La Lega Nord e la Chiesa di M.Vigli

Marcello Vigli

Il problema dei rapporti fra la Lega Nord e la Chiesa, che Paolo Bertezzolo affronta nel suo libro Padroni a Chiesa nostra (*), si pone in modo diverso da quello dei rapporti con gli altri partiti.

La Lega Nord infatti ha bisogno di costruire un’identità etnico/nazionale, dandosi sua propria connotazione ideologica, per supportare la scelta di costruire, dal nulla, un’entità politico territoriale: la Padania.
Questa operazione, pur se svolta da un partito come la Lega sorta come esperienza politica «laica» o forse, meglio, «secolarizzata», per affermarsi in regioni a forte maggioranza cattolica non può non interferire con il cattolicesimo, con la Chiesa e la sua gerarchia.

Fu evidente già nel primo congresso federale … del 1991 dove si delinearono due orientamenti: Mario Borghezio apre le ostilità auspicando la creazione di una chiesa separatista, «autonoma» da Roma e, in quella stessa sede, nasce una Consulta cattolica affidata a Giuseppe Leoni autore di una relazione definita cattolicissima.

Negli anni successivi questa ambiguità ha caratterizzato costantemente ogni riferimento a temi propri della cultura cattolica, inseriti o giustapposti ad atti e a fatti di natura radicalmente diversa fra loro. Le ripetute dichiarazioni d’impegno a difesa dei valori eticamente sensibili si accompagnano alle celebrazioni di matrimoni con rito celtico, la presenza del crocefisso nelle scuole diventa bandiera di lotta politica, la proclamazione di fedeltà alla Chiesa si associa con la denigrazione di singoli vescovi e con la contestazione di scelte della Cei e dello stesso pontefice.

Bossi da un lato giunge ad accusare i vescovi di tramare contro le liberà dei popoli e a classificare il potere teocratico come il serpente più vecchio tra i serpenti velenosi romani, degni di finire nel water della storia, dall’altro è pronto, però, a correggere in diverse occasioni dichiarazioni e minacce di altri esponenti della Lega fino a convertirsi e a diventare una pecorella smarrita tornata all’ovile e a chiedere al papa di pregare per lui e per tutti i padani. In una intervista alla Padania confessò … «Qualche anno fa ho attaccato il papa», «ma mi sono sbagliato».

Diverse in campo cattolico sono le reazione provocate da questo modo di procedere.

Fra i cattolici tradizionalisti la Lega trovò fin dall’inizio consensi che nel tempo si sono sviluppati in una dimensione più profonda quella delle parrocchie e delle realtà territoriali realizzando quella che l’autore definisce una vera simbiosi. C’è … un terreno comune tra il localismo padano della Lega in versione «teocon» e il cristianesimo nordista e tridentino.

Nella gerarchia, invece, suscitò inizialmente una generale diffidenza perché la sua presenza minava l’unità politica di cattolici. Quando fu evidente che questa era definitivamente compromessa, cominciarono ad emergere posizioni differenziate. Una svolta si è avuta, sostiene l’autore, dopo che con il lancio del Progetto culturale nel 1995 il cardinale Ruini avviò una diversa presenza della Cei nella politica italiana.

Ne derivò anche una maggiore disponibilità ad aprirsi ad una Lega che non esasperasse le spinte federaliste e ad una destra non dominata da un liberismo selvaggio. In seguito aperti riconoscimenti espliciti verranno da monsignor Rino Fisichella e dallo stesso cardinale Bretone che elogiò il «presidio del territorio», una volta appannaggio dei vescovi e della parrocchie, e ora «sottolineato in modo speciale dal partito della Lega».

Apertamente contrari i vescovi Bettazzi e Tettamanzi, i relatori alla 42” Settimana sociale dei cattolici italiani, la dirigenza nazionale dell’Azione cattolica e in generale i cattolici conciliari. Particolarmente critico è sempre stato il settimanale Famiglia cristiana.

