Servire Dio e lo Spread di R.LaValle

Raniero La Valle
Rocca, n°9/2012

Il martedì nero è stato un brutto risveglio dopo la radiosa notte di Pasqua. Lo Spread, cioè il differenziale tra i titoli italiani e tedeschi, è schizzato di nuovo sopra quota 400, come ai peggiori tempi di Berlusconi, e le Borse sono sprofondate. Il magico professor Monti, che si trovava in Egitto, ha fatto sapere che lui non poteva farci niente, che la cosa non dipendeva da cause “endogene”, cioè italiane. Erano i Mercati. Gli speculatori, cioè i signori del Mercato, avevano preso un’altra rincorsa per arricchirsi a spese nostre e di altre economie dell’Occidente. Poi si sono ritirati, fino alla prossima occasione.

La delusione è stata cocente. Noi avevamo fatto tutto per lo Spread. Per lo Spred avevamo mandato via Berlusconi, dopo non esserci riusciti per anni per altre cose, anche più gravi, che stava facendo ai danni della Repubblica. Per lo Spread avevamo venduto l’anima, e la politica, a una squadra di tecnici che sembrava fossero gli unici a sapere che cosa si dovesse fare (né mancavano di dircelo). Per lo Spread avevamo gettato nella disperazione quelli che avrebbero dovuto essere pensionati e d’improvviso più non lo furono.

Per lo Spread avevamo tolto soldi ai Comuni e alle Imprese, togliendo assistenza ai vecchi, asili ai bambini, guide ai ciechi, e mettendo in mezzo alla strada lavoratori nel pieno della loro capacità operativa. Per lo Spread avevamo aumentato le tasse, di ogni genere e misura. Per lo Spread avevamo aperto a freddo un conflitto caldissimo sull’art. 18 e sui diritti del lavoro. Per lo Spread avevamo liberalizzato perfino i tassì, che ora riempiono tutte le strade e non sappiamo dove metterli. Ed ecco che lo Spread si rivolta contro di noi, non era un idolo a cui bastassero i sacrifici umani. E ci dicono che non c’è niente da fare, bisogna stare nei rifugi aspettando che finiscano i bombardamenti, come quando c’era la guerra, e qualcuno ancora se lo ricorda.

Ma a chi è posta la questione? La questione non è posta all’economia, è posta alla politica. Perché l’economia, dopo che le abbiamo sciolto le briglie, le abbiamo tolto lacci e lacciuoli, le abbiamo permesso di battere non solo moneta, ma derivati, usure e prodotti finanziari di ogni tipo, corre libera e felice lì dove trova profitti rendite e potere. Ma è stata la politica che ha fatto questa scelta. È lei che si è invaghita del liberismo, che nemmeno Einaudi immaginava così incontrollato. E a rovesciare le conquiste costituzionali e internazionaliste del dopoguerra, prima sono arrivate le politiche reaganiane e tatcheriane, poi le politiche dei neofiti del capitalismo nei Paesi dell’Est, poi le politiche subalterne delle sinistre europee, di Tony Blair, dei partiti postcomunisti.

La conseguenza è che gli Stati, le democrazie, non hanno più in mano gli strumenti per governare il corso delle cose. Non la moneta, non la leva del credito, degli investimenti, delle politiche industriali, delle partecipazioni statali. Siamo in mano a poteri incondizionati e incontrollabili, siamo affidati a automatismi che nessuno può fermare. Abbiamo manomesso anche la Costituzione, facendo del pareggio di bilancio non un’opzione politica ma un obbligo giuridico, e in quattro e quattr’otto abbiamo cambiato l’art. 81; e quando entrerà in vigore il “Fiscal compact” firmato a Bruxelles, i governi dovranno andare a giustificare le loro politiche economiche non davanti ai Parlamenti ma alle Corti di giustizia.

Un monito si leva allora da questa lezione: non compiamo altri atti irreversibili, che ci mettano in condizioni di sempre maggiore impotenza. Non continuiamo a fare scelte che decidano per noi una volta per tutte. Non continuiamo a firmare trattati, a cambiare Costituzioni, a alienare diritti per cui, ai figli che chiedono pane, dovremo dare pietre, dicendo che è Maastricht, che è l’euro, che è il Patto di stabilità, che è la Banca centrale, che è il debito.
Cioè, torniamo alla politica. Chi non vede che la crisi dei partiti sta anche nel fatto che in realtà non possono fare più nulla per dare vere risposte, per dare aiuto alla vita della gente che rappresentano? La Repubblica non può fare più nulla di quelli che sarebbero i suoi compiti secondo la Costituzione: garantire, tutelare, curare, provvedere, rimuovere gli ostacoli che impediscono il pieno sviluppo della persona umana, e così via. E non potendo fare nulla per il bene comune, i partiti sono rimasti senza causa. È rimasto solo il potere, e la lotta per il potere. È colpa loro, hanno tagliato i rami su cui erano seduti.

Ed è qui il vero incentivo alla corruzione: i soldi dei finanziamenti statali, non impiegati per mettere in grado i partiti di fare politica, di servire gli interessi pubblici, sono destinati, dai partiti disonesti e dagli amministratori infedeli, ai godimenti privati. Non solo perciò bisogna rendere trasparenti i soldi dei partiti, ma bisogna vincolarli a fini sociali. Se non vogliono più fare i comizi, che almeno facciano una scuola.