Scheda introduttiva al laboratorio “Religione e politica – costruire solidarietà per una società a misura degli ultimi/e”

a cura della Cdb dell’Isolotto (Firenze)

Proponiamo alcuni spunti che possono aiutarci ad affrontare in chiave attuale questo tema che da sempre ha costituito un ambito speciale di approfondimento e di impegno nella nostra esperienza

A partire da una situazione sociale in cui prevalgono gli interessi settoriali e l’aspetto privatistico come contribuire a rifondare una società solidale a partire dall’eredità religiosa ebraico – cristiana e dal vissuto delle Comunità di Base?

RELIGIONE/I E SOLIDARIETA’
Costruire solidarietà per una società a misura degli ultimi/e, quali soggetti consideriamo oggi protagonisti credibili?
assistenzialismo, beneficienza, elemosina, carrozzoni della solidarietà e businnes?
solidarietà, dignità, rispetto delle regole (i diritti dei barboni a vivere a modo loro, i diritti degli extracomunitari al rispetto delle diversità…);
solidarietà, volontariato, promozione di responsabilità individuale;
solidarietà e promozione della persona;

POLITICA ASSISTENZIALE E STATO SOCIALE COME SI CONIUGANO OGGI CON:
solidarieta, emergenze, crisi economica
partiti e lobby
clientelismo, sperpero, ruberie, corruzione
diritti, partecipazione, democrazia
Il ruolo del volontariato ed il ruolo delle istituzioni oggi
solidarietà e lavoro (cooperative sociali, terzo settore, …)
solidarietà, produttività, autosufficienza economica

SOLIDARIETA’ E NUOVI PROGETTI DI VITA: PERCORSI ED ESPERIENZE
Qualità della vita, consumi e parsimonia, lavoro e ritmi di vita;
solidarietà fra generazioni , precarietà e solidarietà, accompagnare;
decrescita, economia solidale, assunzione di responsabilità;
solidarietà e relazioni umane ,vissuti personali o di gruppo;
storie di solidarietà: piccole e grandi solidarietà del quotidiano;
solidarietà per accompagnare ed essere accompagnati;
Solidarietà come crescita umana, arricchimento reciproco, dare senso alla vita.
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Indice

1. RELIGIONE/I E SOLIDARIETA’. 

1.1 Quali fondamenti biblici per costruire una società solidale? Riflessioni su Matteo 19,16-30.

1.2 Non c’è libertà, non c’è futuro senza gli esclusi

1.3 I significati della parola solidarietà.

1.4  Interrogativi sulla parola “credenti”scaturiti dalla riflessione della comunità dell’Isolotto sul tema del convegno.

2. POLITICA  E SOLIDARIETA’.

2.1 Da dove veniamo?

2.2 Dal convegno nazionale CdB 1978

2.3 Dove andiamo?

 

3. ESPERIENZE DI SOLIDARIETA’

3.1  Il Fondo essere del quartiere 4 di Firenze

3.2 Le imprese cooperative: tra omologazione  e alternative creative

 

 

1. RELIGIONE/I E SOLIDARIETA’

1.1 Quali fondamenti biblici per costruire una società solidale? Riflessioni su Matteo 19,16-30

Dalla lettura del brano evangelico emerge che l’uomo ha in sè il desiderio di perfezionarsi, di andare oltre la realtà esistente che lo condiziona, e formula per questo la domanda, prima a sé che a Gesù, di come si realizza la perfezione, per avere quindi la “vita eterna”, cioè la piena realizzazione di sé. Sembra una domanda complicata, ma la risposta di Gesù è molto semplice, quasi disarmante: basta seguire i comandamenti, basta comportarsi secondo giustizia e correttezza nei confronti del prossimo.

Tanto semplice è la risposta che il giovane con meraviglia riconosce che tutto questo lui lo realizza da sempre, fin dalla fanciullezza, e nonostante questo si sente incompleto, inappagato, vorrebbe realizzare una vita più piena e significativa. E allora c’è una strada più ardua, ma più soddisfacente da seguire: la condivisione piena, la solidarietà che supera tutti gli interessi personali, che guarda più al bene della collettività che al proprio beneficio. Vendere tutto quello che si ha, condividerlo con i poveri e ricercare i valori più spirituali, che sono anche più gratificanti. Liberarsi cioè dell’idea e della voglia di possesso e di proprietà privata e riconoscersi tutti uguali nelle nostre esigenze e nei nostri diritti.

E’ una proposta impegnativa, che implica un radicale cambiamento di prospettiva: rinunciare al proprio particolare, per identificarsi nell’universale, morire nel proprio io per ritrovare il tutto che è in noi. Il giovane non se la sente di capovolgere i valori a cui è stato abituato a credere da sempre, di abbandonare la sicurezza del proprio stato economico, e si allontana tristemente. La ricchezza, il possesso quindi è l’ostacolo più forte per riuscire a liberarsi dalla prospettiva individualistica e raggiungere traguardi più spirituali.

