Contrari, ma con realismo. La chiesa cattolica di fronte alla sentenza sulle coppie gay

Valerio Gigante
Adista Notizie n. 12/2012

Le coppie che desiderano divorziare in tempi rapidi godono, da diversi anni, di un escamotage: recarsi in un altro Paese dell’Unione Europa (spesso è la Spagna o la Romania, che propone pacchetti ad hoc assai convenienti anche sotto il profilo economico) e poi, una volta ottenuta la sentenza di divorzio, tornare in Italia e chiedere all’Ufficio dello Stato Civile del comune nei cui registri risulta trascritto il matrimonio che il nuovo atto venga registrato. Così si è divorziati a tutti gli effetti anche in Italia.

Se per il divorzio, in attesa che anche qui arrivi quello “breve”, esiste questa possibilità, non vale lo stesso per il matrimonio omosessuale, nonostante molti Paesi Europei già lo prevedano nella propria legislazione.

O almeno, non ancora. Lo ha mostrato, recentemente, il caso di una coppia gay di Latina che, dopo essersi sposata all’Aja, in Olanda, nel 2002, aveva chiesto la trascrizione del certificato di nozze, come atto pubblico, al Comune di Latina dove erano e sono tuttora residenti. Al rifiuto del Comune, la coppia ha fatto ricorso sia in Tribunale che alla Corte d’Appello di Roma, ma i ricorsi sono stati entrambi respinti. Di qui l’ulteriore istanza in Cassazione, dove la Prima Sezione Civile ha confermato (sentenza 4184/12) il rigetto del ricorso ma, all’interno di una articolata motivazione di circa 80 pagine, pur riaffermando che la legislazione vigente in Italia non permette la registrazione di un matrimonio tra persone dello stesso sesso, mette per iscritto che la coppia di Latina ha diritto a «un trattamento omogeneo a quello assicurato dalla legge alla coppia coniugata». Insomma, il matrimonio no, perché quello deve essere esplicitamente previsto da una legge (che la Corte sollecita implicitamente a predisporre).

Ma, nell’attesa, la Cassazione afferma che i diritti delle coppie coniugate non solo vanno equiparati a quelli delle coppie di fatto, principio in molti casi già riconosciuto, ma che nella definizione di un rapporto di coppia l’identità sessuale è irrilevante. In definitiva, la Corte ha riconosciuto alle coppie gay il «diritto a una vita familiare» e a «vivere liberamente una condizione di coppia», con la possibilità, a «specifiche situazioni», di essere trattate in modo «omogeneo a quello assicurato dalla legge alla coppia coniugata» (esempi di possibile applicazione della sentenza: i mutui cointestati, le eredità, i lasciti, l’assistenza al partner ricoverato, le adozioni, ecc.).

Una sentenza a due facce, quindi, che da una parte ribadisce un divieto, dall’altra apre a un riconoscimento delle coppie gay come coppie titolari di diritti. In generale, prevale comunque la critica “a bassa intensità”. Nulla a che vedere, insomma, con l’altissima intensità del fuoco di fila cattolico su analoghi temi “eticamente sensibili”. Incide su questa scelta anche la consapevolezza che la cornice europea obbligherà, prima o poi, anche l’Italia ad aprire la propria legislazione alle coppie gay.

Alcuni tra i media della gerarchia ecclesiastica e le associazioni cattoliche “istituzionali” danno della sentenza una lettura più preoccupata, che mette l’accento sulle “novità” del dispositivo; altri forniscono una interpretazione più “rassicurante”, che sottolinea piuttosto la riaffermazione del principio che le coppie omosessuali, dentro l’attuale cornice legislativa, non possono far valere il diritto a contrarre matrimonio.

Sentenza pericolosa

Cominciamo dai primi. Radio Vaticana sceglie (15/3) di far commentare la notizia a Francesco D’Agostino, presidente dei Giuristi Cattolici Italiani, che sposa la linea più dura: «Quanto più il matrimonio viene interpretato come un’esperienza eticamente ed antropologicamente fragile, e priva comunque di un grande spessore sociale, tanto più diventa facile equiparare al matrimonio esperienze di rapporto – come quella omosessuale – che con il matrimonio autentico hanno ben poco a che fare, ma che possono diventare apparentemente simili al matrimonio quando il matrimonio eterosessuale viene progressivamente svuotato di senso, di valore o di dignità».

