Rappresentanza politica e riunificazione sociale

Franco Astengo
www.paneacqua.eu

Sono cominciate le grandi manovre (facilmente prevedibili da molto tempo) in vista di un complessivo riallineamento del sistema politico italiano attorno ad un asse diverso da quello attorno al quale ha ruotato nel corso degli ultimi 20 anni: un riallineamento che avrà, con tutta probabilità, un impatto ancora più forte di quello determinatosi con la caduta del Muro di Berlino, Maastricht e Tangentopoli sugli allora viventi partiti di massa.

I sommovimenti al centro del sistema, evidenziatisi proprio in questi giorni, rappresentano soltanto le prime avvisaglie: la crisi economica con le sue originali sfaccettature rappresenta un’occasione troppo ghiotta per ceti dominanti, più o meno tradizionalmente configurati, intenzionati a riproporre, attraverso l’adozione di una vera e propria “ideologia dalle crisi”, le condizioni per un ristabilimento definitivo di condizioni “di classe” sull’insieme della società e sarà questo il vero punto di riferimento attorno al quale si misureranno le azioni dei protagonisti politici nei prossimi mesi: un furore “liberista” (semplifico per economia di spazio) che si avvantaggerà sicuramente del complessivo discredito che una davvero goffa, sul piano dei comportamenti specifici; “questione morale” (proprio una roba da “parvenu”) sta gettando sull’intero sistema.

L’elemento centrale sul quale mi piacerebbe essere in grado di porre l’attenzione rimane, però, quello della strutturazione dell’agire politico: un tema valido non soltanto per il “caso italiano”, al quale cercherò di fare riferimento, ma anche e soprattutto sul piano di una comparazione di diversi modelli a livello internazionale, e più specificatamente europeo, che pure dovrà essere compiuta in una sede opportuna.Provo comunque di arrivare al punto, fermo restando l’aver individuato nella dinamica in atto il perseguimento di una centralità riferita alla costruzione di un soggetto politico di supporto all’azione di ristabilimento di un assoluto predominio di classe all’interno della società italiana (poi che questo nuovo soggetto rappresenti lo “sherpa” per un ritorno al notabilato, come indicava Panebianco qualche giorno fa sulle colonne del “Corriere della Sera”, oppure un tentativo di ritorno all’idea del partito come “principe” lo vedremo in seguito: soprattutto se il tentativo “centrista” si svilupperà positivamente e molto, da questo punto di vista, dipenderà dal sistema elettorale).

Su questa strada, comunque, della dinamica politica rimangono da affrontare tutti i nodi del cambiamento che si sono accumulati nel corso di questi anni.

Si è scritto molto sulla presunta separatezza tra politica e società civile e l’esercizio principale di commentatori e sondaggisti, in questi giorni, appare essere quello di prevedere la percentuale di astenuti, oppure il consenso raccolto dalle formazioni rappresentative della cosiddetta “antipolitica”: è necessario però tornare sull’analisi dei fenomeni che hanno provocato questo stato di cose, sicuramente non salutare per la qualità della democrazia.

Il primo dato da far rilevare è quello che, ormai, siamo di fronte ad una totale professionalizzazione dell’attività politica, con evidenti ricadute sul terreno delle scelte concrete, dei finanziamenti, del peso delle lobby.Il secondo elemento è rappresentato dalla riunificazione del concetto di rappresentanza con quello di governabilità, realizzato attraverso l’esaltazione impropria del processo di personalizzazione della politica, verificatosi in particolare attraverso lo sciagurato meccanismo dell’elezione diretta di figure amministrative monocratiche, dotate di un assoluto eccesso di potere sul piano della nomina e della spesa.

Questo fattore appena individuato ha portato al verificarsi di due situazioni entrambe fortemente negative: la prima al riguardo del ruolo dei partiti, rimasto assolutamente svincolato da qualsiasi rapporto con precise “fratture sociali” e configuratosi, di conseguenza, quale centro esclusivo dell’elargizione di quel potere di nomina e di spesa cui si accennava poc’anzi, utilizzato al fine della distribuzione di “incentivi selettivi” destinati a tenere in piedi il proprio apparato professionale, in centro e in periferia (attorno a questo elemento molti riconosceranno facilmente i tratti della “questione morale” in corso); la seconda, conseguente alla prima, quella dello svilupparsi di una sorta di “campagna elettorale” permanente che, ormai, impegna i protagonisti della politica 365 giorni all’anno per 24 ore al giorno, in una parossistica (e a mio giudizio ormai mortificante per gli stessi protagonisti) rincorsa all’uso dei mezzi di comunicazione di massa e alle nuove tecnologie comunicative.