Eppure la primitiva comunità cristiana capì perfettamente il valore di questa rinuncia, che permette di realizzare una vera comunità umana, dove tutti si riconoscono uguali davanti a Dio. In Atti 2,44-47 è riportata la testimonianza che i primi discepoli di Gesù si attennero molto volentieri alle indicazioni sulla rinuncia ai beni economici e realizzarono una vita in comune fatta di condivisione, di semplicità di rapporti e di reciproco aiuto. Il risultato di questo stile di vita fu l’interesse e la simpatia della gente nei loro confronti che indussero molti, in sempre maggior numero, a imitarli e a cambiare mentalità. I primi cristiani furono un polo di attrazione, evidentemente perché molti sentivano l’esigenza di invertire una logica che portava solo a sofferenze e alla morte, attraverso le contrapposizioni, le guerre e tutti gli altri strumenti che servono ad imporsi, annichilendo l’altro.

In secondo luogo Gesù viene presentato da Pietro (Atti 4,11) come la pietra scartata dalla società del tempo, ma che è diventata la pietra d’angolo, la pietra che è punto di riferimento per la costruzione di un nuovo edificio sociale. Quindi la persona di Gesù è, in quanto scarto, la chiave di volta di una costruzione sociale che parte dagli ultimi, da chi è emarginato, dalle loro esigenze e necessità, perché solo così si può camminare insieme verso un comune obiettivo.

Fare della società una reale comunità solidale è stata anche la ricorrente aspirazione dell’uomo nella storia, dalle prime comunità monacali all’esperienza di tanti movimenti religiosi e politici del medioevo, fino all’ideale di una società “comunista” prospettata da Marx.

La domanda che allora ci si deve porre è questa: come si può dare oggi una risposta a questa aspirazione dell’uomo di invertire la logica del possesso, della difesa del proprio particolare, per allargare il proprio orizzonte e creare una comunità veramente solidale, in cui l’individuo non si senta isolato, ma compreso e sostenuto nelle proprie esigenze, in cui l’altro non viene percepito come nemico, ma piuttosto come un elemento che arricchisce e completa?

 

1.2 Non c’è libertà, non c’è futuro senza gli esclusi

Contributo tratto da “Il Dio degli esclusi” di Jacques Gaillot

“Siete stati chiamati alla libertà” (Gal.5,13)….Il Vangelo è rivoluzionario: rende persone libere. Libere in rapporto ad ogni potere, ad ogni organizzazione. Vorrei allora proporvi alcune riflessioni su questa libertà …Innanzi tutto la libertà è inseparabile dalla solidarietà con i più deboli. Sono sempre attento, per quanto riguarda un’istituzione, un organismo, una società, una Chiesa alla seguente questione: qual è la sua capacità di non escludere? Quando un’istituzione ha questa capacità di non escludere è un segno di riuscita. Ma qual è l’istituzione che non esclude?

Gli esclusi sono quelli che la società rigetta, quelli che sono di troppo, quelli che non contano per nessuno, quelli di cui nessuno ha bisogno. E non ci vuole molto a precipitare nell’esclusione. Può succedere finanche ad un vescovo…Si perde il proprio lavoro, la propria casa…E ci sono tutti gli handicap dell’esclusione che si aggiungono, che si incastrano gli uni sugli altri …e si accumulano…Le esclusioni si accumulano.

Ora non è possibile essere liberi senza gli esclusi.

Quando si aiutano gli esclusi tutti sono d’accordo, tutti trovano che è giusto…Ma quando si fa in modo che gli esclusi diventino responsabili, che si mettano in piedi, che siano partecipi, che siano coscienti dei loro diritti, allora questo diventa pericoloso. E il potere è diffidente verso di loro. Quando gli esclusi prendono loro stessi la parola, senza bisogno di portavoce, siccome hanno questa libertà diventano pericolosi….Ma si diventa liberi solo aiutando gli altri, gli esclusi, a diventarlo.
Non è possibile essere liberi senza gli esclusi. Non ce la caviamo senza di loro.
Se essi sono perdenti, noi saremo perdenti con loro.
Non ce la caviamo se non insieme.
La solidarietà è l’avvenire. La solidarietà non ha frontiere.
E come potremmo essere felici senza gli altri, senza quelli che sono escludi dalla felicità?
Come può la Chiesa annunciare il Vangelo della libertà se quelli che ne hanno la responsabilità non sono liberi?

 

1.3 I significati della parola solidarietà

tratto dal cap. “Solidarietà” di Rainer Zoll – Enciclopedia delle Scienze Sociali (1998), ed.Treccani
Nella accezione più ristretta del termine “solidarietà” rientrano le seguenti definizioni:

  • Termine […] per designare la capacità dei membri di una collettività di agire nei confronti di altri come un soggetto unitarioLuciano Gallino, Dizionario di sociologia (1978);
  • I sistemi di solidarietà mirano a rendere eguale per tutti l’appartenenza ad una determinata collettività, Alessandro Pizzorno (1966).

Gli elementi essenziali della definizione ‘classica’ di solidarietà sono: l’eguaglianza di posizione sociale, l’interesse e la volontà di agire in forma collettiva, la comunanza di intenti sotto vari aspetti. 

