Fine del mondo o fine dell’euro?

Marco d’Eramo
il manifesto, 15 maggio 2012

Ma se l’euro si disintegra è proprio Fine di Mondo? Fino a ieri fare questa domanda era appannaggio solo di qualche pericoloso estremista. Ai mitici «mercati» sembrava possibile distinguere fra salvati e sommersi dell’euro. Certo, con un regime di rigore estremo avrebbero sofferto a lungo – e forse sarebbero naufragati – tutti gli esseri umani che non dispongono di fondi, ma almeno i capitali si sarebbero salvati. Oggi invece rischiano di liquefarsi anche i preziosi capitali. Così il dubbio sulla moneta unica viene pure ai portavoce più ortodosssi della finanza mondiale: The Economist ammette che salvare l’euro è auspicabile, «ma non a qualunque prezzo». Persino il presidente della Consob, l’organo di supervisione del capitalismo italiano, ieri si è lanciato contro «la dittatura dello spread»: Giuseppe Vargas ha detto infatti che «lo spread attribuisce ogni potere decisionale a chi detiene il potere economico, nei fatti vanificando il principio del suffragio universale» e compromettendo le stesse fondamenta delle democrazie europee: neanche Nichi Vendola o Mélenchon usano accenti così duri.

Se anche i finanzieri si ribellano contro il rigore, se pure a loro i conti non tornano, siamo alla frutta. E che i conti non tornassero lo hanno già affermato con forza gli elettori greci, francesi, italiani, e domenica anche tedeschi che in modi diversi hanno tutti votato contro l’austerità e il rigore imposto dalla Germania e hanno detto che per la moneta unica hanno già dato abbastanza, forse troppo.

Il dilemma è inaggirabile: senza il rigore l’euro va a picco; con il rigore soffocano tutti gli europei. In questa morsa sono presi tutti, a cominciare dal neo presidente francese. Nel vertice di domani con la cancelliera tedesca, e comunque entro 20 giorni, François Hollande deve strappare ad Angela Merkel almeno qualche concessione di sostanza per avere un risultato presentabile da mostrare ai francesi il 10 giugno, se vuole disporre di una maggioranza nel nuovo parlamento che uscirà allora dalle urne. Nella stessa morsa si trovano gli elettori greci che con ogni probabilità dovranno tornare a votare anch’essi il mese prossimo. E così gli spagnoli che hanno sono sull’orlo di un disastro bancario senza precedenti, solo rimandato dalla nazionalizzazione di Bankia. Gli stessi finanzieri tedeschi, dietro l’oltranzismo rigoristico, in realtà tremano: l’uscita della Grecia dall’euro trascinerebbe con sé in prima istanza Irlanda e Portogallo, e in seconda battuta farebbe affondare le banche spagnole e italiane, di rimbalzo colpendo al cuore il sistema produttivo tedesco: cioè nelle sue esportazioni.

Detto in soldoni: la dissoluzione dell’euro a breve termine è già all’ordine del giorno nelle cancellerie, e nelle stanze del potere, anche se nessuno lo ammette apertamente. E non è detto che sia una tragedia. Certo, il primo anno sarà terribile, ma forse non peggiore di quel che ci aspetta se continuiamo a stringere la cinghia fino a deperire d’inedia.