La laicità cristiana. Oltre l’ossimoro

Maurizio Soldini(*)
Zenit.org 7 gennaio 2012

La laicità cristiana è un valore più volte richiamato, ma che ha qualche difficoltà a farsi comprendere. Forse perché sembra un ossimoro, ma non è così. Se vogliamo recuperare in pieno l’etimologia di laico, infatti, dobbiamo convincerci che laico è colui che appartiene al secolo, nel senso che non fa parte di nessun ordine religioso, di nessuna congregazione, nel senso che non ha preso nessun voto di appartenenza ad ordini religiosi. Laico è un termine che nasce, e questo tutti lo sanno, proprio nell’ambito di un distinguo fatto in campo religioso. Ma questo non significa che chi, pur non avendo fatto e preso dei voti di appartenenza, non possa essere credente e abbracciare una fede.

Ora si capisce che laico e cristiano non rappresentano due opposti, ma possono benissimo convivere. Un cittadino può essere laico, perché appartiene al secolo, e perché non è un religioso. Ma il cittadino può essere “religioso”, nel senso che pur essendo del mondo secolare, può abbracciare una fede. E una fede, in modo non professionale, la si abbraccia per tanti motivi, ad iniziare dal fatto più banale di nascere in un Paese con una specifica tradizione religiosa, come è quella cristiana e cattolica di un’Italia che per lo più è tale. Ora può capitare, e mi si smentisca se non è così, che per lo più il cittadino può essere laico e credente nello stesso tempo. Nel nostro caso, in quanto italiani, la nostra laicità la definiamo cristiana.

Questo non significa che la laicità di un cittadino italiano non possa essere ebraica, islamica, buddista, etc., soprattutto in una dimensione multiculturale come quella attuale. Pur tuttavia, il fatto di essere cristiano, per un italiano, si basa in primis sul fatto della tradizione, ma si fonda razionalmente (una razionalità a trecentosessanta gradi) su quel fatidico “comandamento nuovo” che Cristo dà agli uomini e che Agostino caldeggia nella celebre frase: “Ama e fa’ quel che vuoi”, che caratterizza in modo forte la nostra religione e soprattutto la nostra religiosità.

Inoltre, conosco tanti uomini che, nonostante non siano di fede cristiana, e appartengano ad un contesto di fede ebraica, musulmana, etc., riescono allo stesso modo a impersonare cittadini laici e religiosi nel contempo. Comunque, uomini di fede (religiosa). Ora, sembrerebbe che nel nostro Paese la religiosità negata debba essere soltanto quella cristiana e in particolare quella cattolica. Perché se in un Paese come la Svizzera si nega la possibilità di costruire le moschee ai credenti musulmani, si apre, e giustamente, un caso in riguardo dell’intolleranza e giù di lì? Se in Italia, invece, qualcuno decide di affossare valori e tradizioni radicati nel midollo della nostra esistenza, subito si grida che è giusto così perché lo Stato e la cittadinanza debbono essere laici.

Le questioni, vetuste, ma che talora riaffiorano, del crocefisso, dell’ora di religione a scuola, la questione del presepe, la messa in mora della festa del Natale, il Papa che non è lasciato parlare alla Sapienza, le tematiche della bioetica, su cui sembrerebbe che chi è cattolico debba obbligatoriamente tacere, e quant’altro, in effetti, non fanno che rammaricare quanti, pur laici, sono credenti. Ma non solo, poiché ci sono tantissime persone che pur non essendo credenti partecipano con rispettosa gioia ad una tradizione che ha costruito un senso intorno ai misteri della natività e della croce.

Un po’ come i due intellettuali laici e atei o agnostici, Croce e Gentile, che, nel riformare la scuola italiana nel 1923, ritennero importante per tanti motivi inserire nei programmi scolastici l’obbligo dell’ora di religione. E Benedetto Croce scrisse addirittura sul perché non potesse non esser cristiano. Non per nulla non è una strana combinazione che uno dei maggiori intellettuali della storia italiana si chiamasse con quel cognome – Croce – e non, per esempio, Mezzaluna o Veda (con tutto il rispetto per chi si possa chiamare così) e con un nome – Benedetto – che sono così radicati nel nostro essere cristiani?

Parlare allora di “laicità cristiana” non dovrebbe essere visto come un’antinomia, ma, per tanti motivi, come una placita e lecita concordanza. Oggi più che mai, allora, è necessario saper comprendere, rispettare e perché no, anche inorgoglirsi per un valore che tanto può dare, oggi come domani, nel nostro panorama politico. Se poi aggiungiamo alla tradizione di sempre, il fondamento sempre più radicato delle correnti filosofiche personalistiche, che hanno donato nel corso del Novecento una struttura concettuale ancor più forte all’essere politico dei cristiani, pensiamo che il valore persona sia un elemento dal carattere ineludibile di un rinnovato impegno politico cristiano e soprattutto cattolico, tanto più in una situazione come quella attuale, italiana ed europea, nella quale bisognerà fare in modo che il perno delle decisioni sia la persona.

(*) Docente all’Università “La Sapienza” di Roma e all’Ateneo Pontificio “Regina Apostolorum