Rispetto alla necessità di una “controparte sociale” nel concetto di solidarietà le idee sono discordi:

  • per alcuni come R. Michels (1914) per la formazione di un gruppo di solidarietà è necessaria a priori l’esistenza di una netta contrapposizione; si è solidali solo contro qualcuno; la solidarietà universale esiste solo in caso di calamità naturali, negli altri casi è una utopia;
  • per altri la controparte antagonista non ha molto rilievo e non compare nelle loro definizioni: “tra ogni individuo e tutti gli altri esiste un legame necessario di solidarietà” scrive Bourgeois (1896); la solidarietà, ovvero la dipendenza reciproca di tutte le parti di un medesimo corpo, è la caratteristica della vita afferma Charles Gide (1829). Auguste Comte (1844) usa il concetto nel senso di vincolo sociale, come sinonimo di coesione o integrazione sociale.

Per una prima connotazione sociale si deve arrivare al “Dictionnaire  de l’Académie française”(1835) dove si legge: “dicesi talvolta, nel linguaggio comune, della responsabilità reciproca che si stabilisce tra due o più persone”; e successivamente al lavoro di Pierre Leroux, “De l’humanité” (1840) dove si parla della “mutua solidarietà degli uomini” come espressione più autentica della carità, e dove si afferma che la solidarietà deve essere reciproca.

In epoca premoderna, quando le misure assistenziali costituivano l’unica forma di politica sociale, la solidarietà esisteva unicamente nel contesto di comunità e di gruppi fortemente coesi – le cosiddette reti sociali primarie, ovvero la famiglia, la famiglia estesa, il vicinato, le associazioni religiose, ecc.

Mentre oggi il fondamento della politica sociale e della sua prassi è costituito dalla solidarietà sociale, alla base della prassi assistenziale vi è il principio della caritas, che implica una netta distinzione gerarchica tra chi dà e chi riceve – differenza che non viene annullata, ma semmai rafforzata dall’atto del dare.

Nei periodi di transizione o di crisi, la coscienza di tale differenza diventa particolarmente acuta. Pur senza adoperare l’espressione ‘politica sociale’ Georg Simmel ha fornito un’analisi molto precisa di questa problematica: “Il dovere [dell’assistenza ai poveri] può presentarsi come semplice correlato della pretesa dei poveri. In particolare nei paesi in cui l’accattonaggio è un vero e proprio mestiere, i mendicanti credono, più o meno ingenuamente, che l’elemosina sia un loro diritto” (1908). Tuttavia dall’esistenza di un ‘diritto dei bisognosi’ non deriva necessariamente un’equiparazione dei diritti tra chi dà e chi riceve, un annullamento delle differenze sociali. In questo senso la carità, che toglie ai ricchi per dare ai bisognosi, “non comporta affatto un’equiparazione tra queste posizioni individuali”, né “annulla la tendenza alla differenziazione della società in poveri e ricchi”. È qui che risiede la distinzione tra assistenzialismo e politica sociale. Tutt’altro carattere infatti ha la pretesa all’assistenza fondata sull’appartenenza di gruppo del povero. Questa appartenenza – come status di cittadino – può essere estesa anche all’intera società; in questo caso il rapporto non è più gerarchico, ma si basa sull’eguaglianza e sulla virtuale reciprocità.

La Rivoluzione francese negava ancora ai poveri lo status di cittadini. Una politica basata sull’esclusione di determinati individui o gruppi di individui è inconciliabile con la politica sociale e la solidarietà, e in questo senso si può affermare che nella Rivoluzione francese non vi fu un’autentica politica sociale. Nel suo studio sulla cittadinanza T.H. Marshall (1950) ha definito il Novecento come secolo della cittadinanza sociale, e sebbene si possano avanzare dubbi più che legittimi sul fatto che essa abbia trovato piena realizzazione, tuttavia è senz’altro vero che nel XX secolo alcuni Stati hanno cercato, con l’ausilio della politica sociale, di realizzare l”eguaglianza’ del cittadino sociale e di conseguenza la solidarietà della società nel suo complesso. “Le politiche solidaristiche sono state accettate, legittimate e incontestate solo nella misura in cui sono state considerate come un diritto piuttosto che come forme di carità o di altruismo. […] La cittadinanza sociale riconosce a ogni individuo il diritto di usufruire di benefici che in sistemi di valori diversi sarebbero giustificati in altro modo o sono garantiti solo in termini avvilenti, in quanto coloro che li ricevono non sono considerati membri a pieno titolo della comunità” (Baldwin, 1990).

 

1.4  Interrogativi sulla parola “credenti”scaturiti dalla riflessione della comunità dell’Isolotto sul tema del convegno

Il tema del convegno è “Donne e uomini credenti per una cittadinanza consapevole”. Possiamo riflettere sulla parola “credenti”? Perché abbiamo usato questa parola e cosa significa?

Cosa significa per noi oggi “credenti”?

Possiamo dirci, sentirci, liberi, liberati dall’immagine del Dio di Abramo, Isacco e Giacobbe e della figura mitica di Gesù di Nazareth ed ancorati al messaggio evangelico di annunzio della buona novella?

