Scheda introduttiva al laboratorio “Fermenti ecclesiali di base in una prospettiva di corresponsabilità e democrazia”

a cura delle Cdb del Piemonte

Il laboratorio vorrebbe essere mirato ad approfondire la qualità del rapporto delle cdb con le altre realtà ecclesiali di base, gli scopi del confronto e le relative prospettive, a partire dagli spazi di condivisione di un cammino di ricerca.

Nella discussione preliminare che ne abbiamo fatto in Piemonte è emersa anche la necessità di allargare l’orizzonte ai rapporti con tanti altri movimenti, gruppi e persone singole, non solo nell’ambito strettamente ecclesiale.
Per questo proponiamo alla discussione i seguenti aspetti:

1. a chi ci riferiamo parlando di “fermenti ecclesiali di base“? Forse non è così scontato come sembra: chiarissimo è il riferimento alla base, quindi evidentemente non è certo l’istituzione gerarchica o i vertici che ci interessano. Ma, detto questo, di chi parliamo esattamente? comunità che di fatto pensano e agiscono come tante cdb, anche se rimangono all’interno della chiesa cattolica? gruppi che si impegnano nel sociale in modo “libero” e che fanno riferimento alla chiesa ufficiale? gruppi riconosciuti ed inseriti nel mondo cattolico, ma aperti al confronto? parrocchie o gruppi parrocchiali? Poi ci sono i vari gruppi più strutturati: il Chicco di senape, ma poi anche i Beati i costruttori di pace; e quali altri?

Ma anche i vari gruppi spontanei, anche senza nome, piccoli o poco conosciuti. Senza dimenticare certo le varie persone singole incontrate in un dibattito pubblico, o che si rivolgono a noi attraverso esponenti più conosciuti del movimento; oppure che ci conoscono e ci cercano attraverso i siti web, o le riviste, ecc.
Diamo invece per scontato che altre realtà come Noi siamo chiesa, così come TdF, Confronti, Adista o il Cipax, sono già di fatto intersecanti con il movimento delle cdb. Una descrizione su questi “fermenti” con i quali siamo o vorremmo essere in contatto può essere una base di partenza per approfondire il discorso.

2. questi gruppi e persone come si collocano rispetto al cattolicesimo? Cioè: quanto si sentono interni al mondo cattolico e quanto disposti a metterlo in discussione? O meglio, a quali prezzi se ne sentono parte? con quali nodi teologici non risolti, non affrontati, o dati per scontati?

Con moltissimi di essi infatti ci si trova facilmente in sintonia nell’impegno sociale, ma molto più in difficoltà non appena si affrontano gli aspetti teologici di fondo.
Molti sembrano molto insofferenti verso il vaticano come struttura, ma – altra domanda – come si pongono verso la struttura del cattolicesimo e la teologia che la sorregge? alcuni forse sono insofferenti solo verso certi eccessi, e ben adattati rispetto a tutto il resto?

3. se con i punti precedenti abbiamo tratteggiato in modo più chiaro cosa intendiamo per “fermenti ecclesiali di base”, la domanda che logicamente ne consegue riguarda lo scopo di questo “dialogo”: perché ci coinvolge, qual è la nostra funzione? e quindi, qual è il terreno di confronto che davvero ci interessa?

Una prima ipotesi che ci siamo fatti è che da queste domande consegua la necessità di attrezzarci meglio e misurarci meglio con queste realtà, per mantenere o consolidare una presenza che tanti ci riconoscono e che forse solo noi possiamo interpretare. Per questo sarebbe importante impegnarsi in modo meno frammentario, più organizzato e continuativo, sia sul piano dello studio teologico/biblico che in quello dei contatti personali e comunitari con queste realtà ecclesiali.

Questa prospettiva comporta il riconoscimento di un ruolo insostituibile che il nostro percorso teologico e comunitario può portare a chi, nella tradizione cattolica o protestante, è in ricerca di spazi di confronto diversi; per altri aspetti è anche un riconoscimento delle nostre radici, ma anche la definizione di un’appartenenza ben più vasta che non i confini delimitati dal magistero; forse riguarda anche un dovere di accoglienza, per così dire, verso chi è oppresso nel mondo cattolico e cerca un confronto utile per poterne emergere.

