La sfida morale della Pasqua

Filippo di Giacomo
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Per quasi quattro secoli, pasqua ebraica e pasqua cristiana hanno camminato insieme. Poi, con la creazione dei grandi patriarcati apostolici e con la necessità di tradurre il vangelo in tutte le culture che incontravano Cristo, la Chiesa ha avuto bisogno di cercare nuovi segni. Ma il ciclo di una settimana, tipico della pasqua ebraica, è rimasto anche in quella cristiana, iniziando con la domenica delle palme.

Di sette giorni è il ciclo che la Bibbia indica come necessario alla creazione del mondo, e in sette giorni anche la Chiesa ricrea simbolicamente l’alfabeto che permette ai credenti di riconoscere Cristo Risorto. Mediante simboli semplici e universali: la folla con i rami di ulivo che acclama la pace, il pane condiviso, il vino che rallegra cuori e menti, il servizio per il bene comune, l’acqua e la luce indispensabili a ogni forma di vita, i patiboli a cui inchiodare gli sconfitti di tutti i tempi, senza che la vittoria temporanea di un uomo o di un sistema sociale o politico annulli il senso di un’umanità che può essere umiliata ma certo non sconfitta.

Dunque, aria, acqua, pane, vino, luce, ovunque sulla terra e per ogni creatura. Non a caso, la domenica delle Palme, inizia ad essere festeggiata alla fine delle grandi persecuzioni del II e III secolo. Con il Messia portato in trionfo su di un asino, cavalcatura disprezzata dai potenti e dai guerrieri del tempo, i cristiani introducono così la coscienza che Pessah, Pasqua (che significa “passaggio”) poteva permettere anche una fantasia creatrice per costruire società slegate dalle ragioni della forza e della violenza.

E questo, partendo dal suo interno, da quelle “società” strutturate entro paradigmi culturali e interpretativi (magari, gestiti dai chierici), è ciò che il Vangelo, soprattutto oggi, sembra di nuovo drasticamente porre sotto esame. Durante questa settimana santa, un omosessuale che partecipi ai riti della Passione, come ogni credente, si ritroverà solo in compagnia di quegli «ammalati e peccatori» che il Cristo ha detto di essere venuto a chiamare. Ebbene, quando si affrontano scelte squisitamente individuali, bisognerebbe liberarsi dall’ossessione che tutto debba essere sempre regolato da norme generali. Un consiglio questo, che per la Chiesa comporta l’impegno di un’esegesi critica dei testi biblici sull’omosessualità, la demolizione di pregiudizi secolari sul diritto naturale, la riflessione profonda sul quadro biblico e antropologico dell’uomo, l’ammissione delle più vaste conoscenze fornite dalle scienze sperimentali, la fraterna considerazione della natura concreta e unica dei fedeli omosessuali, un maggiore rispetto delle loro coscienze.

Ovviamente, anche per gli omosessuali questo comporta l’onere di assumere la fatica che il Vangelo impone quando diventa storia. E magari anche il peso di ricordare, come ha scritto Stefano Rodotà, un laico a prova di bomba, che quando si sceglie come e con chi vivere, bisogna liberarsi dal pregiudizio che tutto debba essere regolato dal diritto. Perché la luce di Pessah, Pasqua, così come ha fatto con i cristiani dell’età post-apostolica, non riesce a dare alle comunità cattoliche istituzionali la fantasia di comprendere (e di far comprendere) cosa è (o può essere) “mutevole” e cosa è (o può essere) “intoccabile” nella morale cattolica?

Racconta Andrea Tornielli nel suo ultimo articolo: «Un giovane austriaco che convive con il proprio compagno e ha registrato la sua convivenza come previsto dalle leggi del suo Paese, è stato eletto a gran maggioranza nel consiglio pastorale della parrocchia di Stützenhofen, a nord di Vienna. E il cardinale Cristoph Schönborn ha ratificato la sua elezione contro il parere del parroco… Il giovane ha chiesto udienza al cardinale Schönborn, che ha invitato a pranzo lui e il suo convivente. .. (Dopo l’incontro).. Il cardinale racconta… di essere rimasto «profondamente impressionato» dalla fede di Stangl, «dalla sua umiltà, e dal modo in cui egli concepisce il suo servizio», affermando di aver capito perché i parrocchiani «hanno votato in modo così deciso per la sua partecipazione al consiglio pastorale».

Dopo il Gay Pride del 2000, e le polemiche che lo accompagnarono, don Luigi Ciotti scrisse a uno dei principali quotidiani nazionali per raccontare come, a Milano, Torino, Lecce, Bologna e in altre diverse città, le realtà ecclesiali stavano costruendo la Chiesa senza erigere muri e barriere. E a Roma, per decenni, don Luigi Di Liegro ha testimoniato un sacerdozio moralmente intransigente, ma capace di aprire braccia e cuore alle ragioni di qualunque diversità morale e sociale. Iniziando questa Pasqua, domenica scorsa, il Papa ha detto: «Lo sguardo che il credente riceve da Cristo è lo sguardo della benedizione: uno sguardo sapiente e amorevole, capace di cogliere la bellezza del mondo e di compatirne la fragilità». In Austria, in Italia, ovunque, sempre, per chiunque…