Possiamo interrogarci se per caso questa nostra cultura occidentale non stia soccombendo a causa:

– dell’ideologia del Dio unico- assoluto-signore e padrone della vita e della morte……immutabile – infallibile – giudice…

– dell’idolatria dell’individualismo, del super uomo, del santo, del culto della personalità compresa quella di Gesù……?

Non è forse questa cultura portatrice di una forma violenta di separazione tra una persona e un’altra? non è forse una cesura che non aiuta a crescere la società nel suo insieme, un ostacolo nella ricerca comune di forme di cittadinanza consapevole?
Potremmo oggi, come cdb, ripartire dalla “fede” e dalla cultura del “messaggio”….

“dei messaggi attraverso i quali donne ed uomini di ieri e di oggi hanno tentato di

contribuire al cammino dell’umanità?

“Messaggi” da scegliere, condividere…..

“ messaggi” sui quali costruire la propria identità….

“messaggi” da continuare ad elaborare per progettare cammini sempre nuovi

“Messaggi” plurimi, aperti, intercambiabili, modificabili

2. POLITICA  E SOLIDARIETA’

2.1 Da dove veniamo?

Le Comunità di Base vengono da una lunga esperienza in cui hanno potuto intrecciare il messaggio profondo di liberazione e di annuncio della buona novella del Vangelo, con la cultura, le istanze e le lotte del mondo operaio e della classe lavoratrice e con le esigenze di trasformazione della società del movimento studentesco che, negli anni Sessanta, irrompeva per la prima volta nella sfera pubblica.

Questa esperienza è stata particolarmente feconda e innovatrice, ha rinnovato profondamente la società e ha tentato di rinnovare anche la Chiesa; certamente ha rinnovato il nostro modo di essere persone “credenti”, e ha testimoniato l’esistenza di un altro modo di essere Chiesa; e ha dato concretezza e respiro al nostro modo di essere lavoratori a fianco delle lotte dei lavoratori.

E’ stata un’esperienza particolarmente feconda anche perché è stata un percorso di liberazione dai miti della religione concepita come struttura di potere e fondata sui metodi dell’autoritarismo, ma anche perché è stata attenta a non sostituire alcuni miti con altri miti, né religiosi, né politici, né di nessun tipo.

Siamo stati solidali con i lavoratori nell’accezione dell’essere “compagni” (cum-panis), abbiamo mangiato insieme lo stesso pane, siamo stati lavoratori tra i lavoratori.
2.2 Dal convegno nazionale CdB 1978

 “CHIESA SENZA POTERE PER UNA SOCIETA’ AUTOGESTITA” Rapporto chiesa- societa’ nella ricerca biblico-teologica

I mutamenti sociali …….rendono particolarmente attuale tutta quella ricerca biblico- teologico- pastorale-che si è sviluppata prima, durante e dopo il Concilio e che ha teso a configurare e realizzare praticamente una Chiesa di servizio e non di potere, una Chiesa fondata sulla forza dello Spirito e non sui mezzi economici, culturali, politici; una Chiesa “dei” poveri e non “per i ipoveri; una Chiesa che ha fiducia nella vitalità e attualità del Vangelo e per questo si rifiuta di proporlo (imporlo?) attraverso privilegi giuridici e protezioni statali; una Chiesa partecipe della lotta di liberazione degli oppressi, dei senza-potere e quindi libera da compromissioni con il potere; una Chiesa fondata sulla comunione e non sull’accentramento di poteri e funzioni; una Chiesa-popolo di Dio e non una Chiesa solo Gerarchia.A che punto si trova una tale ricerca? E’ condannata all’isolamento oppure trova ancora qualche spazio? E’ relegata nel limbo delle discussioni puramente teoriche, oppure incide ancora in settori significativi dell’Istituzione? Nell’attuale riemergere di esigenze religiose è presente anche la domanda di una tale fedeltà al Concilio?

 Ruolo delle comunità di base nella società

Nel dibattito che si è svolto a livello di Comitato nazionale di collegamento, ci siamo domandati se l’affrontare all’interno di un Seminario delle comunità un tema come questo non fosse in contraddizione con scelte molto precise e qualificanti fatte da tutto il movimento delle CdB. Queste, infatti, non hanno né vogliono avere una loro concezione autonoma della partecipazione, della democrazia, dello Stato. Esse, anzi, portano avanti nella Chiesa una ricerca che esclude la possibilità di usare il Vangelo per costruire o giustificare progetti politici o di promozione globale dell’uomo etichettati come “cristiani”.La storia e le scelte delle cdb son in realtà legate al processo generale di riappropriazione dal basso della gestione della società, della politica, della cultura, della vita.Un tale processo autenticamente laico, che in questi dieci anni, nonostante crisi, involuzioni e arretramenti, ha coinvolto grandi masse di persone e ha chiamato in causa, interpellato, stimolato tutte le istituzioni e le forze politiche e sociali tese al cambiamento, è il nostro punto di riferimento per fare chiarezza sul rapporto fede-politica.