L’esito di tutto ciò è rappresentato da quella che è stata, nel corso degli anni, una profonda modificazione dell’agire politico, all’insegna del frazionamento delle proposte in relazione al frazionamento della società, diversificando il messaggio secondo la collocazione sociale dei segmenti che s’intendevano intercettare, esclusivamente sul piano elettorale (proprio per corrispondere al concetto di “campagna elettorale permanente”) considerato che l’andamento del voto dopo aver attraversato una fase definibile di “fluttuazione” appare essere ormai entrato in un’ulteriore fase che potrebbe essere contrassegnata dalla “intermittenza”.

All’interno di questo varco, enorme, e dal vuoto che presumibilmente sarà lasciato dalla crisi del modello del partito “elettorale – personale “ (anche nella sua versione specificatamente italiana del “partito-azienda”), cercheranno di infilarsi i teorici della nuova formazione politica centrista attualmente “in fieri” che si propone, invece, di recuperare l’idea del richiamo ad una precisa collocazione dal punto di vista sociale e dal punto di vista politico, ritenendo questo tipo di soggettività (la “Casa dei Moderati”, il “Partito della Nazione”) l’unica adatta a fronteggiare la situazione d’emergenza prodotta dalla crisi.

A sinistra, su questo terreno, il ritardo appare evidente e le proposte in campo (quella di proseguire sulla strada del “partito elettorale personale” e quella di un’indistinta, sul piano dei riferimenti del conflitto sociale, politica dei “beni comuni”) appaiono del tutto al di sotto delle esigenze complessive che la fase richiede.Servirebbe, se mai fosse possibile, un’idea di riunificazione del segmento sociale di riferimento della sinistra, quello del mondo del lavoro, avanzando una proposta di progettualità non ripiegata semplicemente sulla difesa dell’esistente ma in grado di progettare una società futura sulla base dell’intreccio, apparentemente inestricabile in queste condizioni, tra le diverse contraddizioni sociali, moderne e post-moderne, ma soprattutto modificando sul serio la qualità dell’agire politico.

L’avversario, perché di avversario si tratta, si sta attrezzando rispetto alle novità che la trasformazione sociale apportata dalla crisi ha introdotto nel sistema: dal nostro punto di vista nessuno è in grado di battere un colpo?

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La società che verrà

Loredana Biffo
www.paneacqua.eu

Riflessioni sul “soggetto politico nuovo”: Occorre in questa fase di costruzione del soggetto politico nuovo, cominciare con l’affrontare metodi di lavoro e contenuti tematici, di aprire una prima, pur minima, sede di confronto libera ed esente da pregiudizi di appartenenza. Nella quale, finalmente, si smetta di patire la petulante e puerile domanda “di chi è la colpa di tutto questo?” E si cominci invece ad analizzare che cosa è realmente avvenuto e come, che cosa potrebbe servire invece per dar vita ad una forma di società diversa da quella attuale.

L’iniziativa promossa e finalizzata a costruire un Soggetto politico nuovo, ha visto una prima articolazione nell’incontro torinese (e in altre città italiane) del 17 aprile.

Durante questo primo approccio piemontese, è prevalsa la tesi che la situazione economico-politica, nonché democratica del paese, versa in una situazione a dir poco drammatica.

E’ evidente a tutti che l’aspirazione storica del liberismo autoritario si è ormai collocata ben oltre il perimetro dei partiti di destra, sconfinando ampiamente nei partiti di centro-sinistra esistenti che non aspirano certo a rigettare incongrui collateralismi e ingerenze con i medesimi.

Durante la discussione è emersa la necessità di darsi una collocazione, alcuni sostengono la forma “movimento” altri la forma “partitica”, seppure quest’ultima in fase embrionale. Questo a causa della gravità e specificità del momento storico-sociale che stiamo vivendo.

A mio avviso, l’esigenza di partenza è sostanzialmente di metodo. Riaprire la (logora?) cassetta degli strumenti concettuali, ideali, storici finora a disposizione. Verificare la loro idoneità ad analizzare la realtà della presente società. Eventualmente prospettare l’acquisizione di nuovi strumenti di sperimentazione e soprattutto di modelli interpretativi adeguati.