4. Queste ultime riflessioni fanno però anche allargare il discorso: innanzitutto non c’è solo il mondo cattolico, ma anche quello variegato e ricchissimo del protestantesimo, con il quale per altri versi siamo altrettanto o più imparentati.

Ed anche quello delle altre tradizioni religiose che la società multiculturale fa avvicinare alle nostre esperienze.
Inoltre non si possono certo dimenticare tutte quelle persone e gruppi non esplicitamente credenti ma aperti ed in ricerca sui grandi temi dei diritti, della solidarietà, del senso delle cose nella società odierna così in crisi di valori: un mondo laico, a volte agnostico, oppure ateo, ma con il quale il discorso (a partire dalla condivisione del metodo della laicità) è molto consolidato e condiviso.

5. Si arriva così ad un ulteriore allargamento (che per alcuni era però un punto di partenza), che ci porta ad approfondire la nostra presenza nel mondo degli impegni, dei movimenti, dei partiti, della cultura, ecc; intendendo qui un mondo laico, o misto, dove ci si ritrova sulle cose da fare e non sulle appartenenze, in ambito sociale, ambientale, nella lotta per i diritti, la solidarietà, i beni comuni, la difesa del territorio, per un’altra economia ecc.

Alcune comunità infatti sottolineano il piacere di ritrovarsi con persone e gruppi con i quali si condividono le stesse battaglie, senza distinguersi, ma magari con la possibilità a volte di esprimere maggiormente un punto di vista da credenti, a tempo e luogo, credenti “originali” rispetto all’immagine stereotipata che tutti (compresi o forse soprattutto i partiti a sinistra) hanno della fede; una presenza da un lato come-gli-altri, senza specificità, ma dall’altro aperta alla possibilità di testimoniare (proprio perché ormai riconosciuti parte attiva negli impegni) un modo diverso di intendere la fede. Una presenza che certo rischia di lasciare poco visibile la comunità come tale, ma che interpreta in modo profondo l’invito ad essere lievito e non pensare alla propria visibilità che leggiamo nel vangelo; e che infine può essere coerente con le difficoltà di un’epoca nella quale è più urgente esserci nei movimenti ed in mezzo alla gente insieme agli “uomini di buona volontà”, che non testimoniare troppo espressamente le proprie radici e provenienza.

Su tutto questo vorremmo provare a stimolare il laboratorio che ci è stato affidato.

Per concentrare il dibattito ed agevolare la discussione, proporremo ai partecipanti una forma di coinvolgimento già prima del laboratorio, a partire dal pomeriggio del sabato: alcuni di noi saranno presenti con un banchetto nel quale inviteremo a testimoniare in una forma breve ma efficace il tipo e l’intensità dei contatti che ogni comunità ed ogni singolo ha con le altre realtà: distinte – per restare fedeli ai punti qui proposti – in strettamente ecclesiali e non.
Chi si iscrive a questo laboratorio è quindi pregato di dedicarci qualche minuto in anticipo: in cambio il gruppo preparatore porterà una sintesi di questo mini-sondaggio all’apertura del laboratorio medesimo.

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ALLEGATI

1 – Cdb di Torino – quali rapporti/relazioni in una prospettiva di corresponsabilità e democrazia.

Partiamo da una domanda che tutti possiamo e dobbiamo porci: “la fede in Gesù ci aiuta a essere cittadini più responsabili?”. La risposta è: sì! Accettare e cercare di vivere secondo gli insegnamenti e la proposta di Gesù stimola all’impegno per una società più giusta, più solidale e partecipata. Deve però essere una fede tollerante, dialogante non dogmatica: e così si pare si cerchi di vivere la fede nell’ambito delle comunità di base.

Una fede che – l’abbiamo detto tante volte – ha conosciuto un ormai lungo percorso di liberazione dalle tante incrostazioni dogmatiche (e svianti, come madonne, santi e santuari) che la tradizione cattolica ha costruito nei secoli fino a perdere di vista l’essenza del messaggio evangelico, e costruendo parallelamente una struttura di potere sempre più forte nella società: potere sulle coscienze ma anche potere economico e dominanza culturale, che con l’apparente finalità di diffondere la fede si è rafforzato sempre più nei suoi privilegi economici, ma soprattutto nell’impossessarsi della primogenitura sulle questioni etiche.