Le CdB si sono più volte pronunciate contro ogni forma di integralismo, ma anche contro qualsiasi separazione o dualismo fra una fede ricacciata nella vita privata e una politica priva di agganci organici con le esigenze, le espressioni, le scelte personali. Ora, se il processo storico di cui abbiamo parlato, il quale diviene “progetto storico” nella misura in cui è assunto coscientemente, è il terreno sul quale si intrecciano profondamente la vita e le espressioni di fede delle comunità e il loro inserimento politico, allora, proprio a partire da questo nostro “vissuto”, è giusto e necessario fare il punto sulla partecipazione-democrazia di base, sul dibattito politico relativo a ciò, sulle trasformazioni reali che in tale campo si verificano nel nostro paese.

Del resto, nell’esperienza di molte comunità è pratica quotidiana il confrontarsi su questi temi, non per individuare la “linea politica più giusta in assoluto, ne tanto meno per imporla a tutta la comunità ma per cercare insieme i punti di riferimento che diano chiarezza di contenuto all’ipotesi di fondo che ci accomuna e ci appassiona e cioè che qualsiasi cambiamento o progresso sociale è autentico nella misura in cui nasce dal basso e coinvolge sempre più attivamente le masse popolari, la loro responsabilità, la loro coscienza.

Il ruolo del volontariato

Come Comunità di base, insieme a tutti coloro che si impegnano per una nuova qualità della vita e per umanizzare i rapporti tra le persone, miriamo, a livello di volontariato, a contribuire a rinnovare una organizzazione sociale e statuale che assuma in se tutte queste esigenze e sia capace di dare alla collettività gli strumenti sociali, economici o di strutture cioè fornire l’occasione, perché la gente possa essere corresponsabile di se stessa o degli altri.Attraverso il proprio impegno e nell’esplicare la propria attività, il volontariato è maturato e si è reso conto che non si tratta più soltanto di dedicarsi alle opere caritative o di coprire certi spazi lasciati scoperti dalla società, ma si è posta l’esigenza di individuare le cause di questa situazione e di assumersi la responsabilità politica di intervenire.Il volontariato allora tende a non essere più semplice esecutore di un servizio anche se umanizzato, ma si propone di porsi come stimolo di aggregazioni, così diventa coprotagonista in un’azione collettiva di cambiamento. In questo contesto all’azione del volontariato si aprono anche nuove forme di intervento quali, per esempio, il cooperativismo, l’autogestione dei servizi,nuove forme di decentramento e di partecipazione sul territorio.


2.3 Dove andiamo?

Oggi il mondo ci appare minacciato da una crisi economica determinata da quei poteri forti e senza volto che vogliono cancellare il lavoro e i lavoratori, che spingono i lavoratori, siano essi i poveri del mondo che bussano alle nostre porte o i nostri giovani cui viene dato tutto ma non la possibilità di un lavoro che dia loro dignità e futuro, in condizione di sempre meno diritti e speranze.

Oggi il mondo continua ad essere divorato da una avidità – intrinseca con questo modello economico – che  devasta la nostra madre natura e metterà sempre più i popoli gli uni contro gli altri per l’acqua, la terra coltivabile, le risorse.

Ma oggi dove vediamo soffiare il vento della buona novella del Vangelo? come e con chi vogliamo intrecciare la nostra cultura, la nostra esperienza, con chi vogliamo e possiamo camminare …per un nuovo Regno, per una cittadinanza consapevole e responsabile, che dia futuro e dignità ad ogni donna, uomo e creatura vivente a partire da quelle più minacciate?

La cultura della resistenza, della partecipazione, dell’assunzione di responsabilità, del rispetto della costituzione, della democrazia, per dove passano oggi?

E’ possibile governare le trasformazioni coniugando le diversità individuali, sociali, politiche, culturali, economiche, ideali – ideologiche, emotive, di genere…?

Come? Quali strade percorrere? Come coniugare identità , singole aree di libero impegno e coordinamento di sintesi operative che permettano di gestire in modo equilibrato proposte e proteste che evitino la deriva dei conflitti, delle repressioni, delle emarginazioni?


Dall’esperienza una nuova sapienza !

I progetti di cambiamento non sono sempre assolutamente realizzabili o sicuramente migliori, spesso producono anche contraddizioni gravi e dunque:

– uscire dalla paura
– uscire dalle sicurezze
– rimanere aperti al contributo di tutti
– I tempi del cambiamento sono lenti
– non delegare ma partecipare ed arricchirci di consapevolezze
– promuovere una cultura della responsabilità e coniugarla con un nuovo
–   progetto di crescita della società
– sostenere la resistenza ed evitare lo scontro
– non stancarsi di mettere sempre in primo piano i soggetti deboli- la solidarietà
– non rinunciare ad un progetto del mondo per tutti e che coinvolga la vita di tutti

 

 IL COLIBRI’

Durante un incendio nella foresta,

mentre tutti gli animali fuggivano,

un colibrì volava in senso contrario

con una goccia d’acqua nel becco.

“Cosa credi di fare!” – gli chiese il leone.

