Se l’Africa diventa il continente del terrore

la Repubblica, 30.04.2012

Il sanguinoso attentato durante una messa all´Università di Kano, porta sulle tracce dei terroristi di Boko Haram. Kano è la città epicentro del conflitto tra il gruppo settario, che punta alla fondazione di uno Stato islamico nel Nord del paese, e il governo centrale . Per Boko Haram i cristiani sono il bersaglio per eccellenza. Il nome ufficiale del gruppo è Jama’atu Ahlis Sunna Lidda’awati walJihad, che vuol dire: «La comunità comandata a diffondere gli insegnamenti del Profeta e la jihad».

Ma l’espressione Boko Haram che nella lingua della popolazione locale, l’Hausa, vuol dire «Proibire ciò che è occidentale», coniata dagli abitanti di Maiduguri, città nella quale il gruppo ha il suo quartiere generale, è assai significativa. Esso si oppone a tutto ciò che è ritenuto occidentale e nella visione del mondo del radicalismo islamista, Occidente e cristianità coincidono. Dunque, i cristiani sono colpiti in quanto ritenuti veicoli di una cultura e una religione che danno forma al volto del Nemico.

Con la sua massiccia campagna di attentati Boko Haram mira a una pulizia etnica del Nord nigeriano. Solo una divisione tra sud cristiano e nord musulmano può consentire al gruppo di dare vita a uno Stato islamico popolato da una nazione omogenea almeno dal punto di vista religioso. Il conflitto su base religiosa si sovrappone, infatti, a quello etnico.

Gli Hausa — Fulani, gruppo etnico di religione islamica che vive nel Nord sono nemici degli Ibo, in larga parte cristiani. Il conflitto settario punta, dunque, a far esplodere anche le mai sopite tensioni etniche: le stesse che hanno condotto il paese sull’orlo della dissoluzione negli anni Sessanta.
L’attentato in Kenya rimanda, invece, alle tensioni nel Corno d’Africa. Le milizie somale degli Shabaab sono oggi in difficoltà. Anche a causa dell’intervento kenyano oltre confine dello scorso autunno, che aveva come obiettivo il contenimento dell’espansione islamista verso l’area di Mombasa, potenzialmente favorita dallo stanziamento della popolazione somala insediatasi in Kenya a seguito della lunga guerra civile.

Dopo l’intervento militare kenyota, non certo disapprovato dall’Occidente, si sono succeduti numerosi attentati, anche se non della portata temuta da molti dopo che gli Shabaab hanno minacciato di «portare la guerra in Kenya e distruggere i grattacieli di Nairobi». Dunque, l’attacco alla chiesa di Nairobi, pur grave, non è ancora il “Big One” tanto atteso: quello per cui, nei giorni scorsi, gli Usa hanno dichiarato lo stato d’allerta per la loro ambasciata e il personale presente nel Paese.

Resta il fatto che l’Africa, segnata da condizioni di vita assai difficili, da Stati falliti o scossi da conflitti etnici, tribali, religiosi, sembra in talune aree un enorme buco nero che inghiotte qualsiasi tentativo di stabilizzazione politica e genera una forza gravitazionale capace di alimentare il radicalismo. Tra Niger, Ciad, Mali e Mauritania, si è diffusa Al Qaeda nel Maghreb Islamico, nata dalla trasformazione dell’algerino “Gruppo salafita per la predicazione e il combattimento” in organizzazione del jihad regionale. Mira a espandersi non solo nel Sahel centro-occidentale ma anche in Senegal e Nigeria settentrionale, in particolare negli stati ai confini con Niger e Ciad.

Puntando a un’alleanza con i gruppi radicali che vi operano, come Boko Haram, al quale ha offerto un’alleanza in nome della comune lotta al “potere cristiano”. La Somalia è lontana, ma il disegno strategico qaedista è quello di saldare le diverse forze locali lungo la dorsale africana, attraverso il Sudan e il Kenya. L’Africa è destinata a essere, sempre più, terra del jihad.