Senza andare qui troppo indietro nella storia, va ricordato che il modo di partecipazione dei credenti alla vita pubblica nel quale noi siamo cresciuti è stato connotato prima dalla dimensione concordataria (fatta di privilegi finalizzati al consolidamento della presenza cattolica nella società), poi da quella democristiana (che associava una politica centrista al controllo della società intera, attraverso la mediazione di una del tutto astratta unità dei cattolici nella società); ed infine, negli ultimi 15 anni, abbiamo assistito ad una progressiva presenza in prima persona delle istituzioni cattoliche, che ancora pensano di poter coordinare (o controllare) coscienze che invece si dimostrano sempre più libere.

Alla fine, resta ancora forte la presenza dell’assistenzialismo cattolico, ma anche quello delle scuole private, e soprattutto si cerca di far passare l’idea che i valori “cattolici” siano quelli non-negoziabili sui temi dell’aborto, dei trattamenti di fine vita, di una supposta primogenitura, o centralità, dell’insegnamento del magistero nei valori da vivere o sostenere come cittadini.

Ma tutto questo finisce per mettere al centro le istituzioni ecclesiali invece della vita della gente, e non a caso il vaticano è sempre stato distante dai movimenti di lotta e di liberazione che da almeno mezzo secolo vivificano la società. Il messaggio di Gesù appare radicalmente diverso, e ci invita non solo a stare sempre dalla parte degli ultimi, ma a liberarci di ogni sovrastruttura ecclesiastica e dogmatica non appena essa diventa motivo di oppressione invece che lieto annuncio di liberazione.

Anzi, proprio questo, il rifiuto della religione come mezzo di oppressione della gente e di stravolgimento del progetto di Dio per l’umanità (come i profeti dentro e fuori la bibbia ci testimoniano fortemente) ci sembra oggi essere essenziale per coltivare una fede basata sull’amore, la solidarietà, il rispetto del creato.

In questi anni di ricerca ci pare di avere capito che Gesù ci insegna a essere “leggeri”, non solo senza bandiere ma anche senza strutture che opprimono la libertà della testimonianza semplice ed essenziale che ci ha insegnato. Solo con strutture semplici, non gerarchiche si può essere testimoni mescolati nella società, essere fermenti, mentre le grandi istituzioni fatte anche di soldi e di proprietà diventano inevitabilmente luoghi di potere, anche se sono chiese.

Essere credenti nella società vuol dire quindi oggi respingere la divisione fra credenti e non, per mettere invece al centro la differenza fra clericali e laici: e noi, insieme a tanti altri credenti, ci sentiamo pienamente a nostro agio fra i laici, sia per aver assunto la laicità come metodo di analisi e di confronto sociale (rifiutando cioè l’assolutismo delle certezze ecclesiastiche), ma sia soprattutto perché ci sentiamo parte dei fermenti di base nella società anche se non ci poniamo con l’etichetta di cristiani.

Come ricorda Peyretti, sono molte le realtà ecclesiali, magari piccole come le nostre, che giudicano da sole ciò che è giusto senza dipendere dalla gerarchia vaticana, realtà che continuano a pensare e a parlare cercando il confronto con tutta la chiesa e con tutte le fedi. Si tratta di un grande passo in avanti se lo rapportiamo alla situazione di tanti anni fa.

Ma oggi la situazione è ben cambiata; se le ragioni del lavoro stanno vivendo una fase di pesante arretramento nel nuovo mondo economico che questa globalizzazione ha imposto, d’altra parte i movimenti di lotta e di liberazione non sono certo scomparsi, ma anzi sempre più impegnati a livello locale e parziale in un progetto di cambiamento complessivo, o almeno di proposta, per un mondo diverso nel quale la tutela dell’ambiente, delle persone, la solidarietà, i diritti, ecc siano rimessi al centro della vita politica e sociale.

Se oggi è normale vedere insieme in una lotta posizioni di persone laiche anche estreme con ferventi cattolici per sostenersi nella lotta, anche noi cerchiamo di vivere tutto questo senza mettere bandierine, senza dover proclamare la nostra fede in ogni occasione. Questo ci porta ad avere una presenza poco visibile, controbilanciata da una testimonianza che, priva di etichette, ci sembra molto più efficace, laica, ed i definitiva solidale.