A queste diverse posizioni, espressioni di una realtà complessa e in costante evoluzione, la Lega si rapporta, negli anni, con una strategia duttile e ispirata al pragmatismo, che risente certo della contraddizione di fondo, ma in realtà è coerente e particolarmente attenta a contendere il voto cattolico alle liste berlusconiane

L’autore analizza tale strategia, con dovizia di particolari tratti dalle cronache, da documenti ufficiali e da altri studi apparsi sulla stampa, evidenziando che la Lega si rivela capace di adeguarsi alle diverse situazioni, locali e temporali, condizionate dai diversi rapporti di forza, in coerenza con scelte ed obiettivi di volta in volta individuati come funzionali a consolidare il suo radicamento sul territorio, a definire la sua identità ideale e al suo affermarsi come forza determinante per la politica nazionale.

Ne emerge un quadro di conflittualità, pur intrecciata con attestazioni di piena adesione alle istanze avanzate dalla gerarchia cattolica, particolarmente evidente in quattro settori che nei diversi tempi costituiscono occasioni d’incontro/scontro.

Nell’ambito della bioetica la Lega non ha tentennamenti: sostiene senza riserve il Ddl Calabrò sul testamento biologico. Significativo il comportamento dei suoi candidati presidenti alle Regioni, Zaia in Piemonte e Cota in Veneto, che si fanno sfrontatamente paladini dei temi eticamente sensibili per garantirsi il voto cattolico e, appena eletti, intervengono sull’uso della pillola Ru 486, venuta in quei giorni alla ribalta, con la paradossale dichiarazione che non ne avrebbero consentito l’utilizzo nelle aziende sanitarie delle loro regioni. Toccò a Bossi ridimensionare lo scandalo di Presidenti di Regione pronti a violare le leggi dello Stato.

Sempre decisi difensori dell’insegnamento della religione cattolica nella scuola pubblica, i leghisti s’impegnano anche nella promozione della scuola cattolica, nella creazione di scuole padane e nella padanizzazione di quelle scuole statali, magari riempiendole del loro simbolo come ad Adro. Memorabili sono le loro battaglie per imporre la presenza del crocefisso nelle aule scolastiche.

Da un lato promuovono mobilitazioni quando essa è contestata – come dopo la sentenza emessa nel 2003 dal Tribunale dell’Aquila che ne aveva avallato la rimozione chiesta da un italiano convertito all’Islam – dall’altro a Treviso e Verona e in altre città da loro amministrate forniscono crocefissi alle scuole, che ne fossero prive. La Lega infatti fece di questa battaglia un mezzo per mostrare, nel modo più visibile a tutti la sua conclamata volontà di difendere la tradizione cattolica e l’identità cristiana nei territori in cui operava.

Questa ostentata adesione al cattolicesimo, sottolinea l’autore, mal si concilia con la violenza con cui hanno condotto e conducono la battaglia contro gli immigrati, nella quale, in verità, incontrano il favore di cattolici conservatori nella proclamata difesa dei posti di lavoro e dell’integrità sociale contro la multi etnicità. Si scontrano, invece, con la grande maggioranza dei vescovi che condannano apertamente leggi, provvedimenti e prassi dei ministri e degli amministratori leghisti.

Le occasioni non sono mancate. Dall’approvazione del Decreto legge del 1995, con la conseguente politica dei respingimenti e della legge Bossi Fini, al varo di quella Maroni sulla sicurezza, che ha introdotto il reato di clandestinità, si sono moltiplicate le polemiche con la gerarchia e i settori del mondo cattolico più impegnati nella promozione dei diritti degli immigrati. Emblematico l’invito rivolto da Borghezio, che aveva dato vita ad un’associazione Padania Cristiana, su posizioni vicine a quelle lefebvriane: «La chiesa dia ospitalità e magari lavoro agli extra comunitari nei confortevoli palazzi vaticani».

Altrettanto irriverente e particolarmente virulenta è stata la campagna ricca di diversi episodi contro l’arcivescovo di Milano cardinale Tettamanzi sul comportamento verso l’Islam che costituisce l’altro campo di conflittualità fra Chiesa e Lega.

Al di là delle dichiarazioni di principio e delle denunce dei pericoli derivanti da una eccessiva espansione della presenza islamica e del rischio che possa servire da incubazione per i terroristi, lo scontro si è nel tempo concretizzato nella resistenza alla costruzione di nuove moschee. In questa, che è diventata ben presto una vera e propria guerra delle moschee, la Lega sempre in prima fila non ha trovato, però, come per l’immigrazione, la compatta reazione della gerarchia e della maggior parte del mondo cattolico.

