contribuenti, ma se iniziamo con il dire che “gli evasori fiscali sono giustificati perché in Italia si pagano troppe tasche” (parola dell’Unto del Signore, San Silvio), allora arrivano a cascata le altre affermazioni dei tassisti, dei farmacisti, dei lobbisti vari, in base alla quale “i sacrifici non toccano a noi in quanto siamo dei poveri disgraziati”.

Allora chi sarebbe il cittadino Pantalone che paga sempre? Se tutti fanno i furbi, nessuno è innocente. Quindi colpire gli evasori fiscali è un forte segnale, perché significherebbe togliere ogni giustificazione alle altre categorie produttive nel sottrarsi ai sacrifici. A quando la prossima catastrofe, profetizzata da chi non vuole rinunciare ai sacrifici?