Anche i toni del quotidiano dei vescovi Avvenire sono polemici: “Cassazione, altra sentenza creativa”, era il titolo, in prima pagina, il 16 marzo (“altra” perché la Prima Sezione è la stessa che, nel 2008, si pronunciò sul caso di Eluana Englaro). Il quotidiano della Conferenza episcopale italiana parla di «interpretazione-auspicio choc della Prima Sezione» e nelle pagine interne titola: “Nozze gay, Cassazione fuori strada”. Nell’editoriale, firmato dal giurista Alberto Gambino, si dice che il «riconoscimento di un “diritto alla vita familiare” delle coppie gay si pone in aperto contrasto con il complesso delle norme in materia familiare.

A meno di non voler intendere che “vita familiare” sia ormai diventato sinonimo di qualunque forma aggregativa, dai club sportivi, alle “famiglie” aziendali, per passare ai vincoli solidaristici delle associazioni di tendenza». Segue un’intervista a Cesare Mirabelli, ex presidente della Corte Costituzionale che parla di «strappo», in riferimento a quel passaggio della sentenza che ha definito come «radicalmente superata» la concezione secondo cui la differenza di sessi non è presupposto indispensabile al matrimonio.

Per Francesco Belletti, presidente del Forum delle associazioni familiari, «l’identità tra famiglia e relazione eterosessuale nel progetto matrimoniale è un valore storico culturale, ma è anche un dato normativo che corrisponde alla tradizione del nostro Paese e di cui siamo orgogliosi».

Sentenza innocua

Profilo nettamente più basso quello scelto da Famiglia Cristiana che sul suo sito internet (www.famigliacristiana.it) parla di «sentenza creativa» che «sta facendo molto discutere», riferendo poi il contenuto della sentenza senza addentrarsi in ulteriori commenti.

È invece rovesciata rispetto a quella dell’Avvenire la lettura fatta dall’Osservatore Romano (16/3). “La Cassazione italiana sulle coppie omosessuali. Ribadita l’inidoneità al matrimonio e il diritto dello Stato a legiferare liberamente in materia’’, è il titolo del quotidiano vaticano (16/3) che si limita a fare la cronaca della sentenza, per poi lasciare la parola ai commenti di Cesare Mirabelli e Francesco D’Agostino sull’Avvenire, ampiamente virgolettati.

Tra i politici di centrodestra, non ci si “straccia le vesti”: segno che la sentenza è avvertita come ineluttabile. Rocco Buttiglione da una parte raffredda «gli entusiasmi di chi pensa che la recente pronuncia della Cassazione abbia introdotto in Italia il matrimonio omosessuale»; dall’altra assume «l’indignazione di quelli che, per la medesima ragione ma con valutazione opposta, sono pronti a rimproverare aspramente i nostri giudici». Per Buttiglione è logico che due cittadini europei dello stesso sesso uniti in matrimonio in un Paese comunitario in cui viga il matrimonio omosessuale abbiano diritto, in Italia, a godere delle protezioni giuridiche di cui godono nel loro Paese. «Per l’ordinamento italiano il loro non sarà un matrimonio ma se, per caso, uno dei due dovesse morire l’altro erediterebbe secondo i principi che nel loro Paese regolano la successione fra coniugi. Questa – spiega – è semplicemente una conseguenza di un principio generale del diritto europeo che è quello del mutuo riconoscimento. Ogni Paese tutela nel proprio ordinamento le situazioni giuridiche lecitamente costituite nell’ordinamento di un altro Paese membro. Nulla di nuovo sotto il sole».

Morbido anche l’approccio del leader dell’Udc Pierferdinando Casini: «Le coppie omosessuali hanno diritto alla loro affettività e a essere tutelati nei loro diritti: se convivo da trent’anni con una persona, in tema di asse ereditario bisogna essere sensibili a quella persona che ha convissuto con me», ha detto Casini a Otto e Mezzo (16/3): «Naturalmente il matrimonio nella giurisdizione italiana è una cosa diversa, riguarda un uomo e una donna ma i diritti devono essere gli stessi».

La Chiesa che plaude alla sentenza

Ma i cattolici non esauriscono il panorama delle Chiese cristiane. La Chiesa valdese e metodista, ad esempio, il cui Sinodo, già dal 2010 aveva dato il via libera alla benedizione nel tempio delle coppie dello stesso sesso (per le Chiese che si richiamano alla Riforma, infatti, il matrimonio non è un sacramento) plaude alla sentenza senza riserve. «Sono convinta – ha detto la moderatora della Tavola valdese Maria Bonafede – che fosse necessario allargare il concetto di famiglia ai diversi rapporti affettivi stabili e soprattutto che si allarghino i diritti ai soggetti di queste unioni, ad esempio quello alla reversibilità della pensione o quello di visita in ospedale o nei luoghi di detenzione. Mi rallegro quindi sia della decisione della Cassazione, sia di quella del Parlamento Europeo».