Russia, Putin senza rivali

Michele Paris
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Come ampiamente previsto, nelle elezioni di domenica il Premier Vladimir Putin ha conquistato un nuovo mandato alla guida del paese grazie ad una comoda maggioranza di suffragi che gli ha anche permesso di evitare il secondo turno di ballottaggio. L’affermazione di Putin non è mai stata in dubbio, anche se è giunta nel pieno di un limitato movimento di protesta che negli ultimi mesi ha cercato di scardinare il sistema di potere saldamente nelle mani da ormai oltre un decennio del 59enne ex agente del KGB.

A scrutinio pressoché ultimato in tutte le sezioni, la Commissione Elettorale Centrale russa ha dichiarato Putin presidente con il 63,3% dei consensi espressi. Nettamente staccati i quattro principali sfidanti, con il secondo posto andato al leader del Partito Comunista, Gennady Zyuganov (17,2%), sconfitto domenica per la quarta volta in un’elezione presidenziale.

Ancora più modeste sono state le prestazioni di Mikhail Prokhorov (7,9%), oligarca multi-miliardario presentatosi come presunta faccia nuova della politica russa, dell’ultra-nazionalista di estrema destra Vladimir Zhirinovsky (6,2%), alla quinta candidatura per il Cremlino, e dell’ex speaker della Camera Alta ed esponente del partito socialdemocratico Giusta Russia, Sergei Mironov (3,9%). Quest’ultimo era in realtà un candidato solo nominalmente di opposizione, come dimostra il sostegno che diede a Putin nel 2004 nonostante in quella tornata elettorale fosse anch’egli in corsa per la presidenza.

Sempre secondo i dati ufficiali, l’affluenza alle urne sarebbe stata appena sopra il 63%, vale a dire di circa tre punti superiore alle elezioni parlamentari del dicembre scorso ma di sette punti inferiore rispetto alle presidenziali del 2008 vinte da Dmitri Medvedev.

Nella serata di domenica, un Putin insolitamente commosso ha festeggiato il successo di fronte ai suoi sostenitori in una piazza nei pressi del Cremlino con il presidente uscente al suo fianco. Proprio Medvedev, scelto da Putin nel 2008 per succedergli alla presidenza dopo aver raggiunto il limite di due mandati consecutivi previsto dalla legge, dovrebbe essere nominato primo ministro il prossimo mese di maggio, quando avverrà il passaggio di consegne ufficiale alla guida del paese.

Come già accaduto dopo le contestate elezioni per il rinnovo della Duma (Camera Bassa) del 4 dicembre scorso, anche domenica ci sono state migliaia di segnalazioni di brogli in tutto lo sterminato paese. Le accuse a Putin e al suo partito, Russia Unita, di avere ancora una volta manipolato l’esito del voto sono giunte in particolare dai leader del movimento di opposizione che sta organizzando le proteste di piazza contro il governo.

Molto dure sono state, ad esempio, le parole del popolare blogger anti-corruzione Alexei Navalny (già salito alla ribalta delle cronache nei media occidentali) il quale, oltre a denunciare irregolarità nel voto, ha lanciato appelli per nuove manifestazioni e una occupazione permanente a Mosca sul modello del movimento “Occupy Wall Street”. Lamentele sono state espresse anche dai candidati sconfitti, come Zyuganov che, pur ammettendo l’impossibilità di ottenere una revisione dei risultati definitivi, ha bollato il voto come “illegittimo e non trasparente”.

Molto critica è stata anche la missione degli osservatori OCSE, secondo la quale, malgrado tutti i candidati abbiano avuto la possibilità di fare campagna elettorale in maniera libera, ci sono stati “seri problemi” fin dall’inizio, dal momento che le condizioni erano “chiaramente a favore di uno dei candidati, l’attuale primo ministro Vladimir Putin”. Il coordinatore degli osservatori OCSE ha aggiunto che, mentre “un’elezione dovrebbe avere un esito incerto, questo non è stato il caso per la Russia, dove non c’è stata una vera competizione e l’abuso delle risorse del governo ha fatto in modo che il vincitore ultimo del voto non fosse mai in discussione”.

