Siria, situazione di stallo

Christian Elia
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Il tono di voce del premier turco Racep Erdogan, durante la conferenza stampa di ieri 8 maggio 2012 con il premier italiano Mario Monti, non era il solito. Chi ne segue la comunicazione lo conosce duro e tonante, quando si parla di questioni delicate.

”Ho perso la speranza perché non riusciamo ad arrivare al risultato voluto. Le elezioni appena tenutesi in Siria sono pilotate, si sono svolte senza osservatori e questo non si può accettare”, ha detto Erdogan, parlando della crisi siriana. ”Il Consiglio di Sicurezza Onu forse dovrebbe fare passi diversi, agire con più forza su Damasco. Cosa possono fare cinquanta osservatori? Ce ne vorrebbero 2mila, 3mila, una missione di grande portata”, ha aggiunto laconico.

Un senso di impotenza, aggravato dalla sconfitta alle presidenziali francesi di Nicholas Sarkozy, sostenitore più strenuo – assieme a Erdogan – del pugno di ferro contro Assad. La vittoria di Francois Hollande, per ora, allontana l’ipotesi di una presa di posizione più dura di Parigi nei confronti del regime di Damasco, nonostante le dichiarazioni di ieri del Dipartimento di Stato Usa, che si è detto pronto a chiedere il varo di sanzioni più rigide contro il governo siriano.

Una sensazione diffusa di immobilismo: sembra che la comunità internazionale non sappia che pesci prendere. Una percezione rafforzata dall’atteso discorso dell’inviato speciale Onu in Siria, Kofi Annan. ”Nonostante la diminuzione dell’uso di armi pesanti da parte delle truppe governative le violazioni dei diritti umani in Siria potrebbero essere aumentate. Ho ricevuto l’assicurazione che tutti e 300 i membri della missione saranno sul territorio siriano entro la fine del mese di maggio”, ha detto Annan. ”Credo che la loro presenza possa fare la differenza e avere un impatto fondamentale sulla crisi. Auspico un processo politico, un dialogo tra le autorità e la popolazione. E non è il caso di questa tornata elettorale”. A quanto si apprende, inoltre, Annan si recherà a Damasco nei prossimi giorni, ma non sembra che le Nazioni Unite abbiano le idee chiare.

Lo ha percepito anche l’ala militare degli insorti. ”Non rimarremo con le mani in mano perché‚ non possiamo più sopportare e aspettare mentre continuano le uccisioni, gli arresti e i bombardamenti, nonostante la presenza degli osservatori”, ha dichiarato il colonnello siriano Riad al-Assaad, passato con i ribelli. Dopo aver rigettato le accuse in merito agli attentati che i media vicini al governo attribuiscono ai ribelli, il militare ha aggiunto che ”gli osservatori Onu rischiano di essere trasformati in falsi osservatori: il popolo ci chiede di esser difeso in assenza di ogni seria misura da parte del Consiglio di Sicurezza, che fornisce al regime la possibilità di commettere altri crimini”.

Damasco, per ora, tace. Insiste sulle responsabilità di Israele, Turchia, Arabia Saudita e altri attori sulla crisi del Paese, mentre non diffonde i risultati delle elezioni dei giorni scorsi. In fondo Assad si rende conto che meglio di così non può andare. Prende tempo, tenta di trovare soluzioni. Se i ribelli attaccassero su larga scala, ne uscirebbero indeboliti di fronte all’opinione pubblica internazionale, che nonostante Erdogan non sembra pronta ad accettare un nuovo intervento militare internazionale sul modello libico. Ma, d’altro canto, il regime non sembra in grado di riprendere il controllo della situazione come nulla fosse accaduto.

Una situazione di stallo. Un ordigno è esploso oggi nel villaggio di Atman, nella provincia di Daraa, nel sud della Siria, al passaggio del convoglio della missione di osservatori Onu, che si trovano nel Paese per monitorare l’applicazione del piano di Kofi Annan per una soluzione della crisi.

Lo ha riferito la tv di Stato ufficiale siriana, secondo cui la detonazione ha ferito otto elementi della scorta che accompagna gli osservatori, ma nessuno di questi ultimi. L’esplosione avrebbe coinvolto anche una vettura della stessa tv di Stato, ferendone i passeggeri in modo lieve. Su un mezzo del convoglio viaggiavano anche giornalisti, alcuni dei quali italiani, illesi. Un botto che tiene svegli tutti, mentre la situazione in Siria sembra come congelata.