Uno spettacolo sgradevole quello di Castellucci, ma con importanti messaggi possibili. La Curia di Milano e il Vaticano sono incorsi in un grave infortunio

Vittorio Bellavite, coordinatore di “Noi Siamo Chiesa”
Milano 25 gennaio 2012

In una mia dichiarazione diffusa venerdì 20 sulla contestata rappresentazione dello spettacolo “Sul concetto di volto nel figlio di Dio” al teatro Franco Parenti di Milano scrivevo che, prima di aspre critiche come quelle del Vaticano e della curia di Milano, sarebbe stato necessario che chi obiettava vedesse la pièce, cosa che personalmente mi impegnavo a fare.

Ieri sono stato alla prima e mi sento impegnato a riferire, anche per le tante mail che ho ricevuto che hanno dimostrato interesse a tutta la vicenda. Il teatro era fortemente controllato dalle forze di polizia. A me piace il teatro ma non sono un grande esperto e, ciò premesso, espongo le mie impressioni. Lo spettacolo è sgradevole da vedere. Ci sono solo due attori in scena, un vecchio padre incontinente e un figlio, giovane, bello e ben vestito, che esercita nei suoi confronti ripetutamente la pietas filiale, pulendo le sue nudità dai suoi escrementi esibiti sul palcoscenico.

Indubbiamente scioccante, volutamente provocatorio. Sullo sfondo un enorme pannello con lo splendido volto di Antonello da Messina, che illumina questa rappresentazione della sofferenza, del degrado, del rapporto padre-figlio. Si intuisce l’esasperazione del figlio che, in fine, si appoggia con le braccia aperte, al volto del Cristo, mentre esso, poco dopo, esso viene irrorato da un liquido scuro e da un occhio si sprigiona un fascio di luce. Sul volto appare il biblico “You are my sheferd” (“tu sei il mio pastore”, salmo 23) e anche, per un attimo (per restare poi in ombra) un “not” (“you are not my sheferd”).

Non è facile capire un tale spettacolo. Mi pare che la sua interpretazione sia lasciata al singolo spettatore.

Io, da credente, posso vedervi il Cristo, presente alla sofferenza e alla tragedia dell’umano, che viene alla fine riconosciuto come salvatore, nonostante tutto e con la stessa risposta di Giobbe, da parte del figlio con le mani sul volto e la scritta biblica .

Ma lo spettacolo può essere visto anche come una manifestazione della sofferenza del vivere, intrisa di umanità, con il figlio che si rivolge al Cristo per rifiutarlo o per interrogarlo in modo muto e doloroso. Anche la fuggevole comparsa del “not” indica, in tono di dubbio, una soluzione diversa del rapporto col volto, quella dell’impotenza o del rifiuto. Insomma uno spettacolo che fa soffrire e che fa pensare col volto di Cristo che fissa in modo costante lo spettatore e sembra intervenire silenziosamente nell’area dei grandi interrogativi di senso che accomunano credenti e non credenti, perché entrambi uomini del dubbio e della ricerca.

Sulla questione della blasfemia o meno o di qualsiasi offesa gratuita ai sentimenti dei credenti, la risposta è nelle cose: essa non esiste in nessun modo, questione chiusa .

La risposta agli interrogativi critici del mio testo precedente è di conferma della inspiegabile arrendevolezza dei vertici ecclesiastici (curia di Milano e Vaticano) e dell’Avvenire nei confronti della “campagna” degli ultras della destra cattolica e della sprovvedutezza (al limite della mancanza di professionalità) nel dire (Padre Lombardi, portavoce del Papa) che “si rappresenta un’opera che risulta offensiva delle convinzioni religiose dei cristiani”, senza aver visto lo spettacolo. La curia di Milano, che per prima ha preso le distanze dalla direzione del teatro, è stata contestata da numerosi importanti esponenti della cultura milanese nel dibattito che ha fatto seguito allo spettacolo. Mi chiedo se ci troviamo di fronte alla prova che in diocesi si sta delineando un nuovo corso.

