Mediterraneo, sbarchi senza fine

Stefano Pasta
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Nel Cimitero Mediterraneo si continua a morire. “Stavo bevendo un bicchiere di vino in un angolo della spiaggia quando ho visto un gommone che andava alla deriva sulla costa. È stato veramente surreale”, ha raccontato uno dei primi soccorritori degli 88 profughi, provenienti dal Ciad e dalla Somalia, naufragati domenica mattina a Ghajn Tuffieha, una delle più note spiagge di Malta. Effettivamente lo sbarco è stato surreale: è avvenuto nel bel mezzo di una festa in riva al mare a cui partecipavano un centinaio di persone.

Hanno subito portato soccorso ai profughi, tra cui 20 donne e 4 bambini, prima che la polizia maltese arrestasse i naufraghi per ingresso illegale nel Paese. Un viaggio, iniziato tre giorni prima in Libia, segnato da fame, sete e paura, ma soprattutto dal dolore: i migranti hanno raccontato di aver dovuto buttare in mare i cadaveri di 7 connazionali morti di stenti durante la traversata. Si tratta del terzo sbarco a Malta in quest’ultima settimana. Ma le rotte dei viaggi della speranza legano le coste maltesi a quelle italiane, così come il conteggio dei cadaveri. Il 29 aprile, sulle coste agrigentine, a Licata, si è concluso in maniera tragica uno sbarco di una ventina di egiziani: un ragazzo di 16 anni, obbligato dagli scafisti a buttarsi in mare, è annegato perché non sapeva nuotare. Il giorno prima, nella Locride, un episodio simile: 40 afghani, partiti dalla Grecia in nave e portati poi in gommone fino a 250 metri dalla riva, erano stati costretti a proseguire a nuoto. Il bilancio: un morto e due feriti gravi.

L’Afganistan era anche la terra di partenza di Alì, 16 anni, ritrovato senza vita il 2 maggio nel vano di un camion, morto asfissiato per il caldo e per la mancanza di ossigeno. Insieme a due fratelli, si era nascosto a bordo di un traghetto di linea partito dalla Grecia e diretto a Venezia. Non aveva nulla con sé: aveva addosso solo un paio di mutande. Spesso si fa a gara a contare quanti “clandestini” sbarcano, pronti a gridare all’invasore. E spesso il terribile invasore è un sedicenne disperato, magari in mutande. Ma quanti sono quelli che non sono arrivati? Il bollettino dei caduti ai confini della Fortezza Europa va aggiornato di giorno in giorno. Fortress Europe, un osservatorio online sulle vittime dell’immigrazione, calcola che dal 1988 siamo morte lungo le frontiere del nostro continente almeno 18.267 persone. 2.352 soltanto nel corso del 2011. Ma il dato reale è sicuramente molto più grande, poiché nessuno sa quanti siano i caduti di cui non abbiamo mai avuto notizia. Lo sanno soltanto le famiglie dei dispersi, che dalla Tunisia all’Afghanistan, si chiedono da anni che fine abbiano fatto i loro figli partiti un bel giorno per l’Europa e mai più tornati.

Dice Gabriele del Grande, curatore di Fortress Europe: “Muoiono giorno dopo giorno. Anno dopo anno. E i loro corpi finiscono nell’oblio delle coscienze, seppelliti in fondo al cimitero Mediterraneo. Mangiati dai pesci e accatastati sopra le tubature dei gasdotti che sembrano a volte l’unico ponte rimasto tra le due rive”.