Euro, quale Alternativa?

Piero Pagliani
www.megachipdue.info

Una nostra associata che vive in Germania ha posto alcune domande che essendo di grande interesse meritano una risposta pubblica. Ecco il nucleo di quelle domande:

“Vorrei chiedere, visto che non mi è molto chiaro, se Alternativa vuole uscire da questo sistema finanziario basato sull’usura introducendo una moneta sovrana nazionale oppure continuare su questa strada? Perché qui in Germania c’è un movimento molto ben preparato su questo argomento cioè uscire fuori dall’Euro e dal sistema finanziario cosi come è attualmente. Credo che anche noi di Alternativa dobbiamo essere più chiari e concisi nell’esporre il programma mettendo a rilievo i punti chiave. Cercando di non perderci nel solito circolo chiuso classico mettendo a rilievo gli errori che fanno gli altri, è spreco di energia. Dobbiamo usare il metodo gandhiano, colpirli nei punti strategici.
Credo che se la Germania (la nazione più forte d’Europa) auspica lo stesso traguardo, potremmo collaborare.”

A.G., Monaco di Baviera.

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La risposta che io avanzo è la seguente:

1. Alternativa all’ultima Assemblea nazionale di Pordenone ha deciso di non assumere la parola d’ordine dell’uscita unilaterale dell’Italia dall’euro e, contemporaneamente, di contrastare radicalmente ciò che lei chiama “questa strada”.
Come sia fatta “questa strada” è stato descritto in vari modi, che variano dal vedervi gli esiti di un complotto massonico o massonico-sionista (visione che ricorda troppo da vicino, lo si voglia o no, quella famigerata del “complotto demo-pluto-giudaico”) all’individuazione di tutti i mali d’Europa nel neo-mercantilismo tedesco (a volte con l’errore speculare al primo di vedere nella Germania una potenza sempre pronta a creare ciclicamente problemi al resto del mondo).
La seconda interpretazione coglie un elemento di verità: la difesa della costruzione monetarista europea da parte della Germania per sfruttare i propri differenziali di produttività (pagati in primo luogo dai lavoratori tedeschi) al fine di generare un ampio surplus commerciale ai danni dei propri partner europei.

La prima interpretazione, se tale si può definire, coglie nel peggior modo possibile un altro aspetto reale del problema, cioè la finanziarizzazione dell’economia dei Paesi capitalistici avanzati. Questa finanziarizzazione è iniziata grosso modo una quarantina di anni fa, non da pochi anni come racconta chi vede l’inizio dei guai odierni nella crisi dei “subprime” della fine del 2006. Non solo, essa non fa capo ad una “metafisica extraterritorialità” dei centri finanziari, perché tali centri fanno capo alla doppia coppia Wall Street-Washington e City-Londra, con le loro diramazioni, ovviamente anche dentro la Germania stessa.

Differentemente da altre organizzazioni e laboratori politici che hanno, beati loro, le idee chiare e scolpite nel marmo, in Alternativa continuiamo incessantemente l’analisi della realtà. Lavoro obbligato proprio dalla dinamica parossistica di questa crisi che ogni giorno rivela un aspetto nuovo, punta emergente di un iceberg di interessi, conflitti, strategie e tattiche, pubbliche e private, che a volte si combinano in modo che ne scaturisce una direzione che sembra quasi casuale o paradossale. Non lo facciamo per puro amore di verità (categoria problematica in questi fenomeni fortemente influenzati dalle intenzionalità), ma per trovare una bussola che ci permetta di dare risposte politiche sensate, di largo respiro e che non peggiorino il male a fronte di sollievi immediati lievi ed effimeri.

2. Alcuni di noi pensano che in realtà la situazione attuale in Europa sia caratterizzata da una doppia trappola: una trappola interna rappresentata dal neo-mercantilismo tedesco e una trappola più esterna costituita dalla finanza internazionale che fa capo agli USA e, in posizione subordinata, alla Gran Bretagna.
Una doppia trappola dove si intrecciano, con modalità che devono essere continuamente colte e disvelate, sia fattori economico-finanziari sia strategie geopolitiche e che fonda la sua esistenza sul monetarismo e il neoliberismo, che noi consideriamo, assieme alle continue guerre imperiali a guida Usa e conduzione Nato, strategie per gestire una gigantesca crisi sistemica di cui quella finanziaria attuale è solo l’atto più recente.
Quindi noi non consideriamo la finanziarizzazione semplicemente un’espressione del potere di qualche grosso e potente “usuraio”, benché la finanziarizzazione sia effettivamente basata su una forma moderna e sofisticata di usura.