Dopo la valanga di denunce e le proteste del dicembre scorso, dunque, per il voto di domenica erano previsti migliaia di osservatori, ed erano state installate 180 mila web cam, al costo di 300 milioni di dollari, per documentare in tempo reale le operazioni di voto nei seggi. Ciononostante, le accuse di brogli sono state nuovamente numerose.

Tra le pratiche più segnalate ci sono il cosiddetto “voto giostra” – secondo il quale un gruppo di persone viene trasportato di seggio in seggio per votare più volte lo stesso candidato – e il “voto centralizzato”, dove dirigenti di aziende, scuole, ospedali e altre organizzazioni fanno pressioni sui loro dipendenti per esprimere la loro preferenza per un determinato candidato. Oltre a queste, ci sono state svariate altre segnalazioni di irregolarità diffuse, come il danneggiamento delle telecamere, l’allontanamento degli osservatori dai seggi, pressioni di vario genere sugli elettori e così via.

Le reazioni seguite alle più recenti elezioni parlamentari, tuttavia, sembra abbiano suggerito al Cremlino una certa cautela nel ricorrere ai sistemi più grossolani per manipolare l’esito del voto, almeno secondo quanto dichiarato dall’organizzazione indipendente Golos.

Sia pure in una situazione tutt’altro che regolare, la netta vittoria di Putin e il risultato deludente dei suoi rivali appaiono però principalmente come i segnali della ristretta base su cui possono contare le forze di opposizione che hanno animato le proteste delle ultime settimane in Russia. Il malcontento nei confronti di un governo corrotto, autoritario e che non ha saputo porre rimedio al deterioramento delle condizioni di vita della maggioranza della popolazione è in realtà assai diffuso.

Tuttavia, questi ambienti della borghesia urbana che si sono mobilitati contro il Cremlino intendono liberalizzare ulteriormente l’economia russa, suscitando così il sospetto delle classi più povere, le quali identificano correttamente tali tendenze con le conseguenze devastanti per decine di milioni di persone già ampiamente manifestatesi dopo lo smantellamento selvaggio dell’Unione Sovietica nella transizione al capitalismo.

L’appoggio più o meno esplicito fornito a queste forze dagli USA e dagli altri governi occidentali, con i quali esse chiedono rapporti più stretti, hanno poi ulteriormente contribuito ad allontanare ampi settori dell’elettorato. Non a caso, in campagna elettorale Putin ha fatto più volte leva sull’anti-americanismo, accusando Washington (con più di una ragione) di interferire nelle questioni interne della Russia.

Sul fronte economico, invece, ha modellato un messaggio in equilibrio tra l’appello populista nei confronti dei ceti più disagiati, così da metterli contro la borghesia urbana, alle lusinghe verso quest’ultima, con la promessa di intraprendere un percorso di liberalizzazione del sistema. E non é dunque un caso se il Partito comunista di Zyuganov, che condivide in buona sostanza le posizioni di Putin in politica economica e politica estera e rifiuta invece le ricette filo-Usa care al fronte liberale e filo americano dell’opposizione, arriva ad essere il secondo partito del Paese.

In definitiva, nel suo terzo mandato, Putin si troverà così a far fronte sia alle crescenti proteste di un’opposizione filo-occidentale che chiede maggiori spazi di azione politica, sia all’intensificarsi delle tensioni sociali a causa dell’allargamento delle disuguaglianze sociali nel paese. Il tutto mentre giungono segnali preoccupanti da un’economia dipendente dalle esportazioni energetiche e dunque in balia delle fluttuazioni dell’economia globale.

Sul fronte della politica estera, infine, i prossimi anni di Putin al Cremlino saranno segnati dalle tensioni sempre più evidenti con gli Stati Uniti dopo il fallito tentativo di riavvicinamento tentato per un breve periodo da Obama e Medvedev. Un conflitto quello tra Mosca e Washington che si incrocia con i divergenti obiettivi strategici delle due super-potenze su scala planetaria e che si sta manifestando in tutta la sua gravità attorno alla questione della Siria, dove gli interessi del Cremlino sono sempre più seriamente minacciati da un possibile intervento occidentale per rovesciare il regime di Assad.