“Vado a spegnere l’incendio!” – rispose il piccolo volatile

“Con una goccia d’acqua?” – disse il leone

con un sogghigno di irrisione,

ed il colibrì, proseguendo il volo, rispose

“Io faccio la mia parte!”.

 

 3. ESPERIENZE DI SOLIDARIETA’

3.1  Il Fondo essere del quartiere 4 di Firenze

Nel 2002 nel Quartiere 4 di Firenze (un quartiere che conta circa 70.000 abitanti) è nato il Fondo di Aiuto Sociale Essere.

Svolge una attività di solidarietà finanziaria e di microcredito a favore di persone e famiglie con problemi contingenti di difficoltà economica, che fanno parte di questa comunità territoriale o che in essa svolgono (o vi vogliono svolgere) un’attività lavorativa, di valore culturale e/o sociale.

Poiché il Fondo Essere opera con denari raccolti soprattutto fra i cittadini, ciò che ne orienta l’attività può essere così sintetizzato Chi ha qualcosa in più lo metta a disposizione di chi oggi non ha il sufficiente consentendogli domani, a sua volta, di aiutare altri.

Il Fondo Essere è nato su iniziativa del Quartiere 4 e di quattro associazioni promotrici; negli anni a queste prime 4 associazioni se ne sono aggiunte altre e attualmente partecipano alla gestione del fondo più di 25 associazioni e realtà diverse operanti nel quartiere, attraverso la disponibilità dei volontari che svolgono varie attività. La Comunità dell’Isolotto vi partecipa fin dal 2003.

Il Fondo Essere inoltre ha l’appoggio del Consiglio di Quartiere e collabora strettamente con i Servizi Sociali Territoriali del Comune.

In questi 10 anni di attività il Fondo Essere ha erogato circa 350 prestiti di solidarietà per un totale di circa 495.000 euro. Sono state sostenute persone (79% italiane e 21% di altra cittadinanza; 56% donne e 44% uomini) che avevano difficoltà a pagare l’affitto, le bollette o a far fronte a spese condominiali impreviste, persone in difficoltà per ragioni di salute o di disabilità, persone che volevano avviare qualche piccola attività lavorativa, persone che dovevano far fronte a debiti contratti per l’incapacità di gestire incauti “acquisti a rate”.

I “prestiti di solidarietà” sono dunque dati a persone che si trovano in uno stato contingente di difficoltà economica per i più disparati motivi, ma che, se sostenute, hanno le capacità di riprendersi. L’azione del Fondo Essere è dunque mirata a impedire che queste persone scivolino nella povertà e nell’impossibilità di riprendersi.

Le persone che si rivolgono al Fondo Essere sono in genere persone cosiddette “non bancabili” cioè che non hanno la possibilità di accedere al credito bancario perché non possono offrire garanzie.

Il Fondo Essere non richiede né garanzie né alcun tasso di interesse, chiede però l’impegno morale di restituire il prestito ricevuto, con modalità e tempi flessibili che possono essere concordati, perché la restituzione è la forma che la persona ha a disposizione per dare a sé stesso dignità, per sentirsi parte di una comunità solidale, per aiutare a sua volta altre persone in difficoltà.

Un aspetto interessante del Fondo Essere riguarda il meccanismo di funzionamento:

  • Sportello di accoglienza: allo Sportello si avvia il primo contatto tra il richiedente e il Fondo Essere; in questo colloquio i volontari del Fondo Essere esaminano la richiesta di aiuto e verificano se ha le caratteristiche necessarie perché possa essere realmente presa in esame dalla Commissione di solidarietà in carica che ha il compito di accogliere o meno la richiesta. Lo sportello svolge anche un servizio di consulenza per le criticità nella gestione del bilancio economico familiare o personale.
  • Commissione di solidarietà: la commissione è composta da quattro membri scelti a rotazione fra i rappresentati di tutte le associazioni che aderiscono al Fondo Essere; rimane in carica per quattro mesi e si riunisce ogni volta che ci sono casi da esaminare. Ha la funzione di accogliere o meno la richiesta di prestito. Il meccanismo di rotazione assicura la partecipazione di tutte le Associazioni. La partecipazione alle Commissioni di solidarietà rappresenta per i volontari delle Associazioni una concreta occasione di crescita individuale e collettiva del senso di democrazia e di assunzione di responsabilità.
  • Per altre informazioni vedere il sito: www.fondoessere.org

 

3.2 Le imprese cooperative: tra omologazione  e alternative creative

Con l’avvento dell’industria il mercante diventa padrone di fabbrica, il produttore si trasforma in proletario salariato. L’avidità del capitalista è la molla che spinge l’intero meccanismo. Il profitto è ciò che consente di lubrificarlo. L’operaio salariato vende la sua forza animata e la macchina a vapore cede quella inanimata. Tutto ciò rappresenta l’anima del sistema e il mercato non è più locale, ma di massa a livello planetario. Così inizia l’età contemporanea e finisce l’epoca moderna. L’impatto iniziale con il sistema fabbrica è pesantissimo: maestranze sottoposte ad orari di lavoro estenuanti, ritmi di sfruttamento al limite, assenza di qualsiasi forma di protezione sociale e previdenziale. La situazione degenera e si fa critica, la forbice della disuguaglianza aumenta e genera inquietudine. Si fa strada per la prima volta il concetto di “questione sociale”, intesa qui come questione operaia. Come reazione al capitalismo nascono fenomeni nuovi per contrastarlo e mitigarlo: i partiti socialisti, i sindacati, le società di mutuo soccorso e anche l’impresa cooperativa. Quest’ultima rientra a pieno titolo in questo fenomeno di contrasto al liberismo.

