La casta si protegge. “Noi Siamo Chiesa” sulle Linee guida sugli abusi sessuali su minori da parte del clero

NOI SIAMO CHIESA
E-mail vi.bel@iol.it
www.noisiamochiesa.org

Comunicato stampa – Le “Linee Guida” sugli abusi sessuali dei preti sui minori non cambiano niente della situazione attuale. L’indignazione di “Noi Siamo Chiesa” per questa non evangelica difesa della casta ecclesiastica.

Il portavoce nazionale di “Noi Siamo Chiesa” Vittorio Bellavite ha rilasciato la seguente dichiarazione:

Questa mattina sono state distribuite ai vescovi, riuniti in assemblea, le attese “Linee guida” sul comportamento da tenere da parte dei vescovi per quanto riguarda gli abusi sessuali del clero sui minori. Esse sono state direttamente approvate dal Consiglio Permanente della CEI e poi ratificate in Vaticano. Il testo è stato redatto in un rigoroso segreto, esclusi i vescovi, esclusi i rappresentanti delle vittime e qualsiasi altro soggetto interessato, per esempio l’opinione pubblica, cattolica e non. A proposito, tra l’altro, di collegialità episcopale !!

Nel merito, ad una prima lettura, tutte le varie tappe dei procedimenti previsti (“verosimiglianza della notizia”, “indagine previa” , provvedimenti cautelari ecc..) appaiono affidate al “prudente discernimento del vescovo”. Molte sono le garanzie a tutela dei preti; delle vittime non si parla, salvo qualche generica parola di buone intenzioni nella Premessa. Esse non hanno diritti espliciti e garantiti.

Il testo ricorda che il vescovo non è tenuto, in base alla legge italiana, a deferire il prete accusato all’autorità giudiziaria. Lo sapevamo già. Ma se questo obbligo non è previsto dalla legge, poteva però essere un impegno vincolante a carico del vescovo che le “Linee guida” decidevano unilateralmente.

Il testo inoltre non prevede l’istituzione di alcuna autorità indipendente che sia il primo punto di riferimento per le vittime (ciò è avvenuto invece in tante altre conferenze episcopali e nella diocesi di Bolzano-Bressanone). Quindi tutto come prima.

Sorde e cieche sono le guide del nostri vescovi. Sorde perché, chiuse nella difesa della loro casta, non hanno ascoltato nessuno dei tanti, vittime e altri, che hanno cercato di interloquire e di proporre ragionevolmente, a partire da diritti violati. Cieche perché non vedono, non vogliono vedere, la situazione come si è manifestata, anche nel nostro paese, negli ultimi tre o quattro anni

Che poi i vescovi si ritengano degni di fiducia in questa materia è atto di pura arroganza quando, ovunque nelle nostre diocesi, è stata prassi consolidata quella di “coprire” i colpevoli e l’istituzione-Chiesa, con ben scarso interesse per le vittime. Forse a qualcuno di essi che ha più coscienza, supponiamo, capiterà di non volersi guardare allo specchio.

Amareggiati come ci è capitato raramente di esserlo, non ci resta che sperare che la nostra magistratura applichi con rigore, come ha fatto il GIP di Savona nel caso Lafranconi, il secondo comma dell’art. 40 del codice penale là dove recita : “Non impedire un reato, che si ha l’obbligo giuridico di impedire, equivale a cagionarlo” e che, a questo titolo, si proceda nei confronti dei vescovi, ogni volta che ce ne siano le condizioni oggettive.

