Isolotto, un processo di G.Codrignani

Giancarla Codrignani

Sono stata molto contenta dell’invito rivoltomi dagli amici della Comunità dell’Isolotto di Firenze a presentare il libro che rifà la storia di una pagine importante della storia della libertà religiosa in Italia e della vitalità di un cristianesimo proposto dal Concilio Vaticano II e ancor oggi osteggiato da molte curie (1).

Cercherò di sottolineare tre elementi: la contestualizzazione del fatto, il ricordo del grande prete italiano che fu Enzo Mazzi, la lezione giuridica di Lelio Basso, difensore dell’Isolotto nel processo del 1971.

Quanto al contesto, occorre ricordare che l’Isolotto nasce come nuovo quartiere popolare nel 1954, quando si formavano le città-satelliti e quando il sindaco La Pira – che, per politiche “troppo sociali” nelle elezioni del 1966 non fu ripresentato nelle liste elettorali della Democrazia Cristiana – pensava alla dignità delle case per i fiorentini più svantaggiati. Si costruì allora anche la chiesa e fu nominato parroco un giovane prete, Enzo Mazzi (poi coadiuvato da don Gomiti e don Caciolli).

Gli anni che precedettero il mitico “sessantotto” erano anni tumultuosi: maturava una classe operaia consapevole, si facevano strada i diritti civili tra i mille ostacoli del vecchio ordine, nel mondo l’ansia di liberazione dei popoli oppressi animava la solidarietà internazionalista, arrivava perfino un pontefice imprevisto che, dopo Pio XII, donava alla chiesa cattolica un Concilio rinnovatore.

Tanti furono gli episodi di rinnovamento e partecipazione liberatoria anche nel mondo cattolico. Tra i molti da segnalare l’occupazione, nell’ottobre del 1968, del duomo di Parma da parte di credenti che contestavano l’investimento – poco coerente con una “chiesa dei poveri” – per una nuova cattedrale.

La Comunità dell’Isolotto, che era nata e si era consolidata dopo il Concilio insieme con don Mazzi, inviò una lettera solidale: il vescovo, mons. Florit, non gradì e l’Isolotto divenne “eretico”, solo perché seguiva le indicazioni del Concilio in controtendenza con la paure clericali nei confronti di ogni legittima autonomia laicale. E arrivarono sia il 29 dicembre, quando si presentò don Ernesto Alba, inviato dal vescovo e accompagnato da un gruppo di persone estranee alla comunità e da notori picchiatori dell’allora Msi, per celebrare una messa tradizionale, sia il 5 gennaio, quando si ripeté l’arrivo di don Alba che, contestato, chiese un gradimento che, per alzata delle mani di tutti, gli fu negato.

Due giorni dopo si recò in questura – quella questura che aveva autonomamente denunciato il segretario del Msi e il gruppo neofascista per l’aggressione squadrista – per sporgere denuncia dell’accaduto. I reati che saranno contestati e porteranno l’Isolotto (e non i fascisti) in tribunale sono “istigazione a delinquere” e “turbamento di funzioni religiose del culto cattolico”.

Il parroco, don Mazzi, per obbedienza lasciò le chiavi della parrocchia alla curia: Florit riaprirà la chiesa il 31 agosto sconfessando la “comunità cristiana” (solo molti anni dopo il card.Piovanelli andrà più volte amicalmente all’Isolotto e nel 1992 il Sinodo diocesano procederà alla sua “riabilitazione”). In agosto è estate e l’Isolotto incominciò a celebrare in piazza.

E’ molto importante ricordare, a questo punto, la grandezza di don Enzo Mazzi, un uomo di valore, che fu prete fedele al Vangelo e alla stessa Chiesa che lo perseguitava. Un amico che, venendo da fuori Firenze all’Isolotto, anche noi forestieri incontravamo con emozione e che addolora pensare scomparso, anche se rivive nella Comunità che si rinnova. Era stato ordinato ai tempi di Pio XII, il papa della scomunica al comunismo; erano i tempi in cui il Vaticano vietava all’Università cattolica di dare la laurea honoris causa a Maritain e troncava l’esperienza dei preti operai.