La cooperativa è un’iniziativa privata, a proprietà collettiva, frutto dell’associazione di più persone che si uniscono volontariamente per avviare un’esperienza imprenditoriale allo scopo di ottenere beni e servizi a condizioni migliori rispetto a quelle del mercato popolato,  da imprese for-profit. In quanto impresa, poi la cooperativa ha natura produttiva. Duplice invece l’obiettivo di questa forma organizzativa, l’aspirazione di carattere generale: l’interesse non lucrativo dei soci o, in aggiunta ma non in alternativa, lo scopo solidale a favore di soggetti terzi. Il dilemma che spesso oggi si pone davanti a questo tipo di imprese è basato sulle seguenti questioni:

a) come conciliare i principi e i valori della proposta cooperativa, lo sviluppo mutualistico e solidale, con le richieste di un mercato globalizzato;

b) come garantire partecipazione democratica insieme all’efficienza;

c) come coniugare libertà degli amministratori e diritto-dovere del socio di essere informato e messo in condizione di votare in modo consapevole;

d) come impostare il rapporto tra cooperazione e finanza per sostenere la crescita delle cooperative nel rispetto dei criteri etici e valoriali.

Sono questioni di difficile soluzione perché nella logica capitalistico-finanziaria efficienza e sviluppo sono molto spesso posti in contrapposizione con partecipazione e cooperazione, i valori economici sono in antitesi con la valorizzazione umana della persona. In questa dinamica antitetica la tentazione del mondo cooperativo è quella di omologarsi a valori del mercato globalizzato e della crescita del PIL a tutti i costi per non soccombere alla concorrenza. Si dimenticano spesso gli scopi originari della cooperazione, mettendo in secondo piano gli aspetti umani, la valorizzazione della persona nelle sue esigenze materiali e ideali.

Emerge sempre più chiaramente anche dalla crisi attuale che bisogna invertire questa tendenza ad assecondare l’ideologia della crescita illimitata e invece puntare sulla decrescita per finalizzare tutta la vita economica e sociale a soddisfare i reali bisogni degli individui, sia materiali che spirituali. La crisi finanziaria, dice Latouche, è un’occasione da non perdere per ricostruire da zero un sistema economico che non funziona, i cui effetti deleteri si manifestano e si manifesteranno periodicamente. Nella nostra società fondata sul consumismo, sulla crescita e sul benessere, sarà la contraddizione a salvare il mondo, a garantire un futuro che porterà lentamente, ma sicuramente ad una decrescita, con meno “benessere”, ma più “ben-vivere”, ad una opulenza frugale, ad una sobrietà consapevole, ad un accorto utilizzo delle risorse della nostra madre terra e a ristabilire un minimo di gerarchia tra l’indispensabile e il superfluo.

Il mito della crescita ha trascurato e sacrificato i valori non economici quali il volontariato, la reciproca assistenza, la familiarità del borgo rispetto all’anonimato delle metropoli, la convivialità, la qualità dei cibi, gli stili di vita non stressanti. Ci sono attualmente nella società segnali di cambiamento in questo senso, che devono essere valorizzati e incrementati, reinventando su basi nuove il metodo cooperativo, in modo da ritornare ai suoi valori originari. Ciò può contribuire significativamente a reimpostare la società in senso comunitario.

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ALLEGATI

1 – DICEMBRE 1982 – CONVEGNO NAZIONALE CdB “VOLONTARIATO E IMPEGNO NEL SOCIALE”

Come Comunità di base, insieme a tutti coloro che si impegnano per una nuova qualità della vita e per umanizzare i rap porti tra le persone, miriamo, a livello di volontariato, a conribuire a rinnovare una organizzazione sociale e statuale che assuma in se tutte queste esigenze e sia capace di dare alla collettività gli stru menti sociali, economici o di strutture, cioè fornire l’occasione, perché la gente possa essere corresponsabile di se stessa o degli altri.
Attraveso il proprio impegno e nell’esplicare la propria attività, il volontariato è maturato e si è reso conto che non si tratta più’ soltanto di dedicarsi alle opere ca ritative o di coprire certi spazi lasciati scoperti dalla società, ma si è posta l’esigenza di individuare le cause di questa situazione e di assumersi la responsabilità politica di intervenire. Il volontariato allora tende a non essere più’ semplice esecutore di un servizio an che se umanizzato, ma si propone di porsi come stimolo di aggregazioni, cosi’ diventa coprotagonista in un’azione col ettiva di cambiamento.
E in questo contesto all’azione del volontariato si aprono anche nuove forme di intervento quali, per esempio, il cooperativismo, l’autogestione dei servizi, nuove forme di decentramento e di partecipazione sul territorio.
Dal dibattito è emersa una convergenza con alcune proposte presentate dal relatore Luciano Tavazza:
-il rifiuto del ruolo della supplenza, anche se nel Sud d’Italia sono merse delle carenze tali, da parte’dello Stato, per cui il volontariato si trova costretto anche a supplire;
-il volontariato non è azione privatistica facilmente strumentalizzabile come gratificazione personale, ma intervento di valenza ed incidenza sociale;
-il volontariato, in generale, non può agire al di fuori di una programmazione della politica di intervento nei servizi pubblici, né senza confrontarsi con quelle forze che perseguono concretamente obiettivi di rinnovamento nella vita civile del paese .