Roma, 22 maggio 2012

————————————————————————

Abusi sessuali sui minori, il Vaticano non collabora

Luca Kocci
“il manifesto” del 23 maggio 2012

I vescovi non sono obbligati a denunciare all’autorità giudiziaria i preti pedofili. Una prassi già consolidata, ma da ieri è scritta nero su bianco nelle “Linee guida per il trattamento dei casi di abuso sessuale nei confronti dei minori da parte dei chierici”, richieste un anno fa dalla Congregazione per la dottrina della fede con una lettera circolare inviata ai vescovi di tutto il mondo e presentate all’Assemblea generale della Conferenza episcopale italiana in corso a Roma fino a venerdì. «Il vescovo – si legge nel documento –, non rivestendo la qualifica di pubblico ufficiale né di incaricato di pubblico servizio, non ha l’obbligo giuridico di denunciare all’autorità giudiziaria statuale le notizie che abbia ricevuto in merito ai fatti illeciti» riguardanti casi di pedofilia.

La «cooperazione con le autorità civili», sebbene ritenuta «importante», risulta soggetta ad una serie di limitazioni che sembrano piuttosto degli ostacoli: i vescovi se vogliono possono collaborare, ma «sono esonerati dall’obbligo di deporre o di esibire documenti»; «eventuali informazioni o atti concernenti un procedimento giudiziario canonico possono essere richiesti dall’autorità giudiziaria dello Stato, ma non possono costituire oggetto di un ordine di esibizione o di sequestro»; «rimane ferma l’inviolabilità dell’archivio segreto del vescovo» e di altri «registri e archivi». Ovviamente è vietato riferire quanto appreso in confessione».

Insomma i panni sporchi si lavano in famiglia, nonostante ormai i “casi italiani” siano numerosi: 135 dal 2000 al 2011, secondo i dati di mons. Mariano Crociata, segretario generale della Cei. Per quanto riguarda i procedimenti oggetto dell’intervento della Congregazione per la dottrina della fede, «ci sono state 53 condanne, 4 assolti e altri casi in istruttoria»; le denunce alla magistratura sono invece ’77, di cui «2 condanne in primo grado, 17 in secondo, 21 i patteggiamenti, 5 gli assolti e 12 i casi archiviati».

E pochi giorni fa si è diffusa la notizia del coinvolgimento di un vescovo, mons. Dante Lafranconi, di Cremona: è stato prosciolto per intervenuta prescrizione, nonostante l’ordinanza del Gip di Savona, che ha archiviato il procedimento, abbia rilevato «l’atteggiamento omissivo» del vescovo – che avrebbe coperto due preti pedofili, quando era alla guida della diocesi di Savona –, unicamente preoccupato «di salvaguardare l’immagine della diocesi piuttosto che la salute fisica e psichica dei minori» abusati.

Le Linee guida approvate ieri, dopo aver ribadito l’importanza della «protezione dei minori, la premura verso le vittime degli abusi e la formazione dei futuri sacerdoti e religiosi», illustrano le procedure che ciascun vescovo dovrà utilizzare nei casi di pedofilia: prima dovrà appurare la «verosimiglianza delle notizie» e poi, se confermate, avviare un procedimento interno – in un Tribunale ecclesiastico composto solo da preti specializzati in diritto canonico – e «deferire il chierico direttamente alla Congregazione per la dottrina della fede» in Vaticano, eventualmente adottando dei provvedimenti temporanei nei confronti del religioso per evitare «il rischio che i fatti delittuosi si ripetano». Se riconosciuto colpevole, il prete potrà essere destinato ad un incarico che non preveda «contatti con i minori» e anche «dimesso dallo stato clericale».

Durissima la reazione del movimento cattolico di base Noi Siamo Chiesa, che aveva chiesto di rendere «obbligatoria» la denuncia alle autorità civili e che in ogni diocesi fosse istituita «una struttura indipendente» per le vittime di abuso, come avvenuto in Austria, Germania e a Bolzano: «Sorde e cieche sono le guide dei nostri vescovi» perché, «chiuse nella difesa della loro casta», hanno fatto tutto da soli nel segreto e «non hanno ascoltato nessuno dei tanti, vittime e altri, che hanno cercato di interloquire e di proporre ragionevolmente, a partire da diritti violati»; e «perché non vogliono vedere la situazione come si è manifestata, anche nel nostro Paese, negli ultimi anni».