Ma una testimonianza che ci sembra soprattutto più aderente al vangelo, dove Gesù ci chiama ad una fede laica nei metodi, di persone che si impegnano e si confrontano alla pari con tutti; una fede più adulta, e non dipendente da indicazioni vincolanti della gerarchia (per non parlare della omissioni!); una fede quindi che si pensa come lievito, cioè disposta a non apparire e mettere al centro se stessi, ma condividere con gli altri i progetti, le idee e gli impegni.

Tanto più oggi quando i confini e le caratteristiche della cittadinanza sono sempre più in crisi ed in via di ridefinizione: per noi essa non solo deve assumere valori inclusivi e non escludenti, ma deve riportare al centro i bisogni di tutti, tutelando in primo luogo i più deboli, e non essere specchio di una società dove ricchi e potenti (con una chiesa istituzionale qui perfettamente inserita) impongono la loro narrazione ed i loro obiettivi.

I valori centrali ai quali riferirsi assumono allora, in questa presenza laica di credenti cittadini nella società, altre scale di valori: la solidarietà, la vicinanza con gli ultimi, l’accoglienza vanno davanti ai dogmi ed alle certezze di verità, mentre i valori della pace, del rispetto dell’ambiente e di forme di convivenza adeguate al benessere di tutti, anche delle generazioni future, passano al primo posto nelle esigenze per le quali vale la pena spendersi.

La comunità di base quindi è poco visibile, ma più impegnata ad essere presente dove l’essere cittadini responsabili ci chiama; movimenti di solidarietà, di lotta, per la pace, per i diritti. Pensando in grande si può anche affermare qualcosa di più: è proprio questa nostra particolare collocazione e storia che ci pone in un certo senso a cavallo di esperienze fra loro molto diverse; ci colpisce infatti come si costruiscano reti di impegni comuni con le persone più diverse, e che in movimenti assolutamente laici ritroviamo la presenza stimolante di tanti credenti e non.

Vorremmo anche dire che in tutto questo i credenti più critici e di base sono talmente presenti nei movimenti (da quello dell’acqua alle lotte per i diritti, dalla solidarietà alla casa, dall’ambiente fino ovviamente a quello per la pace) da essersi sin qualche modo conquistati un rispetto ed una collocazione prima impensabile. Solo i partiti ed il vaticano sembrano non essersi accorti che molti credenti sono oggi al di fuori dei loro recinti e testimoniano una volontà ed un impegno di cambiamento radicale; e non sarà inutile sottolineare che questo tipo di presenza rende il vangelo così familiare, così presente in mezzo a tutti, da far apparire sempre più distanti dalla realtà – per quanto armati del loro potere – i rappresentati dell’istituzione.

Le diverse realtà territoriali comportano ovviamente delle differenze di impegni che si ripercuotono nell’immagine delle cdb, e crediamo che non si possano omogeneizzare le esperienze e i percorsi delle varie comunità, nè in Piemonte nè in Italia. I diversi rapporti con le chiese locali, iniziative sul territorio, tempi della preghiera e della lettura della bibbia, sono diverse da comunità a comunità e questa è una ricchezza, come abbiamo sempre sostenuto.

Ma rimangono alcuni aspetti specifici dove un impegno comune si può riconoscere e valorizzare. Il primo è quello del confronto con il mondo dei credenti, sia per sostenere la legittimità della nostra lettura di una fede priva di strutture, ma anche di dogmi e certezze, sia per le proposte concrete che possono venire sulle varie problematiche: come propone Franco, molti sono gli argomenti per aprire oggi ulteriormente il confronto con altre realtà, dall’ici sulle proprietà della chiesa, alla lettura della bibbia, la rivisitazione del sacro ecc.

Se è vero che i nostri convegni sono aperti, come le nostre eucarestie e le nostre letture, forse va detto che non ci sforziamo particolarmente a invitare e/o coinvolgere altre realtà di base. Ma è anche vero che in questo periodo tante realtà organizzano dibattiti e confronti, più aperti di una volta, e questi momenti vengono utilizzati da tutti con estrema libertà, si partecipa e si va ad ascoltare la persona, lo “studioso” che interessa, senza che questo diventi il presupposto per iniziative comuni, perlomeno a Torino; questo è il contesto attuale.

