Il limite, la violenza di G.Codrignani

Giancarla Codrignani
7 marzo 2012

No, cara Muraro, la nonviolenza non è la “predicazione antiviolenza di argomenti morali” e non c’è mai un tempo in cui “la violenza nelle cose e fra i viventi” comporti l’uso della forza. Le ragioni “fisiche e metafisiche” della forza sono facilmente contestabili perché, se è vero che fin dai presocratici sappiamo di non poter prescindere dal conflitto, nel terzo millennio nessuno può teorizzare la guerra come soluzione.

Per giunta la sapienza delle donne. che conoscono la violenza delle strutture di potere ma – anche e soprattutto – la violenza dei padroni del corpo femminile, insegna non solo l’indegnità, ma l’inutilità della forza.So bene che non a questo tu fai riferimento, anche se forse non pensi che a muoverti sia la paura. Perché io, per esempio, ho paura.

Io, però, non ho mai pensato al progresso come a un ideale: secondo la storia umana dall’antenato africano – ma anche da Romolo Augustolo – a noi c’è stata una tensione evolutiva che ci induce (anche se non tutti e in tutti i paesi) a vivere perfino meglio e più a lungo .Non c’è garanzia di continuità neppure del sole o della specie umana.

Però credo in un senso, il postulato di cui ho bisogno e che posso anche includere nella categoria del divino. Neppure ho mai pensato che le ideologie fossero per sempre: la sinistra contiene tanti nomi storici che credo di continuare a pensare perfino con affetto, ma la prima incrinatura è avvenuta proprio sulla forza identitaria e, poi, nazionalista, con la spaccatura fra interventisti e anti- nel 1914.

Certo, i partiti della sinistra – compresi quelli che con i nomi di Lottacontinua, Potop e, dopo, Rifondazione, Idv, perfino 5stelle hanno escluso di identificarsi come partiti – hanno fatto avanzare “le masse”, rimaste purtroppo vulnerabili da media e consumi. Vedo bene anch’io i rischi che il rullo compressore della crisi schiacci diritti e vite; ma non voglio “prevedere” l’uso della forza per nessuna legittima difesa.

Mi interessa sapere se possiamo “prevenire”. La politica è sempre internazionale. Più di trent’anni fa si lottava contro “l’imperialismo delle multinazionali”: era già la globalizzazione, ma non siamo riusciti a creare una globalizzazione culturale antagonista. L’economia è stata finanziarizzata e per giunta con titoli spazzatura e agenzie di rating inventate: quali proposte ci sono state per difendere i diritti? E’ evidente che adesso un mondo crolla e siamo in braghe di tela.

Che forza possiamo usare, se troppa gente porta i bambini la domenica ai centri commerciali a vedere cose tutte uguali e tutte brutte e finisce le giornate al videopoker?Monti e la Fornero significano lacrime e sangue? penso che solo la ragione e lo studio (sarò una prof, ma si studia troppo poco) possano far produrre proposte e correttivi e vie d’uscita dalla crisi per una più povera ma non peggiorata umanità.

Quale “forza” può evitare trasformazioni già in essere se non, appunto, la ragione che è “di per sé” nonviolenta? Viviamo immersi nel Mediterraneo come una portaerei e vediamo: che nessuno dei governi usciti dalle rivolte dei gelsomini è rassicurante per le diverse genti che aspiravano a miglior vita; che Israele medita sortite di forza contro un Iran uscito più minaccioso dalle elezioni; che la Siria è al crocevia di una crisi destinata a destabilizzare l’area; che in Turchia si penalizza l’informazione e non si risolve la questione kurda….

E intanto l’Europa non mette in funzione ad altissimo livello gli strumenti sia della diplomazia sia degli aiuti. E noi per primi ci neghiamo perché tiriamo già la cinghia. E intanto abbiamo ridotto senza cancellarli gli F45. Reagan e i Bush armavano alleati infidi, boicottavano i trattati di disarmo e non proliferazione, aprivano fronti di guerra…

Avevano per caso ragione?Abbiamo sempre detto come donne, da Lisistrata in poi, che i conflitti si attraversano, si snodano, si sfarinano. Si prevengono. Lo abbiamo sempre detto perché partiamo dal senso del limite, contro ogni forma di hybris. Non è che, “al limite”, resta il possibile ricorso alla violenza (o antiviolenza): la violenza è, in ogni caso, “il” limite.