Russia, elezioni alla dinamite

Carlo Musilli
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Domenica prossima Vladimir Putin sarà eletto ancora una volta Presidente della Federazione Russa. L’ennesimo trionfo dello Zar è già inciso sulla pietra, ma il voto rappresenterà comunque un giro di boa importante per l’intero Paese. Il futuro della Russia è appeso al filo di due interrogativi: l’ex numero uno dei servizi segreti vincerà subito o al secondo turno? Dopo la sua rielezione, come si comporteranno la polizia e l’esercito nei confronti del movimento di protesta anti-regime?

Partiamo dal secondo punto. Da oltre due mesi le strade di Mosca e di molte altre città sono intasate regolarmente da gigantesche manifestazioni contro il dispotismo di Putin. L’ultima in ordine di tempo è quella che ieri ha portato decine di migliaia di persone a tenersi per mano intorno all’anello dei giardini, nel cuore della capitale. Una catena umana lunga la bellezza di 16 chilometri. Anche stavolta gli attivisti sono stati attentissimi a non infrangere le regole – o quantomeno a farlo il meno possibile – per non dare alcun alibi alla repressione della polizia.

In realtà negli ultimi tempi le forze dell’ordine al soldo di re Vladimir hanno abbassato di molto gli standard d’illegalità a cui i civili russi erano abituati. Non per buon cuore, ma per evidente calcolo elettorale del loro capo, che cerca in tutti i modi di assicurare una parvenza di credibilità all’ormai prossima vittoria. Il movimento di protesta è nato infatti dopo le consultazioni parlamentari dello scorso 4 dicembre, che a suon di brogli hanno dato la vittoria – ma stavolta non la maggioranza assoluta nella Duma – al partito dello Zar, Russia Unita.

Quando però dalle urne uscirà l’ennesimo verdetto inverosimile, cosa accadrà? E’ molto probabile che l’intera Federazione sarà percorsa da rivolte e contestazioni molto meno pacifiche di quelle registrate nelle ultime settimane. A preoccupare sono soprattutto quelle regioni al di là degli Urali dove la divisione non si gioca solo sul campo della politica, ma anche su quello della religione e dell’etnia.

A quel punto il Presidente – a campagna elettorale ormai archiviata – si porrà seriamente il problema di tenere sotto controllo lo sterminato territorio su cui domina. E verosimilmente lo farà usando lo strumento che gli è più congeniale: la repressione poliziesca indiscriminata. Magari con una spruzzata d’esercito qua e là. Nella peggiore delle ipotesi si apriranno nuovi fronti di guerra civile. Altrimenti torneranno semplicemente ad aumentare le ormai tradizionali violazioni dei diritti, umani e civili.

Tutto questo scenario è strettamente collegato al modo in cui Putin sceglierà di vincere. Il controllo che ha sugli scrutini – per quanto i brogli siano spesso rozzi e più che evidenti – è talmente esteso che gli consente di determinare con una certa serenità se arrivare o meno al ballottaggio.

L’eventuale secondo turno porterebbe con sé un indubbio surplus di credibilità: più la vittoria sembrerà sudata, meno legittime appariranno le contestazioni. Un vantaggio che al Cremlino farebbe sicuramente comodo.

D’altra parte, qualunque strada alternativa all’affermazione indiscussa intaccherebbe la reputazione dello Zar, la sua immagine di leader carismatico, virile e invincibile. Difficile ipotizzare che Vladimir possa rinunciare a tutto questo. E non parliamo solo del suo potere sulla mostruosa macchina piramidale dello Stato russo, ma dello stesso rapporto che ha (o crede di avere) con i cittadini. Putin di politica non parla mai.

Il cuore della sua ultima campagna elettorale non ha nulla a che vedere con quello di cui la Russia avrebbe bisogno dal punto di vista sociale, economico o delle relazioni internazionali.

Il vero strumento della propaganda putiniana – almeno dal punto di vista mediatico – sono le donne a seno nudo. Bellissimi corpi femminili esibiti mentre dichiarano il proprio amore incondizionato per il super macho Vladimir. E lui ci mette del suo facendosi ritrarre in situazioni alla Rambo, come la lotta a mani nude con gli orsi o la caccia alle tigri. Uno degli spot più agghiaccianti fra quelli andati in onda si chiude con un riferimento sessuale esplicito: “Putin, la prima volta è solo per amore”. Peccato che il suo regime duri ormai da dodici anni.