Piuttosto ci pare vada sottolineato come si aprano spazi diversi, inaspettati fino a ieri, con livelli e modalità di partecipazione del tutto nuovi: oltre a manifestazioni e cortei sui vari problemi, oggi si è diffuso enormemente l’uso di internet per trasmettere informazioni, prendere posizione, raccogliere firme o confrontarsi. E’ una nuova frontiera che apre spazi di partecipazione e di confronto che cambiano il modo stesso di sentirsi parte di un movimento, oltre a poter coinvolgere molte persone che prima non erano raggiungibili.

Per quanto ci riguarda abbiamo la consapevolezza dei nostri limiti, di numero, di età, di situazione e di possibilità; Torino è una dimensione dove è più difficile costruire rapporti personali, e si finisce ciascuno per essere attivo nella propria realtà. Continuiamo però nella ricerca incontri vari, soprattutto quelli di Albugnano, la celebrazione dell’eucarestia una volta al mese, la lettura della bibbia. Quest’anno abbiamo allargato la lettura biblica, proponendo ad Ernesto Vavassori di guidarla, ed in tal modo abbiamo registrato una notevole partecipazione di molte persone con le quali abbiamo avviato un percorso di conoscenza sicuramente utile.

Se la chiesa non ci condiziona più, l’esperienza della comunità invece è decisiva e indispensabile per consentirci di essere fermenti responsabili; qui troviamo energia, confronto e stimoli, e siamo consapevoli che senza questo piccolo spazio saremmo in difficoltà e rischieremmo di “perderci”; per questo ci pare importante mantenere l’esperienza superando le fatiche e il rischio della routine, ed i momenti di apertura ci aiutano in questa direzione.

2- Contributo di Enrico Peyretti

Cerco di rispondere alla richiesta delle Comunità di Base sul tema del prossimo convegno nazionale cdb, con alcune semplici note personali, del tutto incomplete, sulla situazione della Chiesa e del cristianesimo.

Mi chiederei anzitutto: Che ne è oggi del movimento dei seguaci di Cristo? Un tentativo di risposta non può stare dentro parametri sociologici, quantitativi, misurabili. Il cammino del Vangelo di Gesù è osservabile nella storia solo relativamente a qualche aspetto, perché è opera dello Spirito nei cuori, visibile solo in qualche effetto operativo nella vita degli umani.

Sembrava, poche generazioni fa, che la nostra società italiana ed europea, fosse ormai formalmente cristiana. Oggi resta una visibilità che ancor meno di prima corrisponde ad una persuasione di fede. La fede cristiana è minoritaria. Si vive, bene o male, spesso anche con volontà buona, oppure nello smarrimento, ma per lo più senza riferirsi al vangelo di Cristo, senza invocare e affidarsi al suo Spirito.

La chiesa, specialmente la chiesa cattolica in Italia, è ben visibile, ma il problema del cristianesimo non coincide con questa realtà. La chiesa appare ed è largamente una struttura, una forza sociale, fatta di presenze, di preti, associazioni, parrocchie, messaggi, principalmente rappresentata dal Vaticano; una realtà che cerca di trasmettere una concezione di vita ordinata, buona, tradizionale, anche generosa, con una morale certa, che si riconosce in riti e luoghi, in figure, con un’attività per lo più positiva, ma anche con una sua politica sociale, fino a premere (non solo influire moralmente e culturalmente) sulla politica generale secondo propri interessi. Appoggiando il berlusconismo, la chiesa ufficiale ha fatto un grande male al paese, e anche a se stessa. Eppure, un vagabondo bisognoso sa di poter chiedere aiuto alla più vicina parrocchia, il che non è poco.

Qualcuno ha parlato di appartenenti non credenti e di credenti non appartenenti. È solo uno schema, ma dice che ci sono cattolici a disagio nella chiesa, per motivi di fede e di politica, e nella stessa chiesa ci sono cattolici ben sistemati con pochi tormenti, né di fede né di politica.

I primi, negli ultimi anni, mi pare che si siano spostati da atteggiamenti di protesta e dissenso, oppure di abbandono silenzioso, al prendere la parola in modo serio e pacato, e approfondito su cose essenziali. C’è una certa quantità di gruppi, leggermente collegati, che pensa e parla, che non vive passivamente, non dispera e non abbandona, pur facendo fatica. C’è in questi spazi una maturità, una indipendenza dall’episcopato senza disprezzarlo: mi piace la formula «non senza, non contro, non sotto». C’è un laicato che ha cultura biblica e teologica, anche profonda e coraggiosa, e che si prende la responsabilità di rispondere alla domanda di Gesù: «Perché non giudicate da voi stessi ciò che è giusto?» (Luca 12,57).