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“MA CASTELLUCCI METTE IN SCENA LA PREDICA DI UN PRETE”

Gabriele Vacis
La Stampa, 27 dicembre 2012

Io l’ho visto. Lo spettacolo di Castellucci «Sul concetto di volto nel figlio di Dio», io l’ho visto. Comincio dicendolo perché credo che molti di coloro che ne parlano non l’abbiano visto. Soprattutto credo che non l’abbiano visto molti di quelli che lo contestano, che vorrebbero censurarlo o che recitano litanie per espiarne l’esistenza. Io ne parlo perché l’ho visto. E perché mi hanno insegnato che San Tommaso è una figura positiva. Mi hanno insegnato che quel ragazzo che non ci credeva fin che non aveva visto, a Gesù, stava a cuore più di altri.

Quando ho visto lo spettacolo di Castellucci ho pensato a un prete. Un prete che organizzava il Grest quand’ero piccolo. Uno che ci faceva giocare a pallone, e alla fine della giornata, tutti sudati, ci radunava in chiesa e ci leggeva «I ragazzi della via Paal». Quando ho visto lo spettacolo di Castellucci ho pensato ad una predica di quel prete. Una domenica, alla messa delle nove, la messa del fanciullo che lui aveva ribattezzato «messa dei ragazzi». Quella domenica era andato al microfono, aveva guardato tutti, uno per uno, poi aveva staccato una domanda, così, senza preamboli: – perché Dio permette che esista il male? Don Ferrero non era uno che andava per il sottile. Era uno che «prendeva per il collo i problemi», l’ho sentito dire una volta.

Quando ho visto lo spettacolo di Castellucci ho pensato che la domanda era la stessa. Forse declinata un po’ più brutalmente: com’è possibile che esista Dio se permette tutto questo male? Ma la sostanza è quella. E anche il tono: il tono di uno che prende per il collo i problemi. Come Bernanos, come Testori, come Don Ciotti o Padre Bianchi. Il tono di quei credenti che non fondano la loro fede sulla superstizione, sull’adesione supina a riti consolatori, ma che, la fede, se la conquistano andando a mettere il naso nelle questioni più spinose. Come San Tommaso. Se è il caso anche scandalizzando.

Non è scandaloso che un prete, una domenica mattina, sbatta in faccia a dei ragazzini quel problema enorme e, probabilmente insolubile? Lo è. Com’è scandaloso un padre che continua a farsela addosso mentre il figlio deve andare a lavorare. Perché questo racconta lo spettacolo di Castellucci: una delle nostre tante miserie quotidiane. Solo che sul fondo della scena realistica, talmente realistica da farci sentire la puzza, sul fondo c’è un enorme ritratto di Cristo dipinto da Antonello da Messina. La miseria più cruda e la bellezza assoluta. Insieme. C’è bellezza nello spettacolo di Castellucci. E c’era molta bellezza in quei ragazzini assonnati alla messa dei ragazzi messi di fronte alla realtà più cruda.

Era bella la voce di don Ferrero, era bello il nostro stupore, era bello sentirsi sbattere sulla faccia la verità. Perché la bellezza e la verità forse sono la stessa cosa. Così nello spettacolo di Castellucci c’è la verità di una tragedia molto comune. Raccontata con grande cura. Mentre l’altra sera, al telegiornale, il servizio sulla contestazione allo spettacolo, ha mostrato persone che alla domanda: ma lei lo spettacolo l’ha visto? Si arrampicavano sui vetri per non ammettere che, no, non l’avevano visto… Però erano lì a urlare e a celebrare messe di riparazione. Due chiese, quella di don Ferrero e quella dei contestatori dello spettacolo di Castellucci. Due realtà molto diverse.

Una chiesa che guarda in faccia la realtà quindi intima domande scomode, e in questo modo produce bellezza, utile anche a chi non crede. Una chiesa che si rifiuta di andare a vedere, si consola di liturgie senza memoria e, non riuscendo ad intimare alcuna domanda, alcuna verità, cerca di intimidire quelli che ci provano.

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QUELL’ADDIO DISPERATO AL VOLTO DI GESÙ

Vito Mancuso
La Repubblica, 26.1.12

Sono stato al teatro Parenti di Milano a vedere l´opera Il concetto di Volto nel Figlio di Dio del regista Castellucci. Quello che mi ha colpito arrivando è stata anzitutto la polizia, tantissima, quale nessuno si aspetta davanti a un teatro. La minaccia da cui doveva difendere direttrice, regista, attori e forse anche noi spettatori era una miscela di fanatismo religioso e di violenza fascista. Una miscela spesso manifestatasi nella nostra storia e nella cui trappola la gerarchia vaticana ancora una volta è caduta avendo preso sul serio, con una lettera della Segreteria di Stato del 16 gennaio, l´appello alla guerra santa lanciato da alcuni di questi fanatici.