Data questa visione delle cose riteniamo che l’uscita solitaria dall’euro dell’Italia non porterebbe a una sovranità monetaria, e tanto meno politica, dato che scatterebbe immediatamente la trappola finanziaria più esterna e la politica economica statunitense detterebbe i termini di quella italiana. Dobbiamo ricordarci che nel ventennio di grande sviluppo materiale seguito alla Seconda Guerra Mondiale, quando era vigente la lira e i flussi di capitale erano strettamente vincolati, la nostra politica economica era perennemente sotto il “ricatto della congiuntura”, della lotta all’inflazione e del pareggio dei conti con l’estero, che facevano sì, come ricorda Augusto Graziani, che «le riforme strutturali di più lungo periodo venissero sistematicamente accantonate» [1].

Ma anche alla fine del Novecento gli USA piegarono ai propri interessi la sovranità monetaria di una gigantesca potenza economica come il Giappone al quale furono imposte politiche monetarie che hanno avuto drammatiche conseguenze sociali[2].

Quando si fa l’esempio positivo dell’Argentina (che de-dollarizzò il peso e ristrutturò il debito estero) ci si dimentica oltre che delle specifiche risorse territoriali argentine, anche di un’altro fattore territoriale: che in quel periodo gli USA avevano già distolto l’attenzione dal “cortile di casa” per focalizzarsi sull’Eurasia (cosa che fu rimproverata da Obama a Bush jr in campagna elettorale). Oggi l’Europa è invece come non mai sotto lo sguardo acuto dell’aquila calva statunitense, e in particolar modo lo sono i suoi estremi a Nord, a Sud e ad Est. E gli artigli fanno presa utilizzando leve congiunte militari, diplomatiche, economiche, finanziarie, politiche e culturali.

3. Leggere l’assalto speculativo all’Europa solo in termini monetaristici non spiega quindi molto.
Così come non spiega molto pensare al professor Monti come ad un pasdaran dell’euro. In realtà le ultime mosse fanno pensare ad altre strategie. Come riportato dal «Sole 24 Ore», l’FMI prevede che “l’Italia produrrà nel triennio 2011-2013 il più grande bilancio primario statale cumulato delle economie avanzate censite statisticamente dall’Fmi”. Un avanzo stimato nell’ordine del 7,8% del PIL. Solo la Germania riuscirà ad avere un avanzo primario, ma limitato al 3%, mentre tutti gli altri Paesi “saranno schiacciati da disavanzi statali primari cumulati imponenti perché la loro crescita economica continuerà a essere finanziata in deficit.”

A quel punto “quando apparirà sempre più chiaro dai numeri che l’Italia sarà l’unica ad aver rispettato gli impegni europei, avremo finalmente recuperato non solo la credibilità ma anche l’autorità necessaria per chiedere alla Germania di fare di più per la crescita e di avviare un progetto continentale per la stessa, magari attraverso quegli eurobond che finora sono stati osteggiati in modo poco lungimirante.”
Pur prendendo con le pinze queste previsioni, che hanno pur sempre il vizio di essere puramente contabili, si può intuire tra le righe una particolare strategia che vede l’Italia, ancora una volta, come un Paese di frontiera in cui si porta avanti un esperimento imperiale avanzato, ovvero quello di poter essere contrapposta alla Germania e alle sue tentazioni di Ostpolitik.

Questo quadro, secondo le previsioni dell’FMI, non si chiarirà chissà quando, ma già “nel triennio 2011-2013”, cioè in tempi politici.

È anche per questo che in Italia si tenterà anche l’esperimento più avanzato di “autocrazia politico-finanziaria” che già dimostra non solo di non voler tollerare opposizioni radicali di sinistra, ma nemmeno opposizioni radicali di destra (la bufera sulla Lega Nord ne è un segnale). Di fatto l’Italia, con la Grecia, è alla data l’unico Paese occidentale dove non esiste un governo nazionale.

Ovviamente ho enunciato un’ipotesi di lettura, non la verità. Anche perché, come si diceva prima, in queste cose la realtà è un processo che subisce continue variazioni. Quindi difficile appellarsi ad un criterio verificazionista. Il che, ovviamente, è un problema.

