La prima emergenza è l’illegalità

Guido Rossi
Il Sole 24 Ore, 15 aprile 2012

Il dare, con disprezzo a volte, con alterigia sempre, la responsabilità dei nostri mali ad altri è il più radicato costume nazionale.

Ma certamente non è colpa né della Grecia né della Spagna, o di altri ancora, se la fase di crescita del Paese parte solo a parole, mentre la disoccupazione, giovanile e non, aumenta e le imprese soffocate dalla mancanza del credito falliscono, e la situazione delle famiglie nonché della povertà esistente e incombente è fin troppo nota per doverla ancora sottolineare.

Il nostro male peggiore, che si è radicato nella vita economica, nella vita sociale, in quella culturale e in quella politica, fino a minare le fonti principali della ricchezza e del benessere del Paese, nonché i principi stessi della democrazia e della sovranità popolare ha un nome: illegalità. L’illegalità che in Italia non è solo rappresentata da atti contrari o proibiti dalla legge, ma sovente anche da consuetudini di vita rese possibili dalla mancanza di leggi efficaci, poiché per troppo tempo il nostro legislatore si è preoccupato di rendere legali interessi privati illeciti, e si è disinteressato di adeguare il nostro ordinamento ai principi di una democrazia costituzionale, e ai Trattati internazionali che pur a volte sono stati sottoscritti.

Non sono queste, certo, osservazioni personali che riguardano i più recenti scandali di corruzione anche nell’ambito dei partiti politici e della sanità, quanto piuttosto il rapporto, diviso in due parti, del 23 marzo 2012 del Consiglio di Europa adottato dal Groupe d’Etats contre la corruption (GRECO).

La prima parte del rapporto, con una spietata requisitoria, riguarda l’accusa all’Italia per la pessima legislazione sulla corruzione rispetto a quella degli altri Paesi europei e in particolare per non aver ancora ratificato né la Convenzione sulla corruzione del 27 gennaio 1999, né il Protocollo aggiuntivo del 15 maggio 2003. La conclusione finale, che è composta da ben nove raccomandazioni, ha come prima di esse proprio quella della ratifica della Convenzione, e non ultimo l’invito a esaminare nel profondo la fattispecie della concussione e di provvedere adeguatamente.

La Commissione invita le autorità italiane ad autorizzare il più presto possibile la pubblicazione del Rapporto, a tradurlo nella lingua nazionale e a rendere pubblica questa traduzione. La seconda parte della requisitoria riguarda la trasparenza dei finanziamenti ai partiti e le stesse raccomandazioni di questa seconda parte fanno pensare con raccapriccio a quella che sopra ho chiamato, quasi fosse un ossimoro, “illegalità per mancanza di legge”.

I partiti politici italiani, a cui l’articolo 49 della Costituzione pur ha dato lo straordinario compito di “concorrere con metodo democratico a determinare la politica nazionale” sono libere associazioni, sprovviste di uno Statuto giuridico di rilievo, pur maneggiando senza controlli una quantità ragguardevole di denaro pubblico, che non sarebbe certo indifferente al pareggio del bilancio dello Stato. L’invito a provvedere velocemente, a colmare queste gravi lacune, non ha certo sorprendentemente avuto la stessa efficacia della famosa irrituale lettera della Bce, che ha condizionato la politica del nuovo Governo.

L’illegalità di cui ho parlato, come male cronico del Paese, si articola in un triangolo spietato con ai vertici la corruzione, l’evasione fiscale e il riciclaggio. Voci più autorevoli della mia sono già intervenute su questo argomento, anche di fronte alla Commissione Giustizia della Camera. Per esperienza personale ho incontrato imprenditori che lamentavano la concorrenza di altri imprenditori, imbattibili per i fondi di cui disponevano riciclando denaro della criminalità organizzata. Una nuova forma di concorrenza? Tecnicamente né “sleale”, né “antitrust”, si tratta piuttosto di concorrenza “da illegalità”.

Ma che dire? Se è vero che fin quando non si risolve questo costume all’illegalità e si “cacciano le farfalle sotto l’Arco di Tito” son certe due cose: la prima che gli investimenti esteri ad aiutare la crescita del Paese sono con buona ragione latitanti e la seconda è che stanno aumentando dall’Italia, come è stato ampiamente dimostrato, le fughe di capitali, senza parlare di quelle dei cervelli, perché anche i centri di eccellenza straordinari, che pur l’Italia possiede, vengono soffocati dai tagli che, invece di colpire la politica, si riversano sulla sanità pubblica e sull’istruzione. Senza pensare che quando questi centri di eccellenza saranno definitivamente asfissiati e smantellati, anche la crescita e la rinascita economica, purtroppo necessariamente indirizzate altrove, non saranno più in grado di ricostituirli. Ma la responsabilità sarà sempre degli altri.

Per chiudere questa sorta di rassegna, che oltre a una predica inutile pare una geremiade, vale la pena di ricordare al Governo e al Parlamento e a tutta la classe politica, che per evitare il pericoloso triangolo dell’illegalità vi è almeno un provvedimento più urgente di ogni altro, e di tutto il “cacciare le farfalle sotto l’Arco di Tito”, ovvero ripristinare come reato societario il falso in bilancio, che non solo secondo nostrane voci autorevoli, ma anche secondo l’Ocse, è il vero ed efficace strumento per combattere corruzione, evasione e riciclaggio. Mi pare allora necessario ricordare in chiusura il titolo di un importante libro di uno dei maggiori giuristi viventi, il tedesco Winfried Hassemer, Perché punire è necessario, appena tradotto in Italia dal Mulino.

La sanzione di vergogna, ahimé in Italia non ha mai funzionato. Non c’è allora più tempo da aspettare.