Erano anche i tempi delle lotte operaie, dell’impegno di liberazione dei popoli oppressi, dell’umanesimo sociale e, successivamente, delle guerre a bassa intensità, delle repressioni, delle trame più o meno nere che hanno corrotto lo Stato come profetizzava la celebre denuncia di Pasolini (“io so chi è il colpevole…. ma non ho le prove”). Enzo riconobbe la Chiesa del suo Vangelo quando Papa Giovanni XXIII abbracciò pubblicamente don Mazzolari e il Concilio aprì le porte a tutti, a partire dai poveri.

Era già il “diritto al sogno” di cui parlava Giovanni Franzoni e la visione dell'”uomo planetario” che descriveva Ernesto Balducci. Enzo è rimasto sempre fedele a questa speranza, che troppo pochi laici hanno accolto e secondato: il Concilio aveva dato loro autorità, ma i laici non se la sono presa, mentre la Chiesa aveva bisogno, per rinnovarsi, dello spirito che veniva dal basso. Adesso ci resta un compito più difficile: ripartire da quei confini che molti hanno abitato senza riuscire a farne territori liberati (2).

Elemento centrale di questo incontro, tuttavia, è il fare memoria del processo e, in particolare, l’arringa della difesa, tenuta da un altro amico scomparso da cui personalmente ho imparato molto, Lelio Basso. Non entro nel merito della causa, perché interverrà dopo di me Beniamino Deidda, che fu la parte civile coraggiosa e coerente sia con i principi deontologici sia con la libertà di coscienza.

Mi piace comunque elencare passi dell’arringa per dimostrare la grandezza di un uomo a cui siamo tutti debitori di gran parte dell’art.3 della Costituzione e che si definiva ateo, ma che difese i diritti della Comunità dell’Isolotto con una finezza e una forza derivate dallo studio consapevole di una problematica giuridica che diventava per necessità teologica. Fu un’autentica lezione di diritto impartita ad un tribunale che aveva accolto una denuncia insensata in quello che Basso definisce profeticamente un tempo “di transizione dell’umanità forse da un’epoca ad un’altra”.

Gli imputati dovevano rispondere di due reati, uno essenzialmente penalistico, l’istigazione a delinquere – che, trattandosi di una libera assemblea, era stato accolto dalla pubblica accusa secondo una concezione arretrata e poliziesca della legge – e, strettamente collegato, il turbamento di funzioni religiose del culto cattolico.

Bisognava dunque che il difensore chiarisse fin da principio che cosa si intende per funzione religiosa: Basso illustrò le Costituzioni conciliari del Concilio Vaticano II, la Sacrosanctum Concilium, la Sacra Liturgia e la Lumen Gentium per derivarne che, se non vi è partecipazione cosciente, attiva e fruttuosa (scienter, actuose et fructuose dice il latino del testo), non c’è liturgia. Il Popolo di Dio, infatti, nella Lumen Gentium precede la Gerarchia: “tutti i credenti in Cristo, non i sacerdoti – ricordava – costituiscono un sacerdozio regale, una gente santa (perché) il fedele è celebrante, non è più un soggetto passivo… Abbiamo un popolo di fedeli che è un popolo di sacerdoti”.

Aggiungendo che la stessa infallibilità era stata rinnovata (in credendo, non in docendo) sostenne che l’obbedienza stessa trovava nuove motivazioni, non più gerarchiche: se, infatti, il laicato partecipa del ministero profetico, del ministero sacerdotale ed è associato al governo della Chiesa, i laici “vogliono ancora appartenere a un solo gregge sotto la guida di un solo pastore, ma non vogliono più essere trattati come pecore”.