L’autore si sofferma sull’accordo fra Lega e parroci per opporsi alla costruzione di una moschea in un quartiere di Genova, dove, però, l’opposizione leghista non assunse le forme volgari raggiunte in altre città con l’uso dei maiali da parte di esponenti leghisti per profanare i luoghi prescelti per costruirvi moschee.

Delle diverse “battaglie” di questa guerra, l’autore fornisce altri efficaci e puntali resoconti ed evidenzia in particolare quella in cui la Padania per riprendere la sua crociata anti-islamica e rilanciare le critiche alla chiesa, evoca la battaglia di Lepanto esaltando il coraggio del papa Pio V. Occorreva «un’altra Lepanto per fermare l’Islam» scrisse in prima pagina. ….Oggi invece la chiesa era troppo arrendevole… «Ha paura. Non lotta. È pacifista a oltranza. Subisce. Ma non può fare la pace con chi non la vuole».

Ugualmente conflittuale si è sviluppato il rapporto sul tema del federalismo che i vescovi sostengono nella forma solidale rifiutando, però, l’esasperazione separatista presente nella proposta di secessione posta dalla Lega al centro della sua azione politica. La chiesa su questo punto ha svolto e continua a svolgere un’opera insostituibile; forse l’unica davvero decisiva.

Può sembrare che sia impossibile che si arrivi a un superamento di questa conflittualità diffusa e che pertanto di debba concludere che tra Chiesa cattolica Lega Nord nessuna sintonia e, quindi, neppure alcun accordi di fondo sarà mai possibile e che il conflitto tra di esse sarà permanente. L’autore avverte che, invece, il tema è più complesso. Si fa delicato quando investe alcune questioni di principio sulle quali sembra esserci, soprattutto negli ultimi tempi, consonanza di posizioni.

Bisogna riflettere, sostiene, su una certa consonanza fra condanna ecclesiastica del relativismo e l’affermazione leghista di voler difendere il cristianesimo e la tradizione religiosa e interrogarsi sulla credibilità di questa affermazione.

Alternando l’attacco e la ritirata, i dirigenti leghisti riescono a mitridarizzare l’opinione pubblica. In verità, forti di un consenso fondato sulla buona amministrazione, si muovono, come si è detto, con grande perizia pragmatica che nei confronti della Chiesa diventa capacità di utilizzare il cattolicesimo piegandolo alle proprie strategie.

La Lega, infatti, non ha mai rinunciato ai suoi riti pagani, né i suoi esponenti, che si sono sposati con rito celtico, hanno riveduto la propria scelta. Celtici e cattolici questi sono i riferimenti «religiosi» leghisti: la loro non è una fede ma una «religione civile». « Negli ultimi anni ha riletto e “padanizzato” il messaggio cristiano, prendendo quello che gli serviva; e buttando via, anzi demonizzando, quanto non rientrava nel suo orizzonte».

Allo stesso modo non rinuncia a dividere la base cattolica dalla gerarchia nell’intento, spesso enfatizzato, di costruire una Chiesa padana, una sorta di Chiesa del Nord, con i suoi riti i suoi simboli i suoi valori, le sue reti di appartenenza locale.

L’autore s’interroga in che misura di questo intento c’è consapevolezza nella Chiesa, giungendo a ipotizzare che al suo interno sussista una certa volontà di trovare nella nuova cattolicità leghista un modello per uscire dallo stato di “decadenza in cui è caduta.

Questo, in verità, è il problema che all’autore interessa porre a conclusione della sua analisi. Condividendo l’opinione di chi s’interroga se il fenomeno Lega non sia da considerare come una malattia del cattolicesimo, intende mettere in guardia dal rischio, sempre in agguato, di ridurre la fede e le fedi a religioni civili, a strumenti identitari, denunciato da Tonio dell’Olio nella sua presentazione del libro.

(*) Paolo Bertezzolo, PADRONI A CHIESA NOSTRA. VENT’ANNI DI STRATEGIA RELIGIOSA DELLA LEGA NORD, EMI Bologna 2011
Roma, 10 gennaio 2012