Sappiamo quali sono i punti nevralgici: potere sacro del sacerdozio esclusivo, dialogo intra-ecclesiale, ruolo della donna, morale sessuale ed economica, liturgia, interpretazione delle Scritture, politica, privilegi concordatari, e non so cos’altro. Inutile ripeterli. Mi chiedo di più se arriva al fratello che incrociamo per strada il vangelo pratico, quello che aiuta quando la vita è difficile, quando perde senso: il vangelo che aiuta la capacità di amare, di dare più che ricevere, di reggere il dolore, lo scandalo del male trionfante; il vangelo che ricrea la speranza perduta, che permette di perdonare e di chiedere perdono, di credere e cercare la giustizia.

Ho l’impressione (è una vecchia storia) che per la persona comune Cristo, se appena conosciuto e ascoltato, sia accolto, più o meno, ma che la chiesa sia noiosa, pesante con le sue pretese, che risulti «sgridona», come dice un parroco bolognese. Ripeto cose risapute: la chiesa dovrebbe diminuire, come Giovanni Battista, perché Cristo cresca. Farsi trasparenza leggera, richiamo discreto, che non attira su di sé l’attenzione e l’obbedienza, ma indica Gesù che passa sulla via.

Certo, c’è anche chi mette in questione Cristo, c’è l’ateismo attivo, teorico, scientifico. I cristiani possono anche ribattere con gli studi, ma non è questo il piano che conta, quanto la testimonianza di chi si fa umano e giusto per ispirazione evangelica. Il vangelo è pratico, è giustizia resa, è riconciliazione, è attiva nonviolenza, è bontà. Impegna anche in dibattiti sociali e politici, in cui non garantisce infallibile sicurezza, ma chiede amorosa determinazione, e costanza nelle difficoltà.
Ci sono rinnovamenti nella fede: il Concilio – che va difeso dall’oblio e dalla neutralizzazione – non è stato solo una verniciatura modernizzante.

Come fa rilevare Raniero La Valle, ha espresso una immagine di Dio più evangelica, quella data da Gesù: non un dio padrone, giudice arcigno, in agguato per cogliere in fallo il peccatore, ma padre e ispiratore, e fratello sostenitore intimo nel cammino del bene, venuto tra noi per i malati non per i sani. Ho l’età per ricordare che quella dura era l’immagine prevalente di Dio. Chi di noi ha conservato la fede e il desiderio di Dio è dimostrazione viva del miracolo che in quella teologia imperiale, sminuzzata nel catechismo dato a noi bambini, era nascosto, nonostante tutto, lo Spirito santo vero, che ha animato Gesù, e che Gesù ha effuso, fino a noi. Ma quel dio violento resiste e si fa respingere, giustamente.

Oggi, se vogliamo, ascoltiamo voci e riconosciamo volti di cristiani che vivono e dicono il vangelo genuino, isole di luce nel mare della religione conformista. C’è un ecumenismo vero, non di maniera, che unisce sull’essenziale, rispettando le diversità. C’è anche un rapporto nuovo con le altre religioni, che riconosce una corrente unitaria profonda e varia, plurale, vivificata dallo Spirito dell’unico Dio dai molti nomi e immagini. E c’è ancora dell’odio che si consacra usando la religione. Siamo in un tempo di passaggio, dove il vecchio può ancora oscurare il nuovo, la paura bloccare la fede, un tempo in cui Egli può dirci ancora: «Avete annullato la parola di Dio in nome della vostra tradizione» (Matteo 15,6; Marco 7,13).

Credo che si debba resistere ad alcune tentazioni: scoramento, rabbia, autosufficienza, pretesa di ammaestrare, risentimento, abbandono, e si debba anche rinunciare all’illusione di fare subito grandi cose nuove. Mi sembra che il futuro, cioè la continuazione fragile della trasmissione del vangelo di Gesù, stia nelle piccole realtà di fede e fraternità, che vivono l’eucaristico «non così tra voi» (Luca 22,26), che pregano ringraziando di credere e sempre invocando di guarire dall’incredulità (Marco 9,24), per cominciare a credere. E ad amare, e ad operare per la giustizia. (23 gennaio 2012)