Quanto si legge nella lettera del Vaticano (“Sua Santità auspica che ogni mancanza di rispetto verso Dio, i Santi e i simboli religiosi incontri la reazione ferma e composta della comunità cristiana”) ha condotto alcune decine di parlamentari e cittadini ad adoperarsi per impedire la messa in scena dello spettacolo. Di fronte a tutto ciò il compito del pensiero è distinguere i diversi livelli della questione, sedando le passioni e favorendo la riflessione, e a questo riguardo ritengo che l´opera di Castellucci sollevi tre ordini di problemi: giuridici, artistici e religiosi. Il livello giuridico è il più semplice perché, nel nome della libertà di espressione, occorre tutelare la libertà dell´artista così come quella degli spettatori.

Penso debba essere fuori discussione la messa in scena dell´opera e la sua permanenza fino a quando il pubblico la vorrà, e trovo quindi inammissibile che la Curia si sia permessa di criticare le scelte della direzione del Teatro Parenti senza aver visto lo spettacolo. Però non posso fare a meno di chiedermi come si reagirebbe se qualcuno mettesse in scena uno spettacolo con tesi negazioniste sulle camere a gas oppure con tesi filo-mafiose di esaltazione degli assassini di Falcone e Borsellino: varrebbe anche allora l´assoluto della libertà di espressione? Davvero non ci sono limiti alla dissacrazione?

Per quanto concerne il profilo artistico, si tratta a mio avviso di un´opera mediocre, con un testo ripetitivo e molto povero, senza movimento né dinamismo. Mi ha impressionato per la sua carica di realismo, ma non mi è piaciuta per l´assenza di una delle caratteristiche essenziali dell´arte, cioè la dimensione trasfigurante, quella capacità di riprodurre la realtà senza caderne prigionieri, di servire il vero mantenendo la poesia, come nella grande pittura di Michelangelo o Van Gogh, o nel teatro di Eduardo De Filippo.

Quanta immensa e torrenziale poesia c´è in Giobbe, quanti colori e quante malinconie, del tutto assenti nel piatto grigiore di Castellucci. Infine il profilo religioso. A mio avviso non si tratta di un´opera blasfema, perché manca il beffardo tono dissacratorio che caratterizza l´atto blasfemo. Tuttavia c´è un momento in cui vedendola ho provato disagio, quando l´attore più giovane bacia a lungo sulla bocca il Gesù di Antonello da Messina con un bacio che fa pensare solo all´erotismo, per nulla alla devozione. Prima un bacio, poi una serie di pugnalate. Di una cosa sono certo, che non si tratta di un´opera religiosa, come vorrebbe il regista.

Perché un´opera si possa definire religiosa, infatti, non è sufficiente che contenga elementi biblici o religiosi, perché altrimenti nessuna lo sarebbe di più dell´Anticristo di Nietzsche. La presenza di riferimenti alla religione ne fa piuttosto un´opera anti-religiosa, dove cioè viene negato il movimento in cui consiste essenzialmente la religione, ovvero la relazione di se stessi con tutti i propri problemi (compresa la decadenza fisica e l´incontinenza) a un senso più ampio e più avvolgente, sentito come salvezza e rifugio rispetto alla disperazione. C´è pietas e tensione etica, ma non c´è religio, né c´è affidamento, e il risultato è solo rabbia e disperazione. Occorre poi prestare attenzione al titolo, Il concetto di Volto nel Figlio di Dio. Se c´è un valore che l´Occidente ha espresso nella sua storia millenaria, esso è proprio il volto.

Se si considera l´arte non occidentale (araba, cinese, giapponese…) emerge all´istante quanto sia secondaria la presenza del volto umano. Al contrario, se si togliessero dai nostri musei i dipinti e le sculture raffiguranti volti umani, non rimarrebbe quasi nulla. La tradizione occidentale scaturita da Atene+Gerusalemme ha fatto del concetto di volto il cardine della propria concezione etica del mondo, ed è da qui che politicamente sono scaturiti i diritti dell´uomo. Vedere qui che di fronte al dolore e alla malattia si squarcia il volto del figlio di Dio e del figlio dell´uomo, il volto di quel Gesù così umano, è assistere al ripudio del valore centrale della nostra tradizione.