2 – DALL’ASSISTENZIALISMO ALLA SOCIETA’ DEI DIRITTI
Un percorso di convergenza e di intreccio fra la Comunità dell’Isolotto e l’Humanitas – 25 maggio 2000

E qui vorrei entrare proprio nel merito della questione che rimane aperta sulla riforma della “sussidiarietà”. E’ del tutto evidente che il volontariato è capace di dare ai bisogni risposte che lo stato non potrà mai dare. Finora, si dice, tali risposte sono state considerate appendici, aggiunte, complementi, “sussidi” rispetto all’intervento statale. Ora una petizione di alcune associazioni del volontariato chiede che divengano organiche anzi fondamentali, fino a ipotizzare e chiedere un rovesciamento del senso della sussidiarietà: non il volontariato sussidiario nei confronti dello stato, ma al contrario l’intervento statale sussidiario dell’iniziativa del privato sociale, economico, ecclesiale. Una vera e propria rivoluzione copernicana: al centro la persona e la sua libera iniziativa e non più lo stato. Le cose però si complicano se si guardano nella loro complessità. E’ proprio vero che il volontariato è stato finora sussidiario? Solo per certi aspetti, ma non per tutti. E’ da considerarsi sussidiaria la cura dei malati, degli anziani, degli handicappati assicurata dalla famiglia e in specie dalle donne? Se c’è da operare una riforma è per allentare la pressione della cura sulle famiglie e sulle donne, è per liberare i bisogni elementari della casa, del lavoro, della salute e dell’istruzione dal primato e dall’assolutizzazione del danaro e degli interessi confessionali. “Come possono i lavoratori – si domandava Giorgio La Pira nel 1954 rispondendo alle accuse di statalismo rivoltegli da don Sturzo – aver fiducia in un ordine sociale nel quale la loro vita è affidata ai venti così infidi della cosiddetta ‘libera iniziativa’?”. Può il volontariato associarsi alla richiesta di sussidiarietà avanzata dal privato mercantile o confessionale? Dunque quale sussidiarietà è più consona al volontariato Si è trovato immerso in un processo storico unitario chi ha vissuto il tempo dell Antifascismo e della Resistenza, chi ha dissentito dal sistema totalitario comunista e ha tenuto saldo l’ideale di fondo del comunismo come umanesimo sociale chihadovutofareiconti col sistema di dominio imposto dalla cupola di fuoco della bomba, chi ha lottato per la decolonizzazione e per la liberazione dei popoli chi ha vissuto da protagonista la grande trasformazione culminata nella stagione del 68-69 e ha subito la repressione, le stragi, la strategia della tensione, del terrorismo, chi ha re sistito al riflusso degli anni 80 e chi si affaccia oggi alla politica facendosi orientare dalla stella polare della socialità. Potremmo definire tale processo storico come creazione da lbasso di una società comunitaria oltre i confini. Un filo teso lega insieme l’insurrezione liberatrice del 45 giù fino alla prima manifestazione europea per il.lavoro di Amsterdam nel mese di giugno 1997. E una-memoria unitaria tiene insieme la nostra identità. L’agguato èdietro ogni angolo.
Prendiamo ad esempio l’approvazione della norma 56 del documento di riforma varata dalla Bicamerale. • Esso rovescia uno deicompiti fondamentali della Repubblica, quel lo sancito dal secondo comma dell’art. 3 dellaCostituzione. Secondo la norma 56, sono i privati e quindi il libero mercato che dovrebbero assicurare ai cittadini libertà, uguaglian za, pieno sviluppo della persona, partecipazione. Le Comunità locali, organizzate in Comuni e Provincie, le Regioni e lo Stato dovrebbero intervenire solo per sussidiare o supplicare le funzioni che non possono essere più adeguatamente svolte dall’autonomia dei privati.
Ecco annullare la memoria di un secolo di storia fatta di esperienze positive e creative e di lotte di operai, contadini, intellettuali,compresa la Resistenza, esperienze e lotte che avevano trovato compimento nella Repubblica fondata sul lavoro. Un nuovo fonda mento s’impone nell’epoca della globalizzazione liberista: l’autonomia dell’interesse dei privati.Bisogna sradicare dal cuore stesso delle persone l’ideale del comunitarismosenza confin,il principio dell’università dei diritti sociali e il primato dell’individuo quale portatore di tali diritti. Se così stanno le cose, la resistenza della memoria non è un optional