Italia, il Web di nuovo a rischio

Guido Scorza
http://espresso.repubblica.it, 23 gennaio 2012

Il governo non ha preso le distanze dall’emendamento Fava, che ucciderebbe la libertà della Rete nel nostro Paese. Ecco perchè è una pessima norma e perché sia Monti sia i partiti che lo sostengono devono smetterla di stare zitti

La Rete, in America, resta libera. In Italia forse no.

Mentre il Congresso degli Stati Uniti d’America, dopo lo sciopero dei grandi del Web ha deciso di rinviare a data da destinarsi la discussione sul Sopa – il famigerato disegno di legge anti-pirateria – il Parlamento italiano si avvia ad approvare un provvedimento che minaccia di consegnare la libertà di parola on line nelle mani dei soliti noti.

Giovedì scorso, la Commissione per le politiche comunitarie del Parlamento ha, infatti, approvato un emendamento – proposto dall’onorevole Giovanni Fava (Lega nord) alla Legge comunitaria 2011 – attraverso il quale si stabilisce che i fornitori di servizi di hosting saranno tenuti a rimuovere qualsivoglia contenuto dietro semplice segnalazione da parte di chiunque ne deduca l’illegittima pubblicazione perché in violazione dei propri diritti d’autore.

Decisamente peggio della filosofia ispiratrice del Sopa, i cui sostenitori avevano almeno avuto la decenza di prevedere che solo un giudice potesse ordinare ad un fornitore di servizi di rimuovere o rendere inaccessibile un contenuto pubblicato in violazione del diritto d’autore.

L’onorevole Fava e i suoi compagni di merenda vorrebbero privatizzare la giustizia, legittimare forme di esercizio arbitrario delle proprie ragioni e riconoscere a chiunque il potere di decidere se un contenuto, un’informazione, un pensiero, un’opinione possa restare online o debba essere rimossa. Tutto estromettendo completamente giudici e autorità.

La Rete sta per essere trasformata, per legge, in un far west nel quale i più ricchi, i più potenti, i più veloci la faranno da padroni.

Nessuno potrà più avere la certezza di usare la Rete per dire la sua. Chiunque potrà impedirglielo, semplicemente inviando al provider che ospita il contenuto una mail con la quale – a torto o a ragione – ne segnala la possibile illiceità.

A quel punto il fornitore di servizi dovrà scegliere: respingere la richiesta e assumersi la responsabilità per un contenuto pubblicato da uno dei milioni di propri utenti o rimuoverlo a garanzia delle proprie tasche.Cosa credete che farà?

Possibile che la libertà di parola online di milioni di utenti debba dipendere da un braccio di ferro tutto privato tra il titolare – vero o presunto – dei diritti d’autore e un fornitore di servizi che persegue, come legittimo obiettivo, solo quello di contenere i rischi e massimizzare i profitti?

Naturalmente no e, in un Paese civile, toccherebbe al Parlamento garantire che la libertà di parola di ciascun cittadino sia affidata esclusivamente a un giudice terzo ed imparziale e sottratta ad ogni ingerenza privata.

In Italia, invece, è proprio il Parlamento che la minaccia e la vorrebbe affidata, esclusivamente, ai capricci dei più forti.

Ma la storia dell’emendamento Fava, “il Sopa all’italiana”, merita di essere raccontata per tante altre buone e assurde ragioni.

Basterà dire che attraverso tale emendamento si sta per introdurre nel nostro ordinamento una disposizione in aperto contrasto con la disciplina europea e lo si sta facendo proprio nell’ambito della legge comunitaria, ovvero la legge attraverso la quale si dovrebbe recepire ed attuare nel nostro Paese il diritto europeo.

Ma non basta.

L’emendamento dell’onorevole Fava, infatti, contiene un pugno di disposizioni che sono parte del disegno di legge già presentato dallo stesso onorevole – e di quelli gemelli di alcuni suoi colleghi – che il nostro governo ha trasmesso lo scorso 18 novembre “così come prescritto dalla disciplina Ue” a Bruxelles, chiedendo alla Commissione di conoscere il suo parere circa la loro compatibilità con l’Ordinamento Europeo.

Il termine entro il quale la Commissione dovrà pronunciarsi scadrà solo il prossimo 20 febbraio, con la conseguenza che, in sostanza, il nostro Parlamento si è ingarellato con le istituzioni Ue, cercando di approvare delle disposizioni probabilmente in contrasto con la disciplina Ue, prima che la Commissione Europea rilevi tale contrasto e ce lo segnali. Roba da furbetti del quartierino.

Un’ultima battuta sulla vicenda la merita il nostro Ministro per le politiche comunitarie, Enzo Moavero Milanesi: che, in Parlamento, richiesto di un parere sull’emendamento lo ha dato positivo, limitandosi a rilevare che l’emendamento Fava, affrontando «un tema, quello del commercio elettronico, di particolare delicatezza, che incontra sensibilità diverse (…) avrebbe meritato di essere affrontato in uno specifico provvedimento”.

Nessun veto, tuttavia, né una parola sulla circostanza che le disposizioni in questione siano oggetto di una richiesta inoltrata dallo stesso governo italiano a Bruxelles.

Mentre istituzioni europee e le autorità italiane si trovano d’accordo nell’affermare che solo il web e l’ecommerce possano aiutarci ad uscire dalla crisi, il Parlamento, si avvia a varare un provvedimento che minaccia di rendere la Rete meno libera ed il nostro futuro ancora meno digitale e, per questo, certamente, più povero.

Grazie, onorevole Fava. Grazie a nome di quell’Italia che sogna un futuro in digitale ma continua ad essere costretta a leggere sui giornali di carta che è il fanalino di coda in Europa in termini di utilizzo di Internet ed innovazione e, soprattutto, la Cenerentola dei Paesi sviluppati in termini di libertà di manifestazione del pensiero.