Ha scritto Simone Weil: “Contemplare la sventura altrui senza distoglierne lo sguardo; non solo lo sguardo degli occhi; ma senza distoglierne lo sguardo per mezzo della rivolta, o del sadismo, o di qualsiasi consolazione interiore”. Continuare a far vivere dentro di noi “il concetto di volto” è, a mio avviso, di importanza vitale per la nostra umanità, mentre l´opera di Castellucci ne è un addio amaro e disperato. Non credo che per questo un cattolico debba sentirsi offeso o addirittura vilipeso. Seduto in seconda fila, non mi sono sentito nulla di tutto ciò. Mi sono sentito semplicemente diverso dalla sua percezione del mondo e della vita.

Ancora di più però mi sento diverso rispetto a quei cattolici che sono giunti a minacce violente verso la direzione del teatro e verso il regista, gente che cova dentro di sé un odio verso la modernità e un immenso complesso di inferiorità verso l´Islam per la sua capacità di presa sulle masse. Il Vaticano dando loro ascolto ha commesso il medesimo errore, seppure molto meno grave, di quando tre anni fa riammise quel vescovo lefebvriano negazionista e antisemita, egli sì esplicita negazione del concetto del volto del figlio di Dio.

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NOI SIAMO CHIESA – Comunicato Stampa
www.noisiamochiesa.org

La curia di Milano e il Vaticano accettano, a priori e in modo poco comprensibile, la campagna degli ultras della destra cattolica contro lo spettacolo di Castellucci al teatro Franco Parenti di Milano. “Noi Siamo Chiesa” chiede che esso non sia né rinviato né sospeso.

Il portavoce nazionale di “Noi Siamo Chiesa” Vittorio Bellavite ha rilasciato la seguente dichiarazione:

“La stampa, non solo locale, informa ampiamente in questi giorni della grande gazzarra che gli ultras della destra cattolica stanno organizzando contro la prossima rappresentazione al Teatro Parenti di Milano de “Sul concetto del volto di Dio”. Questa piccola parte del mondo cattolico- non c’è neanche bisogno di ricordarlo-si colloca, per propria volontà, fuori o ai margini di una Chiesa che ha, e che dovrebbe maggiormente avere, il messaggio di ascolto e di pluralismo del Concilio Vaticano II come proprio fondamentale punto di riferimento.

“Noi Siamo Chiesa”, il movimento per la riforma della Chiesa cattolica che coordino, è meravigliato e dispiaciuto che queste proteste trovino a priori ascolto sia da parte dell’arcivescovado di Milano che da parte del Vaticano nelle dichiarazioni diffuse rispettivamente il 14 e il 19 gennaio.

La direttrice del teatro Andrée Ruth Shammah e il regista Romeo Castellucci hanno fatto ampie e ripetute affermazioni sul fatto che lo spettacolo non è irrispettoso della fede ma anzi “profondamente cristiano”, auspicando un “dialogo costruttivo, nel rispetto reciproco” in una “città che ha sempre rappresentato il pensiero illuminato, la religiosità alta, il dialogo e l’apertura”. Mi meraviglio che le autorità ecclesiastiche non abbiano tenuto in adeguata considerazione queste dichiarazioni prima di esprimersi in termini critici nei confronti dello spettacolo. Si ha l’impressione che si accetti, senza un preventivo riscontro diretto, una campagna intollerante e identitaria che poco ha a che fare con un rapporto sereno con l’opinione pubblica avente unico scopo di annunciare il Vangelo di Gesù.

Ho comunicato ieri alla Curia di Milano le nostre riserve sul comunicato da essa diffuso il 14 gennaio in cui si bacchetta il teatro Franco Parenti. Io ed altri amici andremo a vedere lo spettacolo il 24 prossimo, prima di esprimere opinioni di merito, che, ovviamente, potrebbero essere anche critiche.

Invito comunque la direttrice e il regista a non lasciarsi intimidire e a non rinviare né tantomeno sospendere lo spettacolo”.

Milano, 20 gennaio 2012