Ma se così è, nel capitalismo italiano possiamo aspettarci una lotta per raccogliere tutti i benefici di questa strategia, che vedranno innanzitutto come protagonisti gli attori capitalistici più legati e compatibili con le strategie “atlantiche”, impegnati in centralizzazioni, nell’accaparramento dall’enorme massa di ricchezza messa sul mercato dalle privatizzazioni, in gestioni selvagge dei salari e delle condizioni di lavoro e in redde rationem tra i grandi potentati finanziari, che non formano una “classe transnazionale” solidale, bensì impegnata in lotte interne senza quartiere (quella recentissima attorno al trittico Mediobanca-Fonsai-Unipol è solo uno dei tanti atti).

4. Ne consegue che sebbene la parola d’ordine di uscita dall’euro sia molto “appealing” e sicuramente procurerà alcuni successi, anche vistosi, alle forze politiche che la faranno propria (si veda il Front National di Marine Le Pen in Francia), e sebbene riteniamo che l’euro e la politica europea siano un disastro voluto e annunciato per i popoli europei, tranne che per la minuscola percentuale che ne trae e trarrà beneficio, i modi per affrontare la crisi senza passare dalla padella alla brace non sono molto semplici.

Altre opzioni devono essere esplorate. Ad esempio la possibilità di un’azione europea per ribaltare i trattati di Maastricht e di Lisbona e che riesca a bloccarne fin da subito le conseguenze, per riformare tutte le sue istituzioni in senso democratico, e per imporre un controllo politico europeo sulla BCE, oggi oggetto del contendere tra gli interessi tedeschi e gli interessi anglosassoni. Oppure l’uscita dall’euro dei cosiddetti PIIGS con la costituzione di un’Europa Mediterranea (ma questo implica la costruzione di un retroterra geopolitico e quello nel Mediterraneo, il più naturale, grazie alle tanto decantate “primavere arabe” oggi è però ipotecato dagli Stati Uniti, mentre la chiave della Ostpolitik è attualmente posseduta dalla Germania e occorrerebbe strappargliela).

La nostra percezione è che da soli si verrebbe travolti. Oggi lo scontro avviene tra entità statali gigantesche, USA, Russia, Cina, Brasile. Ben si capisce perché nonostante il raccapricciante massacro sociale al quale sono sottoposti, i Greci in maggioranza non se la sentono di uscire dall’euro.

Ma lo stesso discorso vale per una potenza economica di primo rango come l’Italia. Chi pensa che uscendo dall’euro solitariamente si possa riprendere la sovranità monetaria e addirittura ripetere i fasti “keynesiani” del ventennio seguito alla Seconda Guerra Mondiale, addirittura in forme socialmente più avanzate, a mio avviso sbaglia doppiamente: storicamente e politicamente. Per farlo, oggi come oggi, ci vorrebbe un governo quasi bolscevico, ma a quel punto, paradossalmente, staremmo parlando immediatamente di un progetto molto più ambizioso di un keynesismo sociale.

Ovviamente è impensabile sottostare più a lungo alla politica monetarista e neoliberista europea che fa perno sull’euro. Per questo motivo siamo in prima fila nelle lotte sociali contro le politiche del governo attuale. Lotte alle quali bisogna però dare anche uno sbocco politico, che non significa un pugno di persone al parlamento, ma indicazioni strategiche sui processi complessivi di riproduzione della società.

Il problema quindi è semplice da definire, ma le soluzioni politiche non lo sono per nulla. L’uscita solitaria dall’euro, benché per nulla scandalosa, non ci sembra essere in sé una soluzione politica, bensì una soluzione economica di stampo uguale e contrario al monetarismo europeo. Ma senza la politica l’economia da sola non è in grado di indicare e percorrere nessuna strada.

Per quanto riguarda la Germania c’è da dire che sta mettendo a punto una sua propria strategia per l’uscita unilaterale dall’euro. Che Berlino sia pronta ad usarla in pratica o solo come minaccia dipenderà da come evolve la crisi, dalle pressioni che le verranno fatte e non intenderà subire e dalla sua capacità di agganciarsi a Est.

La saluto cordialmente,

Piero Pagliani, Ufficio Centrale di Alternativa

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NOTE:

[1] Augusto Graziani, “Lo sviluppo dell’economia italiana” (Bollati Boringhieri, 2000, pag. 16). Le “riforme strutturali” erano il perno della strategia del Partito Comunista Italiano.
[2] Si pensi al Plaza Accord del 1985 e al Reverse Plaza Accord del 1995. Si noti che in questi accordi anche la politica monetaria di un altro gigante, la Germania, fu fortemente condizionata dalla volontà statunitense.