Si tratta insomma di riprendere la grande lezione dei classici del “pensiero sociale”, che è infine sempre quella di dotarsi della capacità di comprendere il corso delle cose e non di galleggiare sulle stesse, di formulare ipotesi sui fenomeni storico-sociali tali da permettere, al pari che nelle scienze della natura, sperimentabili previsioni sul loro divenire. Premessa quest’ultima, ineludibile per chiunque non voglia limitarsi a conoscere il mondo, ma addirittura speri di cambiarlo.

Occorre provare a decidere se la politica sia ancora quella attività umana che pensa di poter conoscere, prevedere e decidere per mutare gli eventi o se al contrario debba limitarsi a registrarli in un rassegnato fatalismo che azzera il futuro nella reiterazione del presente e distorce il passato a improbabile caricatura del presente stesso. Cosa che avviene puntualmente in questo contesto in cui molti vedono l’enormità egemonica del finanzcapitalismo come un ineluttabile destino, da subire, o quantomeno ci colloca inesorabilmente nell’impossibilità di combatterlo a causa della sua pervasività.

Se questa è la grande sfida culturale e politica per tutti i partiti e le forze che in Europa e nel mondo sentono il peso dell’egemonia distruttiva della classe capitalistica transnazionale, appare ancora più urgente per l’ Italia, dove il collasso elettorale ha colpito (e colpirà ulteriormente) impietosamente la sinistra; e dove soprattutto evidente risulta la sua perdita di radicamento sociale, di egemonia culturale e, peggio ancora della sua stessa capacità di percezione-definizione identitaria.

Occorre in questa fase di costruzione del soggetto politico nuovo, cominciare con l’affrontare metodi di lavoro e contenuti tematici, di aprire una prima, pur minima, sede di confronto libera ed esente da pregiudizi di appartenenza. Nella quale, finalmente, si smetta di patire la petulante e puerile domanda (con risposta già incorporata e sottintesa per ciascuno) “di chi è la colpa di tutto questo?” E si cominci invece ad analizzare che cosa è realmente avvenuto e come, che cosa potrebbe servire invece per dar vita ad una forma di società diversa da quella attuale.

E tuttavia, se non si vuole restare in una dimensione puramente teorica, se non si vogliono rimandare a tempi imprecisati le prime risposte che, prima o poi, bisognerà pur dare, è necessario anche uno sforzo di immaginazione operativa, lo scandalo di una proposta immediatamente spendibile sulla scena politica del presente che si mostra in tutta la sua drammaticità. Fallibile, certo, probabilmente velleitaria, ma in un modo o nell’altro in grado di calare dal mondo delle idee a quello delle cose, o, se si preferisce di cominciare a camminare con le gambe per terra e gli occhi al cielo e non sempre viceversa. Così da offrire un segno chiaro, una sponda riconoscibile per tutti coloro che, sfiduciati, non si sentono più rappresentati dalle oligarchie di una classe politica in preda all’istinto ossessivo-compulsivo di auto-mantenimento e auto-refernzialità.

Questo è doveroso da parte di chi ha a cuore la sorte del paese, che rischia di cadere nelle fauci di un antipolitica distruttiva e non propositiva che rischia di dar vita a processi autoritari che non vorremmo più vedere.

Il senso di inutilità che vive chi non ha lavoro, i precari (che non avranno pensioni o le avranno insufficienti ad una vita decorosa), chi lo perde in età avanzata ma non può andare in pensione, i giovani che si vedono costretti a progettare il loro futuro all’estero. Il numero inaccettabile di suicidi a causa della crisi; una corruzione capillare e la commistione delle mafie con certa politica.

Davanti a tutto ciò di dobbiamo domandare come faceva Virginia Wolf – “Possibile – che la vita sia sempre allarmante, imprevedibile, sconosciuta? Che anche per le persone più mature sia sempre un precipitarsi giù da una torre?”

A queste domande dobbiamo darci una risposta, non è più tempo di delegare, tocca a noi società civile decidere quale sarà la società che verrà, costruirla nel senso- come dice il sociologo Richard Sennet- “artigianale” inteso come il piacere di “fare bene una cosa per stessa”.