D’altra parte, se Matteo dice “Quando tu porti la tua offerta all’altare, se ti sovvieni che tuo fratello ha qualcosa contro di te, lascia la tua offerta davanti all’altare e vai a riconciliarti con tuo fratello,… Monsignor Alba non si è ricordato di questo quel giorno che avvisò la polizia invece di andare a riconciliarsi con il fratello”. “La Costituzione della Chiesa rovescia la piramide: mette la base al vertice, ponendo in evidenza il fatto che Dio chiama tutti gli uomini che credono in Gesù Cristo a riunirsi in un solo popolo… Tale è la Chiesa, il Popolo di Dio; tutto il resto, anche il cardinal Florit, in certo senso è accidentale”.

Evidentemente, se la gerarchia è ministero, servizio, “il ruolo dell’autorità è di preservare la coesione del gruppo, non di disperderlo, di frantumarlo… Per piegare e disperdere un gruppo perde la sua autorità, perché viene meno all’obbligo del servizio: lo Spirito era sicuramente presente al Concilio e quindi anche se i Vescovi non hanno capito, la verità trovava la sua forza ben al di sopra di loro”. Quanto alla messa, “l’attualizzazione di una comunità eucaristica non ha per scopo di ritirarsi dal mondo per passare un’ora assieme. Essa deve essere riferita alla vita concreta, alla vita di ogni giorno. E’ quello che appunto faceva la Comunità dell’Isolotto… La celebrazione della messa non è una parentesi della nostra vita, dove noi veniamo per dimenticare. Noi veniamo, al contrario, quali noi siamo… testimoni di Cristo nel mondo. Che cosa volete che risponda a questa concezione della messa monsignor Alba che pretende di celebrare, di pronunciare delle formule rituali di fronte ad un popolo che non ne vuole sapere?”

Basso, poi, ricordava, a conferma del diritto dei laici di richiamarsi alla Costituzione Lumen Gentium, le innovazioni delle comunità dell’America latina, la stessa – pur contrastata da chi non capiva il senso nuovo che veniva proposto – lingua nazionale nelle celebrazioni a sostituzione di un latino ormai incomprensibile, e il riconoscimento, confermato dal Congresso di trecento teologi nel 1970 a Padova, della superiorità della coscienza personale del credente perfino sul papa. Tornando all’art. 405 del codice penale che configura un reato contro il sentimento religioso, chiedeva “ma voi potete pensare veramente che i fedeli dell’Isolotto, che hanno vissuto una delle esperienze più religiose più intense che si siano vissute in questo periodo… voi potete veramente pensare che costoro si proponessero di offendere il sentimento religioso?”. Facendo poi il punto sull’art. 415, sull’istigazione a disattendere le leggi, “di questo passo, il Pubblico Ministero, se fosse vissuto a quell’epoca, avrebbe incriminato Gesù Cristo che, quando è entrato nel Tempio e ha scacciato i mercanti, ha turbato quella funzione”.

Infine, testimoniando in prima persona (alla prima seduta del Concilio “ho assistito personalmente, credo unico degli uomini politici della sinistra”), rilanciò la speranza, sulla parola di Giovanni XXIII: “si apriva un nuovo periodo nella storia della chiesa”, sempre peregrinante, come la definì Agostino, in un cammino “interrotto dalla fissità del dogmatismo”, verso la verità, come la chiedeva Pilato: “i cristiani aspettano ormai da duemila anni questa risposta che da Cristo non è venuta perché Pilato se n’è andato e che la Chiesa non ha saputo mai”.

Nemmeno l’Isolotto ha dato o dà la risposta. Ma ha posto correttamente alla sua chiesa qualche domanda.

1) “Il processo all’Isolotto”, a cura della Comunità dell’Isolotto, Introduzione di Enzo Mazzi, ed. manifestolibri, 2011
2) Ricordiamo che l’Archivio dell’Isolotto resta un patrimonio per il futuro della memoria